CAMBIO DI PASSO UE: “LA SENTENZA DELL’AJA VA RISPETTATA” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CAMBIO DI PASSO UE: “LA SENTENZA DELL’AJA VA RISPETTATA” da IL MANIFESTO e IL FATTO

Cambio di passo Ue. Baerbock: «La sentenza Aja va rispettata»

VERTICE DEI MINISTRI DEGLI ESTERI . «Il diritto internazionale umanitario si applica a tutti, anche alla condotta di guerra di Israele». Crosetto: Tel Aviv «Non più giustificabile». Tajani: «Sì allo stato di Palestina»

Andrea Valdambrini  28/05/2024

Condanna per l’attacco israeliano su Rafah, richiesta a Tel Aviv di dare seguito all’ordine della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja fermando l’offensiva su Rafah, intesa politica per il ripristino di EuBam, la missione di assistenza per la gestione del valico di Rafah. Queste le conclusioni raggiunte dal Consiglio Ue dei ministri degli Esteri riunito ieri a Palazzo Europa di Bruxelles. In aggiunta, il Consiglio ha chiesto a Israele di non smettere di finanziare l’autorità palestinese, che senza fondi potrebbe dissolversi, come anche di evitare di definire l’Unrwa un’organizzazione terroristica, impedendole così di lavorare a Gaza come anche in Cisgiordania.

ABITUATI come siamo a soppesare sottilissimi slittamenti diplomatici tra un vertice di questo tipo e un altro, frutto di estenuanti trattative tra le 27 capitali dell’Unione, stavolta gli elementi di novità risultano decisamente più marcati. Soprattutto grazie a una diversa postura da parte di Berlino. La responsabile Esteri del principale governo europeo nonché tradizionalmente sostenitore di Israele – tanto da mettere il freno ad ogni iniziativa che possa infastidire il governo Netanyahu -, l’esponente dei Gruenen Annalena Baerbock, ha affermato senza mezzi termini che «la sentenza dell’Aja su Rafah va rispettata», aprendo contestualmente alla possibilità di rilanciare la missione Ue per la protezione del confine a Rafah. «Il diritto internazionale umanitario si applica a tutti, e questo vale anche per la condotta di guerra di Israele».

Parole chiare, anche se non è una novità, dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell, che si è detto «inorridito» degli attacchi israeliani e ha rimarcato come «a Gaza nessun luogo è sicuro». Il capo della diplomazia Ue è reduce, insieme al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dall’incontro di domenica scorsa con il premier palestinese Mohamed Mustafa.

IL RICONOSCIMENTO della Palestina è «la cosa giusta da fare» per arrivare alla pace in Medio Oriente, si è detto convinto Mustafa riferendosi al passo di Norvegia, Irlanda e Spagna, che formalmente si compie oggi, e invitando gli altri paesi Ue a seguirne l’esempio. A margine della riunione del Consiglio Esteri ieri, Borrell non solo ha condannato Tel Aviv per il suo mancato rispetto dell’ordine della Cig dell’Aja di fermare l’offensiva su Rafah, ma ha anche difeso il procuratore Karim Khan dall’accusa di antisemitismo: una «intimidazione inaccettabile», come sempre accade «per chiunque faccia qualcosa che non piace al governo Netanyahu».

Dal vertice di ieri sono emersi altri elementi di novità. Il primo, che rimane più sul versante delle intenzioni diplomatiche, è la richiesta dei paesi arabi ieri presenti a Palazzo Europa di una conferenza internazionale di pace per discutere il piano dei due stati, e va a rafforzare una precedente proposta di Bruxelles. Il secondo ha a che fare con sostanziosi interessi commerciali e riguarda l’accordo di associazione Ue-Israele, in vigore dal 2000, su cui già da marzo pendeva un’iniziativa di Madrid e Dublino favorevoli alla revoca. Ora i ministri del 27 chiedono di discutere con Tel Aviv il rispetto dei diritti umani a Gaza, che sulla carta è una delle principali condizioni perché ci possano essere gli scambi. Per avere un ordine di grandezza, basterebbe menzionare i dati ufficiali forniti dalla Commissione Ue: l’Unione è il maggior partner commerciale di Tel Aviv (quasi 30% del suo commercio di beni) e nel 2022 l’ammontare degli scambi commerciali ha raggiunto 46,8 miliardi di euro.

È VERO che e le dichiarazioni, come spesso accade in occasione questi vertici Ue, sopravanzano di gran lunga decisioni reali e i loro effetti concreti, ma la posizione italiana spicca comunque tra quelle dei paesi Ue. Se da Roma il ministro della Difesa Crosetto definisce le scelte militari di Israele a Gaza «non più giustificabili», la linea del governo la detta il ministro degli Esteri Tajani dal Consiglio a Bruxelles: «Siamo favorevoli alla nascita di uno stato palestinese», precisa Tajani «però deve riconoscere Israele e deve essere riconosciuto da Israele. Lo Stato palestinese non può essere guidato da Hamas, che è un’organizzazione terroristica». Ed è a Bruxelles, più che al governo italiano, che si rivolge la segretaria del Pd Elly Schlein, quando afferma: «L’Unione europea si deve muovere con una voce sola e forte per fermare questa follia, che come abbiamo sempre detto si sta traducendo in un’ecatombe». La voce unica in Europa fatica a prendere corpo, ma la direzione di marcia sembra ormai decisa.

“Zero inchieste: giudici docili con Idf e governo”

L’ESERCITO: “70 ACCERTAMENTI IN 7 MESI” – Israele. I giuristi contro la Corte suprema “compiacente” su eventuali reati di guerra. L’ex pm Mazuz: “Mi sarei aspettato molte condanne”

FABIO SCUTO   28 MAGGIO 2024

“Per decenni qui c’è stata l’immunità totale per i militari che danneggiano i palestinesi, in base a ciò non ci sono quasi indagini sui crimini dei soldati e le poche indagini condotte sono uno scherzo”. Va dritto al nocciolo della questione l’avvocato Michael Sfard, uno dei maggiori esperti israeliani di diritto internazionale e diritti umani. “Per anni il pubblico ministero ha favorito i processi di annessione e apartheid e ha difeso ogni metodo di guerra proibito”.

È durissimo il dibattito sulle istituzioni israeliane, sulla loro autonomia, sulla presa sempre più forte che la politica ha anche sui massimi giudici. Un tempo l’Alta Corte godeva di uno straordinario prestigio globale. Oggi, dicono in sostanza gli esperti coinvolti nel dibattito, “non è più un difensore dei diritti umani ma un partito che consente allo Stato di Israele quasi ogni politica che vada a beneficio dei coloni e aumenti le disparità” con i palestinesi.

La tendenza quasi automatica in Israele è quella di sostenere che il sistema giuridico internazionale “è prevenuto” contro lo Stato ebraico – “l’Onu è antisemita” sostiene il premier Netanyahu – e che quindi le indagini “interne” sono inutili. Di fatto negli ultimi 40 anni in Israele non c’è stata un’indagine conclusa con una condanna per un militare, un colono o un politico anche per reati gravi come l’omicidio. Eppure i casi sono migliaia. I giuristi citano la scarsa esperienza della magistratura nell’indagare su episodi di violazione delle leggi di guerra. Giustificazione singolare per un Paese che ha combattuto negli ultimi anni diverse guerre contro altri Stati, un numero infinito di “Operazioni” anti-palestinesi a Gaza e Cisgiordania. Tutto ciò rende difficile per Israele sostenere davanti alla Corte dell’Aja che stia seriamente indagando su se stesso.

La maggior parte della responsabilità di questa situazione ricade sui leader del governo israeliano. Ma secondo alcuni esperti di diritto intervistati da Haaretz, i giudici dell’Alta Corte e le forze dell’ordine – in particolare il procuratore generale, la signora Gali Baharav-Meira e il procuratore di Stato Amit Eisman – avrebbero potuto e dovuto fare molto di più per prevenire la crisi internazionale in cui si trova Israele. Il punto di partenza del dibattito è che Israele dispone di un sistema giudiziario indipendente, nonostante i tentativi insistenti del governo attuale di danneggiarlo e indebolirlo. Ma, dice il Prof. Eliav Lieblich, dell’Università di Tel Aviv “una magistratura indipendente non è sufficiente per prevenire procedimenti internazionali. La magistratura deve indagare attivamente sui sospetti”. Uno dei principali fallimenti dell’applicazione della legge è infatti la mancanza di indagini contro alti funzionari che incitano all’odio, al sangue. Gli uffici del procuratore generale e del pubblico ministero in loro difesa affermano che dall’inizio della guerra sono state indagate più di 80 dichiarazioni di personalità israeliane.

Anche l’Idf sostiene di indagare almeno su 70 presunte “violazioni del codice di guerra” a Gaza. Il giudice (emerito) della Corte Suprema Menachem Mazuz, che è stato anche procuratore generale, esprime disappunto per l’atteggiamento poco brillante dei capi della magistratura. “Come cittadino, mi sarei aspettato condanne forti sulle dichiarazioni di politici e anche ministri su Gaza”. L’avvocato Sfard usa un linguaggio più forte: “Non ci sono indagini, né accuse, e c’è la legittimazione dei metodi di combattimento che devastano vaste aree civili e usano la fame della popolazione civile come carta per raggiungere obiettivi, il che è proibito, indipendentemente dall’importanza e la giustezza dell’obiettivo”. I giudici dell’Alta Corte stanno esaminando una serie di importanti petizioni sui diritti dei palestinesi in guerra. Uno di questi è quello dell’Ong “Gisha to”, che chiede allo Stato di aumentare gli aiuti umanitari a Gaza. Nelle udienze, i Giudici hanno chiesto allo Stato di rispondere a una serie di domande, ma non ha ordinato di intraprendere alcuna azione. In attesa di risposta altre petizioni di familiari dei cittadini di Gaza detenuti in Israele, il 98% è stato respinto per “problemi procedurali”.

Stessa situazione per la richiesta di una Ong di chiudere Sde Teman, carcere per sospetti terroristi palestinesi (definiti combattenti illegali), che come documentato anche dalla Cnn soffrono di abusi e sono tenuti in condizioni terribili. Di loro, 31 sono morti in questi mesi. Per il professor Lieblich, se la Corte penale fosse convinta che Israele stia conducendo indagini serie, potrebbe ritardare i mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant. Ma deve ammettere che “l’esperienza passata con le indagini israeliane non è incoraggiante”.

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