CACCIA AL NEMICO. LO STILE PARANOICO ARRIVA AL POTERE da IL MANIFESTO
Hollywood, lettera aperta contro il neomaccartismo
Arte e politica. 700 attori, tra cui Susan Sarandon e Mark Ruffalo, denunciano il clima da «caccia alle streghe». Le organizzazioni filo sioniste e il silenzio di Sag-Aftra sul cessate il fuoco
Luca Celada, LOS ANGELES 15/09/2024
In una lettera aperta firmata fra gli altri da Mark Ruffalo, dal comico Ramy Youssef, da Susan Sarandon, dal rapper Common e Cynthia Nixon (Miranda di Sex and the city), 700 membri del Sag-Aftra hanno chiesto alla direzione del sindacato che rappresenta 120.000 attori di proteggere gli iscritti dalla discriminazione cui sono soggetti a Hollywood coloro che esprimono solidarietà alla Palestina.
Nel testo, pubblicato questa settimana e ripreso dalla stampa di settore, si legge: «Siamo orgogliosi membri di sindacati e associazioni di categoria (…) uniti in solidarietà con l’appello globale per un cessate il fuoco permanente a Gaza e una pace giusta e duratura. Come artisti e narratori, non possiamo restare a guardare mentre la nostra industria si rifiuta di raccontare la storia dell’umanità palestinese».
IL TESTO denuncia inoltre come Israele abbia intenzionalmente preso di mira giornalisti ed attori palestinesi. «Il 13 dicembre 2023, le forze israeliane hanno attaccato il Freedom Theatre nel campo profughi di Jenin e hanno rapito molti dei suoi membri, colleghi attori e registi, che hanno chiesto solidarietà ai lavoratori del teatro di tutto il mondo».
La lettera è l’ultimo sintomo delle tensioni che l’eccidio a Gaza sta provocando nella capitale del cinema dove è considerevole l’influenza di esponenti filo sionisti. Il mese scorso, ad esempio, la Creative Community for Peace aveva chiesto che fosse revocata alla regista e giornalista palestinese Bisan Owda la nomination per il documentario It’s Bisan from Gaza and I’m Still Alive, candidato ai premi Emmy che verranno assegnati questa sera a Los Angeles. Già insignito di un prestigioso premio Peabody, i film della ventiseienne giornalista di Gaza documenta la sopravvivenza nella Striscia martoriata dai bombardamenti israeliani. Ma il comunicato della Creative Community, associazione filo israeliana nata originariamente in opposizione al movimento di disinvestimento e boicottaggio, l’ha denunciata come portavoce del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, inserita nell’elenco delle organizzazioni terroriste dal governo Usa. La richiesta è stata respinta dalla Academy televisiva.
In seguito agli attacchi terroristi del 7 ottobre, numerose organizzazioni avevano espresso solidarietà con Israele, comprese la Creative Community for Peace e lo stesso sindacato Sag-Aftra. Da allora, si legge però nella lettera, le vittime della rappresaglia a Gaza hanno superato le 40.000 ma nessuna simile solidarietà è stata espressa nei confronti dei bambini e civili morti sotto le macerie.
RICORDANDO che molte organizzazioni globali considerano che sia in corso un genocidio, i firmatari chiedono che il sindacato che li rappresenta si esprima pubblicamente per «un cessate il fuoco permanente e la liberazione di tutti gli ostaggi – palestinesi ed israeliani – e che si ponga fine all’uccisione di civili, operatori sanitari e dei nostri colleghi giornalisti».
Alcuni attori sostengono di essere stati oggetto di intimidazione e minacce dopo essersi espressi a favore di un cessate il fuoco. «Siamo stati inondati di messaggi minatori, anche da produttori. Ho tenuto per la mia carriera», ha detto un attore che ha voluto rimanere anonimo per timore di ulteriori ritorsioni. «È dovere del nostro sindacato proteggerci da questo nuovo maccartismo».
Gabriel Kornbluh
Se la leadership del nostro sindacato insiste nell’allinearsi con la disumanizzazione dei Palestinesi, abdicherà al dovere di rappresentarci.
IL RIFERIMENTO è ai trascorsi dolorosi nell’industria su cui si concentrarono, negli anni cinquanta, le inquisizioni anticomuniste del senatore McCarthy costate la carriera a numerosi artisti, registi e soprattutto sceneggiatori di Hollywood. Durante gli ultimi undici mesi, la repressione e l’azzeramento del dissenso sulla campagna del governo Netanyahu ha suscitato plausibili paragoni con quella «caccia alle streghe». La censura è stata infatti metodica contro la protesta studentesca e, sempre nelle università, contro docenti e intellettuali. Diversi amministratori sono stati convocati dalla speciale commissione sull’antisemitismo del Congresso e hanno perso il lavoro se ritenuti non sufficientemente solerti nel reprimere le proteste. Pur sottoposti a violenti attacchi della polizia e dei filo sionisti, gli studenti contestatori sono stati arrestati e tacciati di antisemitismo, compresi i numerosi ebrei che si sono dissociati dalle azioni del governo estremista di Gerusalemme.
La comunità creativa di Hollywood è stata politicamente sensibilizzata dalla mobilitazione per gli scioperi di cui l’anno scorso sono stati protagonisti i sindacati di attori e scrittori.
«Come membro ebreo (di Sag-Aftra) al governo criminale di Israele dico ‘non nel mio nome’», ha dichiarato a «Hollywood Reporter» Gabriel Kornbluh che durante gli scioperi era coordinator di picchetti. «Se la leadership del nostro sindacato insiste nell’allinearsi con la disumanizzazione dei Palestinesi, abdicherà al proprio dovere di rappresentarci».
Caccia al nemico. Lo stile paranoico arriva al potere
Usa/Italia. Questo fine estate di complotti presunti e di oscuri assedi ai palazzi del potere suggerisce che anche nella politica italiana sia ormai chiaramente riconoscibile quello che in America chiamano lo […]
Massimo Mazzotti 15/09/2024
Questo fine estate di complotti presunti e di oscuri assedi ai palazzi del potere suggerisce che anche nella politica italiana sia ormai chiaramente riconoscibile quello che in America chiamano lo “stile paranoico”. Visti dagli Stati Uniti, i segni sono inequivocabili e familiari.
Questo modo di fare politica viene descritto già nel 1964, in un saggio ormai classico dello storico Richard Hofstadter. È uno “stile” che affonda le sue radici in quella fucina della modernità che fu la Rivoluzione francese. Hofstadter lo associa per lo più, ma non esclusivamente, con la politica di destra, e ne ricostruisce la persistenza nella vita politica americana, dai presunti complotti massonici, cattolici, ed ebraici fino al maccartismo e all’ossessione anticomunista degli anni Cinquanta. Quella in cui scrive Hofstadter è l’America della Guerra Fredda e dei film di fantascienza sugli ultracorpi, un paradiso della paranoia dove non ti puoi fidare neanche dei familiari e degli amici, perché potrebbero essere, in realtà, degli alieni.
Per Hofstadter la politica paranoica è un fenomeno persistente ma tutto sommato secondario, che emerge periodicamente per poi ritirarsi come un’onda con il cambiare delle condizioni sociali e politiche. Ma nell’era di Donald Trump, e dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, il suo saggio appare molto più sinistro, e lo stile paranoico sembra un’onda senza riflusso. L’analisi di Hofstadter è acuta e attuale perché non descrive un’ideologia o un movimento specifico, ma piuttosto uno stato d’animo collettivo e un modus operandi – uno stile, appunto – caratterizzato da una sospettosità pervasiva e da fantasie cospiratoriali che da occasionali diventano totalizzanti. La politica paranoica è apocalittica: sempre sulle barricate a difendere una cultura, una civiltà, un sistema di valori dalla distruzione completa, e non ci sono compromessi possibili con le forze oscure che tramano contro. Per il politico paranoico siamo sempre allo scontro finale, e in bilico sull’abisso. La cospirazione non è un episodio ma il paradigma con cui si interpreta la realtà.
Quello di Hofstadter è uno studio storico ma anche un campanello d’allarme. È convinto che lo stile paranoico in politica sia un pericolo per la democrazia perché porta al centro della vita politica le emozioni – la paura, in particolare – invece che il discorso razionale e la mediazione tra i legittimi interessi dei gruppi sociali. Ma quello che descrive è ancora un mondo in cui lo stile paranoico è adottato per lo più da figure marginali o da politici perdenti, come il repubblicano Barry Goldwater, che viene sconfitto da Lyndon Johnson nelle elezioni presidenziali del 1964.
Oggi invece, negli Stati Uniti e non solo, lo stile paranoico è diventato mainstream. E se a praticare lo stile paranoico è chi detiene le leve del potere, le cose cambiano molto. Le fantasie cospirative non sono più solo bizzarre proiezioni di paure e insicurezze, ma diventano uno strumento politico per delegittimare l’opposizione e giustificare l’attacco ai presunti nemici del popolo.
Un elemento essenziale dello stile paranoico in politica è il timore dell’infiltrazione. Il senatore McCarthy scrisse un libro intero per dimostrare che il segretario di stato George Marshall – quello del piano Marshall, tanto per capirci – era una spia sovietica che tramava contro gli interessi americani. Finita la Guerra Fredda, e venuto a mancare l’arcinemico sovietico, ritornano in auge i nemici di sempre: immigrati, ebrei, omosessuali, liberals, e, con crescente frequenza, musulmani. La teoria che Barack Obama fosse segretamente un musulmano segna un’ovvia continuità con le accuse maccartiste di cripto-comunismo.
Per quanto sembrino distanti dalla cupa paranoia politica americana e dalle sue tragiche conseguenze, le vicende buffonesche delle tarde cronache estive italiane hanno innescato meccanismi di difesa, da parte della maggioranza, che riprendono in pieno gli stilemi della politica paranoica. E lo spettacolo di un governo asserragliato, impegnato a denunciare una sequenza strabiliante di complotti immaginari, non dissipa certo le perplessità.
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