DIRITTO INTERNAZIONALE, UN CAMPO DI LOTTA da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DIRITTO INTERNAZIONALE, UN CAMPO DI LOTTA da IL MANIFESTO e IL FATTO

Diritto internazionale, un campo di lotta

La proibizione della guerra contenuta nella Carta delle Nazioni unite è smentita dalla stessa struttura oligarchica dell’organizzazione. Ma i doppi standard vacillano

Luca Baccelli  07/08/2024

Il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Naser Kanani, ha dichiarato che l’Iran è «legalmente autorizzato» a punire Israele per l’assassinio sul suo territorio del leader di Hamas Haniyeh.
È certamente arduo sostenere che un’azione unilaterale della Repubblica islamica rientrerebbe «nel quadro della Carta delle Nazioni unite e del diritto internazionale». Ma d’altra parte le università e i giuristi israeliani sono impegnati nella produzione di argomenti giuridici per sostenere che lo Stato ebraico rispetta il diritto internazionale. Stiamo parlando di decine di migliaia di morti civili e di attacchi diretti intenzionalmente su scuole, ospedali, campi profughi.

Con la giustificazione che nascondono militanti e dirigenti palestinesi. Dell’eliminazione di personale sanitario, giornalisti, operatori internazionali, intellettuali. Del gioco del gatto col topo per la popolazione di Gaza costretta di continuo a spostarsi per essere di nuovo bombardata. Della riduzione alla fame come pratica di guerra. Una politica di apartheid nei territori occupati illegalmente da 57 anni, con detenzioni arbitrarie, torture, aggressioni ai civili, distruzione delle abitazioni. Israele è uno «Stato fuorilegge», secondo l’espressione di John Rawls, oppure dimostra l’impotenza del diritto internazionale?

Il diritto internazionale non è nato bene. La sua fondazione è avvenuta nel contesto della conquista dell’America e del genocidio dei nativi. Per i suoi teorici, fra Ottocento e Novecento, era il diritto delle nazioni cristiane e “civili” alle quali ha lasciato fuori dall’Europa libertà di massacro e sottomissione. Dalla legittimazione giuridica del colonialismo e dell’imperialismo si arriva alla pratica odierna dei «doppi standard». Anche qui Israele è un caso di scuola: di fronte all’uccisione terroristica di leader politici in Stati terzi, ai continui attacchi al Libano, all’annessione del Golan ci si limita a prendere atto, se non si organizzano «nuove Termopili» contro il «nemico persiano», come nella delirante titolazione di Repubblica.

D’altra parte il diritto internazionale è debole: è sempre in affanno nel seguire l’evoluzione tecnologica dei sistemi di arma, dall’aviazione alle armi chimiche, al nucleare, al cyberwarfare, ai droni e all’uso dell’intelligenza artificiale per togliere agli umani la scelta se uccidere. La proibizione della guerra contenuta nella Carta delle Nazioni unite è resa ineffettiva dalla stessa struttura oligarchica dell’organizzazione, con il potere di veto attribuito ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Per il diritto internazionale umanitario la guerra in linea di principio è legittima e ai combattenti è attribuito il “privilegio” di condurla. Oltre a questo peccato originale, in base al principio di proporzionalità sono vietati come attacchi «indiscriminati» che possano recare morti civili e danni alla popolazione civile «eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto» (Primo protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra, articolo 51). Così come sono vietate le armi «capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili» (articolo 35). Ma non ci sono definizioni di «eccessivo» o di «inutile»; per le forze armate israeliane cento morti civili per un dirigente di Hamas non lo sono eccessivi.

Ma i doppi standard vacillano: la Corte Internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di evitare e prevenire atti di genocidio, vietato l’invasione di Rafah, giudicato illegale l’occupazione dei Territori palestinesi. Il procuratore della Corte penale internazionale dopo decenni di ignavia ha proposto l’arresto di Netanyahu e Gallant.

Il diritto è insomma un campo di lotta; ma per le sue stesse caratteristiche strutturali può depotenziare la virulenza dei conflitti e favorire un riconoscimento delle differenze nella loro pluralità. Le utopie giuridiche, come quella della «Costituzione della terra» redatta da Luigi Ferrajoli, hanno la stessa funzione che Marx ed Engels attribuivano alle utopie socialiste: il loro ruolo critico è tanto più importante quanto meno è avanzato lo «sviluppo storico». Ma pensare che il diritto internazionale possa divenire un sistema omogeneo e gerarchicamente strutturato significa non riconoscere l’irriducibilità, e il valore, del pluralismo delle culture, dei valori e dei sistemi giuridici.

Il diritto è un risorsa necessaria per scongiurare e limitare la guerra, ma non è sufficiente. Di fonte al tentativo disperato di mantenere l’egemonia imperale progettata dopo la Guerra fredda il diritto, per esercitare la sua funzione, ha bisogno di mobilitazione e di pressione dal basso, dai campus americani alle piazze del mondo intero. E occorrono alternative pacifiche, realtà regionali capaci di esercitare una funzione di contenimento e bilanciamento. L’Europa potrebbe e dovrebbe avere un ruolo in questo senso, ma sembra averci rinunciato. Né Xi né Modi sono pacifisti assoluti, e forse neppure Ramaphosa né Lula, ma quello che si vede nel mondo lascia aperta qualche speranza.

Guerra totale. Fino a che punto siamo disposti a tollerare ancora la barbarie?

Alessandro Robecchi  7 Agosto 2024

Il problema non è fino a che punto possa arrivare la barbarie – chi abbia mai aperto un libro di storia sa che non c’è limite – ma fino a che punto possiamo tollerarla, conviverci, farcene, come si dice, una ragione. Potremmo fare millemila esempi, ovviamente, perché dallo scenario mediorientale ci arrivano segnali ogni giorno: una guerra di sterminio contro un’intera popolazione, i palestinesi, lentamente inserita in un contesto di guerra allargata e totale, una tendenza all’abitudine sui massacri quotidiani a opera di un esercito che le grandi “democrazie” del mondo occidentale sostengono, appoggiano e spesso finanziano. Due scuole piene di civili, 50 morti, donne e bambini, e vabbè. Il campo profughi, donne e bambini, e ok. La zona indicata come “sicura” e “umanitaria” bombardata, donne e bambini, e via. La fossa comune, gli operatori umanitari uccisi, i giornalisti (oltre 160) eliminati perché non raccontino. Uno stillicidio quotidiano che bisogna quasi sempre cercare nelle ultime righe degli articoli, in piccoli e nascosti incisi, messi lì come senza parere. Ci distraiamo pensando che no, non si può nuotare nella Senna, oppure che la pugile algerina, oppure che… e intanto ogni giorno un mattoncino si aggiunge alla costruzione del tempio dell’indicibile, dell’inumano.
Un mattoncino notevole, ripugnante, l’ha portato l’altroieri il ministro delle Finanze di Israele, Bezalel Smotrich, che considera “giustificato e morale” (sì, “morale”) bloccare gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza che causerebbe la morte per carestia, fame e sete di un paio di milioni di persone. Si tratta in pratica dell’aperta teorizzazione di una “soluzione finale” per la Striscia di Gaza. Teorizzazione non nuova, perché già parecchi ministri israeliani hanno definito “non umani” i palestinesi, con una de-umanizzazione del nemico che non si vedeva dai tempi di Auschwitz. Il ministro del governo Netanyahu si duole del fatto che qualcuno protesterebbe, il mondo glielo impedirebbe, insomma, dice lui. Cosa tutta da vedere, dico io dopo certi precedenti. “Nessuno ci lascerà causare la morte di fame di due milioni di civili, anche se potrebbe essere giustificato e morale”. Testuali parole riportate tra virgolette in piccoli trafiletti, e non come una cosa enorme, spaventosa, degna delle pagine più orrende e deliranti del Novecento.

Il problema, dunque, è certamente una comunità internazionale (nome elegante per dire i complici) che non sa porre un limite e un freno alla barbarie, la tollera, finge di spazientirsi e poi manda miliardi di dollari al massacratori di un popolo. Ma il problema – lo so, suona male, suona retorico – è un po’ anche nostro, che assistiamo impotenti, distratti, un po’ stufi… uff, ancora! Dopo quasi un anno? Su, parliamo d’altro…
Da cittadini, dunque, da persone, cosa possiamo fare? Forse dirlo, continuare a dirlo, sì, certo. Ma anche chiedere alla politica di dire, di fare. Il ministro degli esteri italiano dirà qualcosa sui deliri nazisti di Smotrich? (spoiler: no). E i partiti di opposizione? Elly? Giuseppe? Cosa temono? Cosa aspettano per spostare un po’ l’asse della barbarie, per attenuarlo, per far notare che è intollerabile? Non li sentiamo, non li vediamo, non alzano la voce, non chiedono, non picchiano i pugni sul tavolo, non si spaventano, non si mobilitano, abbozzano, accettano, in definitiva si arrendono alla marea montante dell’inumano, si adeguano, si voltano dall’altra parte. È a loro – più che al nazista Smotrich – che dobbiamo chiedere conto.

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