COP 29, IL SUD DEL MONDO CHIEDE 1000 MILIARDI L’ANNO PER LA TRANSIZIONE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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COP 29, IL SUD DEL MONDO CHIEDE 1000 MILIARDI L’ANNO PER LA TRANSIZIONE da IL MANIFESTO

Cop29, il Sud del mondo chiede mille miliardi l’anno per la transizione

CONFERENZE PER IL CLIMA . I colloqui preparatori a Bonn si sono chiusi con un nulla di fatto

Lorenzo Tecleme  11/07/2024

Mentre in Italia si svolge il G7, in Germania un altro meeting si chiude. Sono terminati a Bonn i negoziati intermedi Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), e gli osservatori sono unanimi nel considerare il risultato deludente.

L’Unfccc è l’ombrello sotto il quale le Nazioni Unite promuovono politiche di contrasto alla crisi climatica concordate a livello globale. Il momento centrale di questo processo è rappresentato dalle Conferenze delle Parti (Cop), incontri annuali nei quali convergono le massime autorità mondiali. Il prossimo di questi vertici, Cop29, si terrà in novembre a Baku, in Azerbaigian. Per avvicinare le posizioni dei governi prima del summit vero e proprio, si svolgono incontri preparatori come quello concluso ieri. Spazi poco mediatici, ma fondamentali per predire l’esito della Cop a venire.

A Bonn si è parlato soprattutto di soldi. Durante Cop29 si dovrà stabilire un nuovo obiettivo finanziario globale: flussi di denaro dai paesi ricchi al cosiddetto Sud globale per finanziare la transizione. Nel 2009 le nazioni industrializzate promisero cento miliardi di dollari l’anno entro il 2020. Questo primo obiettivo – raggiunto in realtà solo nel 2022 – è in scadenza: per il 2025 si dovrà individuare una nuova cifra. Ma sul quanto, l’accordo è lontanissimo.

I più ambiziosi tra i paesi che si aspettano di ricevere i fondi – nazioni africane, latinoamericane, asiatiche – puntano a decuplicare l’importo, raggiungendo i mille miliardi annui. Il mondo ricco rimane lontano da cifre simili. Sullo sfondo il tema del debito: molti paesi africani hanno più volte manifestato l’intenzione di non voler più ricorrere alla finanza climatica se erogata sotto forma di prestiti.

A uno stadio ancora più preliminare il dibattito sulla mitigazione e la riduzione delle emissioni. Qui il fronte degli ambiziosi è tradizionalmente rappresentato da Unione Europea e Unione delle piccole isole pacifiche (Aosis), sostenuti in questo caso anche da molte nazioni latinoamericane. Un blocco che non riesce a smuovere l’opposizione dei paesi Opec, i grandi produttori di petrolio, che sui singoli temi sono spesso capaci di avere dalla loro giganti come Cina, India, talvolta Stati Uniti. «Siamo delusi» ha commentato lapidario il delegato delle Isole Samoa.

I due temi, finanza e mitigazione, sono legati tra loro. «Miliardi di famiglie usano il fossile per cucinare, scaldarsi, vivere» ha spiegato il rappresentante del Kenya, che parlava a nome di tutto il continente africano. «Per mitigare quelle emissioni serve nuova finanza climatica». Lo stesso impasse già visto alla Cop28 di Dubai.

«Una serie di veti incrociati sta tenendo i negoziati fermi sia sulla finanza che sulla mitigazione – spiegano gli esperti di Italian Climate Network -. Sulla finanza giocano tutti a carte coperte, aspettando input più forti da G7 e G20».

Il respiro del mare è in affanno e mette a rischio l’ecosistema più prezioso

MEDITERRANEO BOLLENTE. Nell’aprile del 2023 la temperatura media della superficie del mare ha raggiunto il nuovo record di 21,1 gradi centigradi

Dante Caserta  11/07/2024

Immaginateli come un enorme «termometro» e regolatore del clima globale: sono gli oceani che, grazie alla loro capacità di assorbire e rilasciare calore, contribuiscono da sempre a garantire un clima regolare. Tra i principali motori di questa regolazione climatica, il «nastro trasportatore» che sposta le acque calde dalle regioni tropicali verso le latitudini più elevate, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso i tropici in un ciclo continuo.

A CAUSA DELL’ASSORBIMENTO del calore in eccesso per il surriscaldamento globale, però, il meccanismo si sta inceppando e gli oceani registrano un costante aumento della temperatura. Nel periodo 2011/20 l’aumento medio è stato di 0,88°C rispetto al periodo 1850/1900. Nell’aprile 2023 la temperatura media della superficie del mare ha raggiunto il record di 21,1°C e le proiezioni ci indicano che questa tendenza non si fermerà. Ci sono già i primi effetti significativi e, in alcuni casi, irreversibili sugli ecosistemi marini con impatti rilevanti su settori economici come pesca e turismo, oltre che su salute umana e alimentazione.

L’IMPATTO PIÙ RILEVANTE, però, si registra proprio sulla termoregolazione del clima, oltre che sulla produzione di ossigeno (il 50% di quello generato sulla Terra è attribuibile al fitoplancton marino) e sull’assorbimento di anidride carbonica (ogni anno il mare ne assorbe un quarto di quella emessa). Pare quasi di sentire il mare sempre più in affanno sotto il peso degli effetti del cambiamento climatico e Il respiro degli oceani è il titolo che il Wwf ha scelto per il suo ultimo dossier presentato l’8 giugno scorso in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani. Il dossier prende in esame il nostro mare, il Mar Mediterraneo, descrivendo sei effetti del cambiamento climatico: tropicalizzazione, aumento delle specie aliene invasive, proliferazione di meduse, perdita delle praterie di Poseidonia oceanica, scomparsa delle gorgonie e mortalità di massa della Pinna nobilis.

LA TROPICALIZZAZIONE STA COLPENDO particolarmente il bacino orientale del Mediterraneo che si sta riscaldando più rapidamente della media globale e che è collegato al Canale di Suez, principale via di ingresso delle oltre 1000 specie marine esotiche introdotte nel Mediterraneo, un vero disastro per l’ecosistema marino con gravi implicazioni per la biodiversità. Cresce poi il numero di meduse tanto che in alcuni siti, come il Golfo di Gabes in Tunisia, i pescatori segnalano che le catture di meduse sono ormai superiori a quelle di pesci delle cui larve e avannotti le meduse si cibano.

LO STRESS TERMICO CAUSATO dall’aumento delle temperature sta influenzando anche la distribuzione delle praterie di Poseidonia oceanica che costituisce l’habitat fondamentale per circa il 20/25% delle specie marine della regione che da questo ambiente dipendono per alimentarsi, riprodursi e trovare rifugio. Sempre i cambiamenti climatici innescano la moria di massa delle gorgonie con effetti dannosi sulla struttura degli habitat marini: la loro scomparsa, infatti, porta a una riduzione della biodiversità subacquea, aprendo la strada alla colonizzazione delle specie invasive. Allo stesso modo la crisi climatica starebbe provocando la moria della Pinna nobilis, il più grande bivalve endemico del nostro mare: nel gennaio 2020, l’Area Marina Protetta di Miramare ha documentato una mortalità del 60/80% delle popolazioni del sito.

EPPURE, LA SALVEZZA CONTRO gli effetti del cambiamento climatico è proprio nella difesa della biodiversità: le specie marine, a tutti i livelli della catena alimentare, contribuiscono allo stoccaggio naturale a lungo termine del «carbonio blu», trasferendolo dalla superficie alle profondità oceaniche e ai sedimenti. Le praterie di Poseidonia sequestrano circa 5,7 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, mentre il fitoplancton sintetizza sostanze organiche e genera ossigeno attraverso la fotosintesi.

SE NON PER TUTELARE LA NATURA e le altre specie che popolano il pianeta, almeno per puro calcolo egoistico una specie che si è autodefinita sapiens dovrebbe impegnarsi al massimo nella protezione degli oceani che, a partire dal Mare nostrum, rappresentano un prezioso scrigno di biodiversità, una straordinaria risorsa, ma anche un’efficace difesa contro la crisi climatica.

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