COL BENE CONTRO IL MALE LA GUERRA NON FINIRÀ MAI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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COL BENE CONTRO IL MALE LA GUERRA NON FINIRÀ MAI da IL FATTO

Col Bene contro il male la guerra non finirà mai

Francesco Sylos Labini  7 Marzo 2025

Il dibattito tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump avvenuto nello Studio Ovale affonda le sue radici in due visioni diametralmente opposte su come abbia avuto origine la guerra e, di conseguenza, su quale sia la strada per porvi fine. Comprendere le vere cause del conflitto è dunque essenziale per definire una strategia efficace per la sua risoluzione.
L’approccio di Zelensky, condiviso dai leader europei, è stato plasmato dalla narrazione dominante nei media mainstream: si tratterebbe di una guerra di aggressione imperialista, in cui Putin avrebbe deciso di negare l’indipendenza dell’Ucraina, mirando a riassorbirla nella Russia, secondo una logica paragonabile a quella della Germania nazista nel 1939. Seguendo questa interpretazione, negoziare con un aggressore imperialista equivarrebbe a una dimostrazione di debolezza, destinata unicamente ad alimentarne l’espansionismo. L’unico modo per fermare un aggressore, quindi, è dimostrare fermezza e risolutezza. In questa prospettiva, la vittoria può arrivare solo in due modi: sul campo di battaglia o costringendo la Russia alla resa totale al tavolo delle trattative. In nessun caso, però, si dovrebbe scendere a compromessi, né per ragioni morali, né perché questo aggraverebbe ulteriormente la situazione.

L’eliminazione di un’analisi delle cause del conflitto è funzionale al mantenimento di una narrazione manichea, in cui il confronto è ridotto a una lotta tra il bene e il male assoluti. In questa visione ideologica, diventa impossibile accettare – come proposto dagli americani – una discussione sugli interessi concreti dei vari attori in gioco. Per questo motivo, i sostenitori dell’ex amministrazione Biden e la maggioranza dei leader europei interpretano le azioni di Trump come un tradimento dell’Ucraina e una minaccia alla sicurezza dell’Europa. L’ex ambasciatore americano a Mosca, Michael McFaul, tra i più convinti sostenitori della guerra, ha riassunto questo atteggiamento con una dichiarazione emblematica: “Semplicemente scioccante. Trump ha cambiato schieramento. Ora sostiene Putin”. In questo schema ideologico, la pace non è considerata un’opzione, perché l’investimento politico nella guerra è stato troppo alto. Ritirarsi dal conflitto significherebbe ammettere che la lotta non è tra bene e male, ma tra interessi concreti. A sintetizzare questa posizione è stata la premier danese Mette Frederiksen, con un’affermazione che non lascia spazio a dubbi: “La pace in Ucraina sarà più pericolosa della guerra”.
La prospettiva dell’amministrazione Trump, invece, è completamente diversa. Trump ha più volte sottolineato che se lui fosse stato presidente la guerra non sarebbe iniziata: questa affermazione implica che non vede Putin come qualcuno che agisce “à la Hitler” ma che considera le sue motivazioni razionali su cui negoziare. Questo cambiamento riconosce dunque ai russi le loro preoccupazioni sull’espansione della Nato in Ucraina e apre le porte a una soluzione diplomatica del conflitto che necessariamente dovrà tener conto degli eventi sul campo di battaglia. Ed è proprio la strada diplomatica, che Zelensky rifiuta, il motivo reale del dibattito nello Studio Ovale.

La guerra in Ucraina ha quindi raggiunto un punto di svolta critico. Mentre Trump cerca di svincolare gli Stati Uniti da un conflitto costoso e impossibile da vincere, l’Europa rimane intrappolata in un ciclo di escalation e rigidità ideologica. Con la Russia determinata a non accettare un accordo senza garanzie di sicurezza strutturali, e i leader europei che spingono per un ulteriore confronto, il rischio di instabilità prolungata – o di un’escalation catastrofica – rimane pericolosamente alto. Tuttavia, appare più probabile che l’Ue possa presto ritrovarsi in una posizione insostenibile: mentre gli Usa, la Russia e la maggioranza degli ucraini discutono i termini di un accordo di pace, la Ue potrebbe essere l’unica a chiedere di rifiutare la diplomazia e prolungare la guerra.
L’Europa dovrebbe adottare un approccio più pragmatico e diventare un attore strategicamente autonomo sulla scena mondiale mettendo gli interessi dei propri cittadini al primo posto. Dovrebbe negoziare un nuovo accordo strategico con la Russia che offra una soluzione realistica per l’Ucraina, stabilire un nuovo patto strategico con la Cina e dichiarare la propria volontà di lasciare la Nato, perché un’Europa costretta a spendere il 5% in difesa non ha bisogno degli Stati Uniti.

Lo famo strano

MARCO TRAVAGLIO  7 Marzo 2025 

Se non l’avessimo sperimentata per 14 anni a suon di governi tecnici e trame quirinalizie, oggi dovremmo piangere per la post-democrazia che dilaga in Europa. Ma continua a raccontarsi e a raccontarci la fiaba della democrazia che combatte l’autocrazia dei Putin e dei Trump. Un bel mattino la baronessa Von der Leyen si sveglia e annuncia un piano da 800 miliardi per riarmare non l’Europa (che non è uno Stato e non ha un esercito: solo una Commissione senza poteri in politica estera), ma i 27 Stati membri, esonerandoli dai vincoli che impediscono di spendere in welfare, sanità e scuola, ma non in armi per fare la guerra a non si sa bene chi. Il tutto all’insaputa dei 27 Stati, che non le hanno mai chiesto il piano. Decenza vorrebbe che ne discutessero i 27 Parlamenti, ma non si può. Il nostro, per dire, non ha la più pallida idea di cosa pensi il governo: legge sui giornali che la Meloni ha telefonato a tizio e caio e litiga col vicepremier Salvini e il ministro Giorgetti, i quali litigano col vicepremier Tajani. Per evitare brutte sorprese, la Von der Bomben taglia fuori anche il Parlamento europeo, presieduto da una simpatica signora maltese, tale Metsola, che non fiata per non disturbare. Però il piano Eurobomb piace parecchio a una tizia estone, una certa Kallas, “alta rappresentante della politica estera” di un’Europa senza politica estera, perché la madre, la nonna e la bisnonna furono deportate in Urss 84 anni fa e lei se l’è legata al dito.
A quel punto salta su Macron, che non riesce a governare la Francia e sforna governi bimestrali nati morti, ma s’è fissato di dirigere l’Europa: le annuncia che verrà presto invasa da Putin non si sa bene perché; le offre prêt-à-porter il suo “ombrello atomico” (290 testate contro le 7 mila russe) che però la Costituzione riserva alla sola Francia; e vaneggia di truppe europee da spedire in Ucraina per fare il peacekeeping in un Paese tuttora in guerra, anche perché lui è in prima fila a sabotare i negoziati; ma si guarda bene dall’interessarne il Parlamento, dove lo odiano sia la destra sia la sinistra. Completa il quadro l’aspirante cancelliere tedesco Merz, uscito primo dalle elezioni, che vuol cambiare la Costituzione per aumentare il debito e finanziare il riarmo, ma il Parlamento uscito dalle elezioni non gli garantisce i due terzi, quindi riconvoca quello vecchio. Tanto vale tutto. In Romania, frattanto, a furia di annullare elezioni e arrestare Georgescu per evitare che vinca, il candidato anti-Nato e anti-Ue è balzato nei sondaggi al 45%. Quindi bisognerà annullare anche le prossime elezioni, o arrestarlo di nuovo, o votare a oltranza finché perde, o varare una legge elettorale che fa vincere chi arriva ultimo. Che s’ha da fare per salvare la democrazia dall’autocrazia.

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