CSM E CORTE COSTITUZIONALE: LA DESTRA È A PORTATA DI QUORUM da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CSM E CORTE COSTITUZIONALE: LA DESTRA È A PORTATA DI QUORUM da IL MANIFESTO

Carlo Galli: «Il presidenzialismo di Meloni ci porta a una deriva illiberale»

INTERVISTA. Il politologo: Fdi viene percepita come l’unica novità dagli elettori anti-sistema che avevano scelto M5S e poi Lega. Ma al governo avrebbe pochi margini per discostarsi dall’agenda Draghi. Il Pd? È ancora percepito come partito dell’establishment

Andrea Carugati 

«Giorgia Meloni e il suo partito sono gli unici che, almeno in tempi recenti, non sono stati al governo. Per la psicologia di una massa alla perenne ricerca di un cambiamento, rispetto ad una situazione economica che viene considerata – e non da oggi- molto preoccupante, questo è uno degli elementi di forza». Carlo Galli, per decenni ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Bologna, spiega il successo che sta riscontrando Fdi, almeno nei sondaggi.

Eppure è difficile trovare delle idee forti nel suo programma. Sembra quasi un voto chiesto sulla persona.

Non è una leader carismatica, ma trasmette un’idea di affidabilità, di una persona che non cambia facilmente idea. E il fatto di essere stata l’unica opposizione l’ha rafforzata. L’unica rottura ideologica che afferma di aver praticato è quella rispetto al suo passato neofascista: è l’unica pretesa incoerenza, di cui tuttavia si sta servendo.

Secondo lei cosa farebbe realmente Meloni se arrivasse a palazzo Chigi?

Non credo che avrebbe grandi margini per una politica innovativa. Dovrebbe affrontare gli effetti della crisi e delle sanzioni alla Russia, che ora ci stanno facendo male ma in modo ancora sopportabile. É però probabile che la situazione si aggravi. E a quel punto ritengo che le soluzioni saranno di livello europeo. In sostanza non vedo grandi margini per una agenda che si discosti radicalmente da quella di Draghi, neppure su temi che vengono molto agitati come l’immigrazione. Quello che potrebbe cambiare è la narrazione: l’impostazione della repubblica antifascista verrebbe considerata un retaggio del passato, crescerebbe la retorica sulla triade Dio-Patria-Famiglia, la stessa Europa verrebbe raccontata più come una confederazione di paesi sovrani che come entità politica potenzialmente federale.

Perché circa un quarto degli italiani si appresta a votare Fdi?

Dopo aver provato i 5 stelle e la Lega, e aver testato la delusione, molti elettori fortemente critici si stanno orientando verso Fdi. C’è una frattura tra una fetta di elettorato e il sistema politico che risale al governo Monti, quando il M5S è cresciuto esponenzialmente. La cura dell’austerità ordoliberista ha alimentato l’idea che questo sistema economico non sia più in grado di produrre benessere e quindi ha perso legittimazione. È un distacco emotivo che ha solide radici socio-economiche, nella perdita di fiducia verso il futuro.

Come spiega l’alto gradimento di Draghi insieme alla crescita dell’unica forza di opposizione?

Il premier si è preso i meriti legati alla stabilità e all’autorevolezza internazionale, mentre i partiti hanno pagato i conti di quello che non ha funzionato, a partire dai riflessi economici della guerra.

C’è chi sostiene che la leader di Fdi si stia “draghizzando” per arrivare al potere.

È una manovra in corso: quello che perde in efficacia trasformatrice lo recupera in accreditamento internazionale.

Una sorta di gattopardo.

Il tentativo, se dovesse vincere, sarà quello di compensare la scarsità di cambiamenti reali con una nuova narrazione, a tratti pericolosa, in grado di generare una nuova egemonia.

Se gli elettori cercano novità rispetto alla guerra non le avrebbero con Meloni premier.

Eppure sul fondo resta la convinzione che quello sarebbe un governo nei fatti meno atlantista di Draghi, con maggiori margini di autonomia. Nel centrodestra accanto a un partito filoamericano come Fdi ce n’è uno filo russo come la Lega. Di fondo c’è l’idea chela normalizzazione di Meloni sia transitoria, strumentale, e che una volta al governo possa recuperare una spinta di cambiamento sia simbolico sia strutturale.

Teme una deriva illiberale, sul modello ungherese?

A Costituzione vigente no. Ma è chiaro che la linea di penetrazione per uno sviluppo illiberale è la riforma presidenzialista presentata da Fdi, che renderebbe le elezioni una sorta di partita ultimativa in cui sono in gioco tutti i poteri, dal Quirinale a palazzo Chigi fino al Parlamento, senza avere più poteri di garanzia.

Negli Usa e in Francia il presidenzialismo non è divenuto illiberale.

Sì ma negli Usa ci sono un sistema federale e una Corte suprema, in Francia una forte struttura amministrativa che non è facilmente preda della politica. In Italia no.

Il Pd come è percepito dagli elettori anti-sistema?

Come il partito dell’establishment.

Eppure Letta ha cercato di uscire da questa dimensione.

La sensibilità sociale non può essere solo professata, per essere credibili va anche praticata. Non c’è mai stata una aperta sconfessione del Jobs Act di Renzi, il Pd resta il quarto partito tra gli operai. Certo, il renzismo ha rappresentato il punto più forte di identificazione con l’establishment, ma anche oggi il Pd resta il partito del sistema, delle compatibilità, non dell’agenda sociale. Anche le circostanze, e penso al governo di unità nazionale, non hanno permesso di sviluppare politiche progressiste.

È la destra che vuole abolire il reddito di cittadinanza.

E probabilmente prenderà voti anche in quelle fasce sociali cui intende togliere il reddito. Questo è apparentemente illogico, ma c’è una spinta anti-sistema così forte che può produrre anche risultati paradossali.

Come valuta la rottura tra Pd e M5S?

Ha prevalso l’idea che i dem possano fare un risultato migliore da soli, magari dandosi una vernice più progressista. Ma col mondo del lavoro devono recuperare un distacco che affonda nei decenni. E il nodo dell’identità, laburista o riformista, non è ancora stato sciolto.

Csm e Corte costituzionale: la destra è a portata di quorum

ELEZIONI. A poco più di tre settimane dal voto, nuovi sondaggi stimano che la coalizione in testa ha la maggioranza dei due terzi del parlamento a portata di mano e quella dei tre quinti già in tasca

Andrea Fabozzi

Tra ieri e martedì, altri tre sondaggi (Swg per La7, Euromedia per La Stampa e Noto per Porta a porta) hanno stimato come ormai accade da settimane la coalizione di destra tra il 46 e il 47 percento dei voti. È un’ulteriore conferma che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia ai quali si può aggiungere la lista Noi moderati – perché è stimata sopra l’1% e dunque è in grado di dare il suo contributo alla coalizione anche restando sotto lo sbarramento del 3% – hanno a portata di mano un traguardo storico. Reso più facile dalla riduzione dei parlamentari. Possono cioè concretamente aspirare alla maggioranza dei due terzi dei componenti, sia alla camera che al senato.

Secondo una simulazione di ieri del sito Youtrend realizzata con i dati della loro «supermedia» (una media ponderata dei sondaggi nazionali), «il centrodestra può ottenere tra i 240 e i 265 seggi alla camera e tra i 120 e i 135 al senato». È un risultato molto simile a quello che aveva stimato il manifesto il 25 agosto sulla base dei sondaggi di quella settimana.

Numericamente questo vuol dire che la maggioranza dei due terzi dei componenti non è sicura, ma molto probabile. Il quorum dei due terzi ha rilievo per le leggi i revisione costituzionali e per le votazioni in seduta comune – quando cioè camera e senato funzionano da collegio elettorale unico per eleggere i giudici della Corte costituzionale e i consiglieri del Consiglio superiore della magistratura che spettano al parlamento. I nuovi numeri del parlamento dicono che gli aventi diritto sono 606: 400 deputati, 200 senatori elettivi e 6 senatori a vita e a vita di diritto. Per raggiungere i due terzi il centrodestra deve arrivare a 404 voti. Adesso, secondo Youtrend, sarebbe tra i 360 e i 400. Siamo quasi lì. O forse siamo già lì, considerando che in parlamento ci saranno rappresentanti di Azione-Italia viva, delle minoranze linguistiche e potrebbero esserci (sempre a stare ai sondaggi) anche di Italexit: non è affatto impossibile che i pochi voti che mancano possano essere trovati senza troppe difficoltà.

Non solo. Fin qui l’allarme per il possibile exploit della destra si è concentrato sull’ipotesi di modifiche alla Costituzione senza l’obbligo del referendum confermativo. In questo caso la maggioranza che occorre è sempre quella dei due terzi dei componenti e in due votazioni separata (la terza e la quarta) alla camera e al senato. Dunque servono 267 voti alla camera (Youtrend stima 265 come quota massima) e 138 al senato (Youtrend stima 135).

Ma ci sono anche altre votazioni delicate perché riguardano le istituzioni di garanzia, votazioni che peraltro a differenza di quelle sulla Costituzione non sono eventuali ma certe e anche abbastanza vicine. Entro fine anno o al più tardi a inizio 2024 le camere in seduta comune dovranno infatti eleggere dieci (non più otto) consiglieri “laici” (cioè non magistrati) del Consiglio superiore della magistratura. Serve la maggioranza dei tre quinti delle camere in seduta comune nelle prime due votazioni, poi ancora i tre quinti ma calcolati sui votanti. I senatori a vita partecipano raramente alla votazioni e pesano solo sui quorum calcolati sugli aventi diritto. La maggioranza dei tre quinti dei componenti è di 364 voti, quella calcolata senza senatori a vita 360. Sono due soglie che la destra raggiunge anche prendendo per buona la stima più prudente di Youtrend. Certo, è molto difficile che non vorrà concedere alle opposizioni un diritto di tribuna nel Csm. Ma non sarà costretta dai numeri a farlo.

Infine, la maggioranza dei tre quinti dei componenti è sufficiente, dalla terza votazione in poi, a eleggere anche i giudici della Corte costituzionale che spettano al parlamento. La destra può fare da sola anche in quel caso. E nei prossimi due anni avrà la possibilità di eleggerne ben quattro.

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