COME FINIRÀ da 18BRUMAIOBLOG
Olympe de Gouges 30 settembre 2023
Sarebbe necessario spiegare, ogni sera all’ora di cena, ma anche durante la giornata, quando la nazione (si dice così, ora) sta davanti alla tv, anche prima e dopo i cartoni animati (non credo si chiamino più così, ma insomma avete capito), in modo che anche i bambini, quelli con la famosa “pesca” per intenderci, in modo che possano comprendere fin dalla più giovane età che cosa combinano i loro genitori. Spiegare che cos’è il debito pubblico e magari anche la differenza con il deficit (il suo accumulo diventa debito).
Spiegare che il debito pubblico è sostenibile finché è possibile emetterlo a bassi tassi di interesse, finché non provoca pressioni inflazionistiche o un deficit esterno, finché non è eccessivo. Spiegare che questo non è esattamente il caso italiano. Che invece è il gigantesco debito pubblico che consente alle tecnocrazie europee e alle classi dirigenti (?) nazionali di mettere in discussione il modello sociale e il suo livello di spesa pubblica, che pone le politiche economiche nazionali sotto la lente dei mercati finanziari, ossia di chi copra una parte non trascurabile del nostro debito.
Lasciando stare la questione del perché il debito pubblico è entrato in una spirale ascendente, o del perché c’è uno squilibrio strutturale tra risparmio e investimenti, quindi la perdita di entrate fiscali, insomma cose che darebbero adito a una querelle teologica sulla globalizzazione, spiegare quali effetti produce l’aumento del debito pubblico sulle vite soprattutto di chi conta con le dita e non celata preoccupazione i giorni che mancano a fine mese. Dunque, facendo due calcoli aritmetici dimostrare che dato l’attuale livello dei tassi d’interesse reali, il debito pubblico è insostenibile.
Il tema, a ben vedere, prima ancora di essere economico-finanziario, è politico e sociale (il peso futuro della spesa pensionistica, sanitaria e assistenziale), formativo e informativo. E, se proprio vogliamo dirla tutta, riguarda anche il tasso di fertilità, a cui l’immigrazione può porre solo un rimedio in gran parte temporaneo, dovendo peraltro tener conto, senza ipocrisie, dei problemi sociali che essa innesca e produrrà sempre più (su questo i Vannacci di turno possono vivere di rendita).
Ma prima è necessario spiegare queste cose ai ministri di ogni governo, prima che giurino davanti al presidente della monarchia repubblicana. Spiegare che non viviamo una situazione economica normale, ma di un’incipiente recessione economica, con alta volatilità dei mercati finanziari, che la sostenibilità dell’onere del debito dipende dal livello del tasso d’interesse reale e dalla crescita economica. Dunque, che dato l’attuale livello dei tassi di interesse reali, il debito pubblico è insostenibile, e che avremo difficoltà a rinnovarlo, nel senso che si dovranno pagare interessi sempre più alti ai creditori. Pensate che non sia necessario spiegare queste cose a politici e ministri, o che già lo sappiano? Siete degli incalliti ottimisti. Che sia inutile spiegarlo e che comunque non gli freghi una mazza? Siete realisti, devo ammetterlo.
Come finirà
Olympe de Gouges 4 ottobre 2023
Come reagirà il “sistema” alla nuova crisi che si avvicina a spron battuto? Mario Seminerio, acuto e prosaico esaminatore, dice di non saperlo, ossia non osa pronunciarsi sul domani e riguardo al passato lo giudica contraddittorio e confuso, e così evita di diventare una statuetta di sale.
Eppure basterebbe non farsi assorbire nella posizione ideologica dominante per cogliere l’insieme del processo di crisi fondamentale che investe il modo di produzione capitalistico, di cui le crisi finanziarie rappresentano il fenomeno e l’acceleratore ma non la causa.
Si tratta sempre e comunque, nei suoi aspetti essenziali, dello stesso modo di produzione capitalistico, così come storicamente determinato nelle categorie di “merce”, “lavoro”, “denaro” e “valore” e dell’automovimento tautologico di quest’ultimo, nella logica della “valorizzazione del valore”.
Come scrivevo alcuni giorni or sono, Seminerio ricorderà, quello che realmente c’è di nuovo, è la dimensione globale e gigantesca del gioco finanziario. Soggiungo: è la diminuzione assoluta del lavoro vivo nel processo immediato di produzione e la conseguente caduta non solo del saggio medio di profitto ma della massa di plusvalore sociale.
A quali modificazioni andiamo incontro per quanto ci riguarda direttamente come “nazione”? Continueremo a rimanere l’anello debole della catena imperialista, sempre teatro di scontri, terra di conquista delle multinazionali straniere più forti, cimitero di piccole-medie-grandi imprese spazzate via dalla concorrenza, vera colonia dell’epoca attuale.
Dov’è, ancora, la novità? Gli anelli forti scaricano sugli anelli più deboli le contraddizioni più devastanti, e a noi resterà solo spazio di fare concorrenza, come solito, nel costo del lavoro ai paesi meno sviluppati.
Come retrobottega logistico della Nato, potremmo arrangiarci facendoci assumere con il ruolo di mercenari a basso costo. Non si tratterà più di lasciare la vita nelle miniere del Belgio come sessant’anni fa, oppure nei cantieri edili di Svizzera e Germania, ma in qualche deserto e in qualche strada coperti di disprezzo e di odio.
La struttura stessa dell’apparato produttivo italiano è tanto inconciliabile con il divenire dell’imperialismo e le crisi del capitale, quanto è compatibile con il ruolo antico di riserva di braccia a buon mercato, gendarmi di serie B, cani da guardia dello “scambio ineguale”, dello sfruttamento imperialista dei popoli del sud del mondo. Hai voglia a scrivere letterine a Scholz: imbecilli.
Ma queste cose M.S. le sa, eccome se le sa. Ma non può essere franco e diretto fino in fondo col suo pubblico: la fine del mondo è una delle poche prospettive positive di questi tempi.
No Comments