CAVI SOTTOMARINI: “IL NUOVO DOMINIO DA TENERE D’OCCHIO” da IL MANIFESTO e INSIDEOVER
Cavi sottomarini recisi, mezzo miliardo di africani offline
DISCONNESSIONI. Guasto al largo di Abidjan, da giovedì paesi popolosi come Nigeria e Sudafrica sperimentano seri problemi di connettività. Cittadini, imprese e istituzioni in tilt. Mistero sulle cause e incertezza sui tempi di recupero
Andrea Spinelli Barrile 17/03/2024
Lo scenario in cui oltre mezzo miliardo di persone, tutte allo stesso momento, si ritrovano fuori dal mondo perché Internet va in down e non si riprende più è una delle più inquietanti, distopiche e pericolose eventualità che il mondo potrebbe fronteggiare.
IN REALTÀ QUESTO SCENARIO si è verificato in mezza Africa alle 12:30 di giovedì. A farne le spese, in Costa d’Avorio, Liberia, Benin, Ghana, Burkina Faso (in modo grave), Sudafrica, Lesotho, Nigeria (in modo lieve), Camerun, Gabon e Namibia (a singhiozzo), milioni di individui che fanno fatica, ancora oggi, ad accedere a Internet. In questi Paesi vivono, complessivamente, oltre 400 milioni di persone. E, con loro, le pubbliche amministrazioni, le imprese, i grandi gruppi industriali, tutti stanno avendo problemi più o meno gravi con la connettività. In Costa d’Avorio giovedì pomeriggio era al 4% della sua capacità, il 14% in Benin, 17% in Liberia, 25% in Ghana.
La ragione del blackout, secondo la Nigerian Comunication Commission, l’authority per le telecomunicazioni nigeriana, sarebbero diversi tagli a quattro cavi di comunicazione sottomarini al largo di Abidjan, in Costa d’Avorio: West Africa Cable System (WACS), Africa Coast to Europe (ACE), MainOne e SAT-3. I danni hanno causato problemi di navigazione anche in Portogallo. Il pristino di questi cavi potrebbe impiegare settimane o, addirittura, mesi.
A QUESTI GUASTI SI AGGIUNGONO i tagli ad altri quattro cavi sottomarini, che scorrono sul fondo del Mar Rosso: si tratta dell’East Coast of Africa to Europe (ECAE), l’AAE1, il Seacom/TGN e l’EIG. Come per i cavi in Africa occidentale, anche in questo caso i cavi sono stati recisi.
Come sia successo, ancora non si sa: una delle ipotesi è che la nave britannica Rubymar, colpita dai ribelli yemeniti Houthi il 2 marzo nei pressi dello stretto di Bab el-Mandeb, a largo di Gibuti, abbia danneggiato i cavi affondando.
Diversi operatori di telecomunicazioni dei vari paesi dell’Africa occidentale hanno fatto sapere di aver reindirizzato il traffico sul cavo del South Atlantic Cable System (SACS), che dal 2018 unisce Angola e Brasile e, da lì, a Stati Uniti ed Europa. Altri si stanno affidando ai servizi satellitari e altri ancora a Equiano, cavo che corre tra il Portogallo e l’Africa meridionale, di proprietà di Google. Quello che è chiaro è che la capacità di connessione dell’intero continente è rimasta compromessa per circa 48 ore: niente bonifici bancari, niente telefonate a parenti lontani, niente app per scambio denaro, niente giochi online, social network, niente di niente. Gli operatori stanno provando a ripristinare gradualmente il servizio.
I CAVI PER LE TELECOMUNICAZIONI posati sul fondo del mare trasportano i dati da un lato all’altro del mondo. Il WACS, ad esempio, è lungo più di 14.500 km e unisce il Sudafrica al Regno Unito dall’11 maggio 2012, con 14 punti di approdo, 12 soltanto in Africa. È costato 650 milioni di dollari ed è di proprietà di un consorzio di 12 società.
L’ACE, gestito da un consorzio di 20 membri, serve 24 paesi dell’Europa, dell’Africa occidentale e meridionale, 450 milioni di persone connesse dal 2012, ed è costato 700 milioni di dollari. Lungo 17mila chilometri, corre a circa 6mila metri di profondità sul fondo dell’oceano Atlantico: l’accesso a internet di città come Parigi e Lisbona è garantito da questa infrastruttura. Il MainOne va dal Portogallo al Sudafrica, ha quattro punti di atterraggio ed è attivo dal 2010: questo cavo serve l’intera città di Lagos, in Nigeria, che conta da sola 24 milioni di abitanti ed è il cuore pulsante dell’economia di un Paese da oltre 200 milioni di abitanti. Il SAT-3 collega Portogallo e Spagna al Sudafrica, è attivo dal 2001 e ha 12 punti di atterraggio (solo 3 in Europa).
QUESTI CAVI connettono una regione che ha registrato, negli ultimi anni, una crescita esplosiva della telefonia mobile, dei servizi Internet e demografica: secondo gli operatori di telecomunicazioni i cavi permettono di garantire tariffe inferiori anche del 20% degli attuali prezzi medi globali per la banda larga.
Nel 2020 solo in Africa occidentale si contavano 319,7 milioni di utenti internet ma a possedere uno smartphone era appena il 27,7% della popolazione. Nel 2023, in appena tre anni, questo dato è salito al 43,2%.
Minaccia ai cavi sottomarini, non solo mar Rosso: “Il nuovo dominio da tenere d’occhio”
Andrea Muratore 29 FEBBRAIO 2024
La presunta operazione di sabotaggio della rete di cavi sottomarini nel Mar Rosso di cui si è parlato nei giorni scorsi e che ha visto molti analisti adombrare sospetti sul ruolo degli Houthi yemeniti è ancora tutta da confermare. Ma la partita delle infrastrutture sottomarine, oggigiorno, è cruciale per analizzare i nuovi domini di confronto ibridi e convenzionali. Della necessità di tenere d’occhio il dominio underwater oggi InsideOver dialoga con Luca Galantini, Political and Research Analyst di Frascà&Partners, società di consulenza strategica specializzata nell’analisi geopolitica e di politica internazionale ed attento conoscitore di questo dominio di confronto.
Qual è la minaccia più importante che pone il dominio underwater oggigiorno?
La minaccia maggiore di questo dominio alla nostra sicurezza è quella portata alla rete globale e regionale dei gasdotti, oleodotti e cavi di comunicazione sottomarini, che si configurano tra le principali infrastrutture critiche del nostro tempo, ma che non possono essere efficacemente protette se non nei loro punti terminali. Per esempio, la dipendenza delle odierne società digitali dai cavi di comunicazione sottomarini per le telecomunicazioni globali e la connettività Internet introduce una serie di vulnerabilità che potrebbero essere sfruttate dagli avversari in un conflitto convenzionale o ibrido. Per costrizione geografica, queste infrastrutture che poggiano sui fondali marini devono spesso passare attraverso dei colli di bottiglia (o chokepoints) di straordinaria importanza strategica, come il Mar Rosso che permette di collegare il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano attraverso i suoi stretti. Ciò le rende ulteriormente più vulnerabili.
Che impatto avrebbe un danneggiamento delle reti sottomarine?
Interrompere o sabotare gravemente uno o più di questi cavi transnazionali potrebbe avere conseguenze economiche e strategiche significative, influenzando non solo le operazioni militari ma anche il commercio globale, i mercati finanziari, l’approvvigionamento energetico, il funzionamento del settore sanitario o le semplici comunicazioni interpersonali. Il sabotaggio del Nord Stream 2 nel settembre 2022 ha reso noto al grande pubblico la valenza strategica e geopolitica del dominio underwater. Come ha dimostrato quest’ultimo caso, è estremante difficile individuare con certezza un responsabile a un attacco sottomarino. Mari e oceani offrono un ambiente vasto, profondo e difficile da monitorare, e gli underwater vehicles possono operare in modo molto silenzioso. Inoltre, le tecnologie per individuare e tracciare i movimenti dei mezzi sottomarini sono limitate, specialmente in aree remote e lontane dalla costa.
Si parla di un attacco ai cavi nel Mar Rosso. Che notizie abbiamo?
Le notizie sono ancora incerte, perché ancora non si ha conferma ufficiale del danno da parte di tutte le aziende che gestiscono i cavi che sarebbero stati danneggiati, mentre le società di monitoraggio della linea Internet locale hanno fornito dati contrastanti. Senza almeno la conferma ufficiale dell’accaduto, è possibile solo fare ipotesi su informazioni non troppo verificabili. Secondo la testata giornalistica israeliana Globes, che è stata la prima a lanciare la notizia e che è stata ripresa a domino dagli altri media prima nazionali e poi internazionali, tra il 25 e 26 febbraio il gruppo ribelle Houthi avrebbe danneggiato 4 degli almeno 15 cavi sottomarini transnazionali che, posati sul fondale marino del Mar Rosso, collegano Europa, Asia e Africa. I cavi in questione sarebbero Europe India Gateway (EIG), Asia-Africa-Europe 1 (AAE-1), TGN Eurasia (TGN-EA) e un cavo dell’azienda SEACOM. Al momento, solo quest’ultima ha confermato il danno presso una parte della sua rete che viaggia lungo la rotta subacquea Kenya-Egitto. La responsabilità degli attacchi è stata subito attribuita ai ribelli yemeniti Houthi, già conosciuti dal pubblico per la campagna di attacchi con razzi e droni contro i convogli commerciali e navi porta-container che transitano nel Mar Rosso dall’Oceano Indiano verso il Mar Mediterraneo.
Houthi che con le loro mosse hanno mostrato di far alzare l’asticella della conflittualità in Medio Oriente…
Gli attacchi si inseriscono nella cornice della guerra tra Israele e Hamas, e nell’appoggio degli Houthi verso la causa palestinese, sebbene si leghino agli eventi della Guerra Civile dello Yemen e più in generale nelle tensioni geopolitiche dell’area mediorientale. Tuttavia, il gruppo Houthi non ha rivendicato gli attacchi sottomarini; al contrario, il Ministero delle Telecomunicazioni di Sanaa ha affermato che gli Houthi non sono coinvolti in alcun atto di sabotaggio di cavi e di altre infrastrutture di telecomunicazione nel Mar Rosso. In ogni caso, le minacce (a livello di dichiarazioni) degli Houthi contro la rete di comunicazione sottomarina non sono nuove, ma negli ultimi mesi si sono intensificate. A inizio febbraio, le yemenite General Corporation for Telecommunications e TeleYemen, che fanno riferimento al legittimo governo yemenita ad Aden, avevano rilasciato un comunicato in cui si avvertiva delle minacce Houthi di considerare come obiettivo la rete dei cavi marittimi internazionali posati sul fondale del Mar Rosso. L’avvertimento è arrivato dopo che un canale Telegram collegato agli Houthi ha pubblicato una mappa che mostrava i percorsi dei cavi sottomarini nelle acque di fronte alla costa yemenita, assieme a una serie di affermazioni sulla criticità e importanza di queste infrastrutture.
In che misura si può pensare che gli Houthi abbiano le capacità operative necessarie a sabotare le infrastrutture sottomarine del Mar Rosso?
Molto difficile da stabilire, anche perché non è ancora chiaro come gli Houthi possano aver tecnicamente portato l’attacco o quali specifiche sezioni dei cavi sia state prese di mira. Con un certo grado di sicurezza, è possibile affermare che i ribelli yemeniti non dispongono autonomamente di queste capacità. Nelle settimane passate, molti analisti avevano escluso la possibilità di un attacco alla rete dei cavi sottomarini nel Mar Rosso, declassando la minaccia a semplice bluff, proprio per la mancanza di underwater capabilities da parte del gruppo Houthi. Al massimo si considerava reale la minaccia di un attacco a un terminale, ma non ai cavi stessi. Questa considerazione si basava ovviamente sull’assunto che i principali sponsor esterni dei ribelli, in primis Teheran, non avrebbero appoggiato e/o consentito una simile azione da parte dell’alleato yemenita, per due ragioni. Da un lato, ciò avrebbe esteso la portata della minaccia degli Houthi dal dominio del mare di superficie a quello subacqueo, e quindi potuto determinare una grave escalation con possibili ritorsioni nei confronti degli stessi alleati esterni dei ribelli. Dall’altro, avrebbe inevitabilmente allargato la minaccia all’intera comunità internazionale, dal momento che i cavi sottomarini sono strumenti di interconnessione globale di cui fruiscono virtualmente tutti gli Stati, non solo Israele o i Paesi attualmente impegnati nel contrastare gli attacchi Houthi nel Mar Rosso. Evidentemente, se confermata, questa azione non è stata valutata come troppo rischiosa dal punto di vista strategico da parte di chi ha pianificato l’attacco.
È plausibile pensare a un sostegno esterno al sabotaggio nel Mar Rosso?
Qualora dovesse essere appurata la responsabilità del gruppo Houthi nel sabotaggio, anche in virtù di quando detto sopra, un appoggio esterno all’iniziativa è praticamente scontato. La profondità media delle acque del Mar Rosso è quasi di 500 metri, mentre quella dello specifico Stretto di Bab-el-Mandeb è superiore ai 180 metri. Anche ipotizzando che gli attacchi ai cavi siano stati portati nel punto di posa più prossimo alla superficie, è comunque necessario essere in possesso di droni sottomarini o altri strumenti tecnologici avanzati per recare un danno significativo alla rete. Il principale indiziato per la fornitura di questi underwater systems è ovviamente la Repubblica Islamica dell’Iran, che sostiene militarmente il gruppo Houthi da almeno l’inizio della Guerra Civile in Yemen nel 2014, in funzione anti-saudita, e più recentemente negli attacchi portati dai ribelli yemeniti ai convogli commerciali in transito nel Mar Rosso, quale riflesso della guerra tra Israele e Hamas. Non dimentichiamo che gli Houthi sono un gruppo armato a prevalenza sciita che appartiene al cosiddetto “Asse della Resistenza” sostenuto dall’Iran in funzione anti-americana, anti-israeliana e anti-saudita, di cui fanno parte anche Hamas in Palestina ed Hezbollah in Libano. Il sostegno iraniano può essere stato poi non solo materiale, ma anche di supporto nel mappare la rete sottomarina e nell’individuare i punti migliori dove arrecare il danno all’infrastruttura. Segnalo che la rete dei cavi sottomarini è almeno parzialmente pubblica o comunque di non difficile reperibilità in rete, ma un conto è avere conoscenza della posizione generica del cavo, un altro è localizzarlo fisicamente a centinaia di metri sotto la superficie dell’acqua.
Come si stanno attrezzando le grandi potenze alla gestione della guerra sotto i mari negli anni a venire?
Assieme a quello spaziale e cibernetico, il dominio sottomarino è stato negli ultimi anni sempre più al centro del dibattito negli ambienti della Difesa occidentali, cinesi e russi. Non a caso, le principali potenze stanno perfezionando le loro dottrine strategiche e militari sulla underwater warfare e submarine warfare, per aggiornarle sia alle ultime novità in termini tecnologici, sia al nuovo contesto rappresentato dalla società digitale, il cui funzionamento dipende in modo critico dalle infrastrutture di comunicazione sottomarine. Proprio l’innovazione tecnologica e l’importanza strategica delle infrastrutture critiche posizionate sui fondali marini (come gasdotti, oleodotti e cavi di comunicazione) ha reso il dominio subacqueo di grande rilevanza nella competizione tra Stati. Al di là dell’aspetto prettamente militare, l’importanza dello scenario subacqueo in chiave securitaria è stata (finalmente) colta anche a livello politico, come dimostra la recentissima Raccomandazione della Commissione Europea sulla sicurezza e resilienza delle infrastrutture di cavi sottomarini. Tornado all’aspetto militare, e parlando di mezzi, negli ultimi anni è stata posta un’enfasi significativa sullo sviluppo e impiego di droni sottomarini e altri unmanned underwater vehicles (UUVs) per vari scopi, tra cui ricognizione, sorveglianza, contromisure antimine e persino operazioni offensive, tra cui quelle di danneggiamento delle infrastrutture critiche subacquee. Questi nuovi strumenti offrono il vantaggio di ridurre i rischi per il personale umano estendendo al contempo le capacità operative subacquee. Allo stesso tempo, grandi e medie potenze hanno migliorato le loro capacità nel campo della anti-submarine warfare (ASW) per individuare, tracciare e neutralizzare efficacemente i sistemi underwater nemici. Ciò include l’impiego di piattaforme ASW specializzate, come aerei da guerra antisommergibile, navi di superficie dotate di sistemi di rilevamento avanzati e reti di sensori sottomarini. La regione artica e quella dell’Indo-Pacifico saranno probabilmente quelle aree in cui la dimensione underwater acquisirà ulteriore importanza nei prossimi anni. È qui infatti dove le capacità di guerra sottomarina delle potenze rivali stanno avanzando rapidamente, portando a potenziali rischi di escalation e sfide nel mantenimento della stabilità strategica.
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