CLIMA, I FALLIMENTI ALLE PORTE DELLA COP 28 da IL FATTO e IT ES EURO
Clima, i fallimenti alle porte della Cop 28
IL VERTICE DELLE NAZIONI UNITE DI DICEMBRE – McKinsey spinge i fossili, le banche pagano progetti inquinanti e l’Ue s’arrende alle lobby sugli Euro 7. Ma il nemico sono gli “eco-imbecilli”…
VIRGINIA DELLA SALA 10 NOVEMBRE 2023
La Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite, l’evento che traccia la direzione globale dell’impegno contro il cambiamento climatico, quest’anno si tiene a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Il fatto che si svolga nella patria del petrolio assume opposto valore a seconda che lo si guardi come l’opportunità di sensibilizzare alla fonte sull’urgenza della decarbonizzazione o come una partita persa in partenza. Molti elementi portano a pensare che la seconda opzione sia la più probabile. Il problema non sono tanto quelli che il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, definisce “Eco Imbecilli” proponendo pene più severe, dalle multe al carcere, ma gli interessi delle compagnie Oil&gas e la lentezza della transizione energetica che rischia di far bucare il traguardo dell’accordo di Parigi di mantenere il surriscaldamento globale sotto i 2 gradi centigradi, meglio ancora sotto 1.5.
Usa + Cina.
Dopo quattro giorni di incontri, ad esempio, Stati Uniti e Cina hanno annunciato di aver trovato un “terreno comune” di lavoro proprio in vista della conferenza, un segnale distensivo dopo anni di tensioni. L’inviato speciale cinese Xie Zhenhua e quello Usa, John Kerry, avrebbero raggiunto “risultati positivi” dei cui risvolti però si sa poco. Pechino – come rileva il FT – ha fatto la sua “mossa d’apertura” impegnandosi a monitorare e ridurre le emissioni nocive di gas ma non ha specificato obiettivi definitivi né scadenze. La superpotenza resta oltretutto – insieme a Russia e India – ancora fuori dal patto globale sul metano firmato da più di 150 Paesi due anni fa al vertice di Glasgow e che prevede di ridurre le emissioni di gas del 30% rispetto al 2020 entro il 2030.
Target lontani.
Intanto a Rimini, gli Stati Generali della Green Economy hanno preso a riferimento i dati dell’Unep (l’agenzia dell’Onu per l’ambiente): stando agli attuali impegni di decarbonizzazione nel mondo, al 2030 si arriverà a un taglio di emissioni che va dal 5 al 10% rispetto al 2010, mentre l’Accordo di Parigi prevede si raggiunga il 45%. Il motivo è semplice. Secondo l’ultimo World Energy Outlook 2023 dell’Agenzia internazionale dell’Energia (Iea), a oggi, la domanda di combustibili fossili è destinata a rimanere troppo alta a causa di un’impennata senza precedenti di nuovi progetti di gas naturale liquefatto (Gnl) che entreranno in funzione dal 2025 e che aggiungeranno più di 250 miliardi di metri cubi all’anno di nuova capacità entro il 2030, il 45% dell’attuale offerta globale di Gnl. L’aumento, ha spiegato l’Agenzia, ridurrà i prezzi e le preoccupazioni per l’approvvigionamento di gas e creerà anche un eccesso di offerta, complice il progressivo calo della domanda. Entro il 2030, insomma, si dovrebbe raggiungere il picco di consumo delle fossili. Ma solo allora si vedrà se sarà l’ultimo.
Conflitto d’interessi.
Nel frattempo, l’orizzonte non è rassicurante. Un’inchiesta dell’agenzia France Press ha rivelato che la società di consulenza McKinsey&C., advisor a titolo gratuito per la Cop 28, avrebbe presentato, a porte chiuse, scenari e strategie energetiche in cui la riduzione dell’uso di petrolio al 2050 si fermerebbe al 50%, insieme alla necessità di ulteriori investimenti negli idrocarburi. Il punto, però, è che McKinsey è consulente (in questo caso a pagamento) anche di colossi petroliferi come le statunitensi Chevron ed Exxon Mobil, l’inglese BP o la saudita Aramco e, secondo Afp, avrebbe chiesto “di ridimensionare le ambizioni di una progressiva eliminazione del petrolio”. Interpellata, McKinsey ha risposto insistendo sul fatto che “la sostenibilità è una priorità fondamentale” e che è impegnata ad aiutare i suoi clienti a decarbonizzare. “Siamo orgogliosi di sostenere la COP28 fornendo informazioni e analisi strategiche, nonché competenze settoriali e tecniche” hanno detto, specificando che la notizia sarebbe “falsa” e come tale “smentita anche da un portavoce della Cop”. Peccato che il presidente della Cop sia il sultano degli Emirati Arabi, Al Jaber, che è anche presidente della compagnia petrolifera nazionale Adnoc.
Le “bombe di carbonio”.
Come se non bastasse, pare che l’anno scorso le principali banche mondiali abbiano investito più di 150 miliardi di dollari in aziende che sviluppano progetti altamente inquinanti, estrazione di combustibili in testa, vere e proprie “bombe di carbonio”, come le ha definite il Guardian. Tra il 2016 e il 2022, soprattutto negli Stati Uniti, in Cina e in Europa, sono stati concessi a queste società finanziamenti per 1.800 miliardi di dollari. Secondo quanto ricostruito dagli analisti, nonostante la penuria di dati, ci sono almeno 425 siti che potrebbero portare a emettere più di una gigatonnellata di anidride carbonica ciascuno nell’atmosfera, nel corso del ciclo di vita. Di questi, ben 294 sono attualmente in attività e almeno 128 devono ancora iniziare. Venti hanno iniziato a funzionare nel 2020, per lo più miniere di carbone cinesi. Il singolo principale finanziatore di questi progetti è JP Morgan Chase, seguito da Citi, Bank of America, tre banche cinesi (ICBC, Bank of China e Industrial Bank of China) e tre europee (BNP Paribas, HSBC e Barclays).
A lungo termine.
Il mese scorso, poi, l’olandese Shell e la francese TotalEnergies, hanno stipulato contratti ultraventennali con il Qatar per la fornitura di gas. In una lettera aperta indirizzata all’Ad Rael Sawan, due dipendenti della Shell hanno chiesto di non ridurre gli investimenti sulle rinnovabili. A giugno, Sawan aveva dichiarato l’intenzione di rallentare gli investimenti in questo ambito e nelle attività a basse emissioni, dovendo aumentare i ricavi. La società dopo appena due anni ha anche rinunciato al ruolo di responsabile globale delle energie rinnovabili.
Euro 7.
Non va meglio nel settore automobilistico. In Ue ieri il Parlamento europeo ha approvato la sua posizione negoziale sul pacchetto di norme ambientali dei veicoli a motore, il cosiddetto regolamento Euro 7. I deputati hanno in sostanza appoggiato la posizione negoziale del Consiglio, con obiettivi ridimensionati rispetto a quelli della Commissione. La maggioranza si è così spaccata: il testo è passato con 329 sì, 230 contrari e 41 astensioni. A favore si sono espressi i conservatori, i nazionalisti, una maggioranza di liberali e di popolari, e circa un terzo dei socialisti. “Un’occasione sprecata – ha spiegato in una nota Maria Angela Danzì, europarlamentare del M5S – è passata la linea di chi mette la testa sotto la sabbia quando si deve tutelare la salute pubblica”. La proposta della Commissione prevedeva infatti l’entrata in vigore delle nuove norme per ridurre le emissioni a metà 2025 per le auto e a metà 2027 per i camion. Ieri è stato dato l’ok – “Buonsenso” ha commentato la Lega – a spostare tutto di due anni.
Fridays For Future: “Al governo fa comodo dipingerci radical chic: noi lottiamo per tutti”
ESTER BAREL – “C’è un’enorme sproporzione di risorse impiegate per combatterci, come se fossimo dei sabotatori”
ELISABETTA AMBROSI 10 NOVEMBRE 2023
“Pensi che con le alluvioni in Romagna abbiamo perso un albero da frutto su quattro. È un fatto scientifico che gli eventi estremi siano aumentati in Italia, e così le vittime e le perdite. Ci sono dei costi enormi perché ci stiamo dimostrando inerti dopo aver creato un problema, che oggi ci sta investendo e noi stiamo aiutando a investirci”. Parla duramente Ester Barel, venti anni, una dei portavoce dei Fridays For Future Italia. Ma la sua accusa, che è quella degli attivisti ambientali italiani, non è tanto alle generazioni più anziane. “Noi scendiamo in piazza con gente che lavora, adulti, insegnanti. Il vero scontro è tra noi e chi per degli interessi economici si aggancia a una realtà che non è più sostenibile né dal punto di vista umano né ambientale, tra chi sta morendo e chi ci sta mangiando sopra”.
Teme che la Cop28 in arrivo sarà un fallimento?
Si parte molto male, perché come al solito sono presenti più organizzazioni Oil&gas che dei popoli che la crisi climatica tocca. In ogni caso è un momento da sfruttare, anche perché ci saranno alcune “contro cop” che verranno organizzate da attivisti di tutto il mondo, portatori di una radicalità che non è una questione ideologica, ma di sopravvivenza. Non possiamo permettere che si abbassi la tensione, che passino in sordina risultati che rappresentano la morte per milioni di persone, oltre che la scomparsa devastante della biodiversità.
Come giudica il livello della transizione energetica in Italia?
Stiamo continuando a seguire la strada della dipendenza energetica dal gas, anche grazie al legame tra il governo ed Eni, nonostante si sia visto quanto drammatica sia la dipendenza da Paesi senza diritti umani. Questo fantomatico piano Mattei non migliorerà certo la condizione delle persone. L’Italia è lontana da qualsiasi tipo di transizione, non stiamo avanzando sotto alcun profilo. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, un organo tecnico, entro il 2030 il 90% della nostra energia dovrebbe essere prodotta da rinnovabili. Il gas andrebbe ridotto del 70% e dovremmo installare 10 GW di rinnovabili all’anno. Invece, il decreto Semplificazioni ha stretto l’occhio a possibili nuove trivellazioni, non ci sono i decreti per le Comunità energetiche, sono stati tagliati 14 miliardi dal Pnrr per la lotta al dissesto idrogeologico, non ci sono fondi per la mobilità sostenibile. Non è che il governo non sta agendo, lo sta facendo nella direzione sbagliata.
La Lega ha presentato una proposta di legge che inasprisce le pene per gli ecoattivisti, fino all’arresto in fflagranza per chi blocca il traffico…
C’è un clima che prepara a una repressione a vari livelli. Per legittimare nell’opinione pubblica alcuni atti si parte da una narrativa, quella che stanno portando avanti i media di destra, creando un contrasto tra il Paese reale e noi, tra il Paese reale e chi blocca le strade. Si crea un conflitto tra lavoratori e attivisti radical chic ed estremisti che è falso, noi siamo stati e siamo a fianco dei lavoratori della Gkn e della Marelli. Si cerca di spaccare il mondo ambientale tra attivisti buoni che non danno fastidio e gli altri. E poi c’è un secondo tassello, le misure concrete.
Che sono molto pesanti.
Sicuramente l’utilizzo di misure amministrative, la strategia di non passare dai tribunali che hanno garanzie maggiori, l’utilizzo di fogli di via, di multe, di tutto ciò che è più veloce da imporre sta funzionando bene: molti si scoraggiano e non scendono in piazza. C’è un problema enorme di sproporzione di risorse impiegate per combattere noi, come se fossimo un nemico interno. Ma se il dissenso è un nemico questo è un problema.
All’ultimo sciopero il ministro Pichetto Fratin ha detto che siete incoerenti perché avete il cellulare.
Lui è incoerente perché è un ministro per la Transizione e non la sta attuando, quindi è in una posizione peggiore. È facile fare dei commenti che riportano il tema all’individuo, ma lui ha una carica politica ed è responsabile a livello sistemico. È uno scaricabarile molto triste.
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