“BUGIE E PREGIUDIZI SUI POVERI. UN ERRORE ABOLIRE IL REDDITO” da IL FATTO
“Bugie e pregiudizi sui poveri. Un errore abolire il Reddito”
L’INTERVISTA – L’ex ministro di Lula, oggi deputato in Brasile, è il padre della “Bolsa Familia”, simile al Rdc: “Ora vogliono riportarci all’epoca della schiavitù”
ALESSANDRO BONETTI E GIORGIO MICHALOPOULOS 25 SETTEMBRE 2023
Il dibattito sulla necessità di misure a sostegno dei cittadini a basso reddito è più vivo che mai. Dall’ultima assemblea delle Nazioni Unite il presidente brasiliano Lula e quello statunitense Biden hanno lanciato una iniziativa congiunta per difendere i diritti dei lavoratori. Il Brasile è tornato protagonista. Patrus Ananias, storico compagno politico di Lula, già ministro dello sviluppo sociale nella prima presidenza Lula (2004-2010) e dello sviluppo agrario con Dilma Rousseff (2015-2016), oggi è deputato federale e da ministro ha creato la “Bolsa Familia”, una misura molto simile al Reddito di cittadinanza.
Ananias, il governo Meloni lo ha abolito. Che risultati ha avuto in Brasile?
Abbiamo iniziato con un importo specifico e con l’idea di raggiungere sempre più famiglie. Chi ha un reddito basso non riesce a godere dei diritti fondamentali: cibo, istruzione, assistenza sanitaria. È costretto a togliere i bambini da scuola per farli lavorare. Nella Bolsa Familia abbiamo cercato sinergie con i governi statali e municipali e integrato il programma con altre politiche, come l’assistenza sociale e la sicurezza alimentare (ristoranti popolari, cucine comunitarie, azioni sull’agricoltura familiare). Lo stesso per la salute: vaccinazioni, assistenza sanitaria preventiva, ospedali e cliniche per le comunità più povere. Siamo riusciti a togliere il Brasile dalla mappa della fame durante i primi governi Lula, con le battute d’arresto successive (lo smantellamento della Bolsa Familia e delle politiche sociali voluto da Jair Bolsonaro) ci siamo tornati. Abolire misure come la Bolsa Familia o il Rdc italiano è un errore.
Qual è il bilancio della nuova presidenza Lula finora?
Dopo le elezioni, il Congresso ha approvato un emendamento costituzionale che ha reso possibili nuovi investimenti strategici. Abbiamo potuto riprendere anche il programma della Bolsa Familia. Oggi la sfida è il Congresso a maggioranza conservatrice. Serviranno dialogo e molti negoziati.
Un mito sul Rdc, e su misure come la Bolsa Familia, è che disincentiva il lavoro.
Una visione che riporta all’epoca della schiavitù e all’idea che i poveri siano fannulloni.
Come rispondono i risultati della Bolsa Familia?
I pregiudizi sui poveri servono per tutelare un capitalismo selvaggio, ma le ricerche li hanno smontati: il denaro di Bolsa Familia è usato principalmente per cibo, materiale scolastico, e assistenza sanitaria. Si apre il mercato del lavoro, le famiglie povere acquistano beni e servizi di base, aumenta l’autostima: è fondamentale per una società democratica. A volte intere famiglie non sono in grado di lavorare per ingiustizie e discriminazioni radicate nella brutale concentrazione di reddito e ricchezza. Senza quel denaro morirebbero di fame.
In Italia si discute molto anche di salario minimo legale, che ancora non c’è.
Sono sorpreso, non sapevo che in Italia non ci fosse.
In Brasile una delle prime mosse di Lula è stata aumentarlo…
È una conquista di civiltà che però ha successo solo se cerchiamo di generare più occupazione. Deve essere integrato con programmi come la Bolsa Familia per le famiglie fuori dal mercato del lavoro e con le politiche su istruzione e salute.
L’attuale governo Lula nasce da un’ampia coalizione. In Italia governi così hanno vita breve. Come ricostruirà il campo della sinistra brasiliana?
Le forze politiche conservatrici sono cresciute in Brasile, in Italia e nel mondo. Si è diffusa l’idea dello Stato minimo, del mercato come punto di riferimento ultimo. È un deplorevole passo indietro storico, ma i segnali c’erano da tempo. La sinistra non vi ha prestato attenzione. Oggi la destra va contrastata, anche in modo didattico. Un modo per opporsi democraticamente a un Congresso conservatore è avere una società mobilitata e viva, con più movimenti sociali a segnalare il desiderio di cambiamento.
Anche se sulla carta il Congresso non è favorevole, ad agosto ha approvato il Bilancio senza grandi modifiche. Quali sono le spese urgenti?
Il ministro dell’economia Haddad è molto competente. Abbiamo negoziato e il governo Lula ha cercato il sostegno dei settori più conservatori. Le questioni più urgenti sono la riforma agraria, una significativa riforma fiscale, la riforma urbana e l’espansione delle politiche sociali. Dobbiamo avanzare nella conoscenza e nella ricerca per ottenere la piena sovranità.
È una parola molto usata in Italia. Come la interpreta?
Dobbiamo affermare un progetto di indipendenza produttiva. Ad esempio, il Brasile deve investire efficacemente nella produzione di farmaci per non dipendere solo dal mercato internazionale.
Parliamo di Brics: il recente ingresso di nuovi Paesi farà perdere influenza al Brasile?
Dopo un lungo letargo, Lula ha riattivato le relazioni estere. Sono favorevole all’espansione dei Brics, sono Paesi che si trovano in una fase comune di sviluppo economico, con sfide simili. Aiuta a rompere l’egemonia che gli Usa mantengono in sintonia con le tendenze conservatrici europee.
Crede che il Brasile sia in buona compagnia con tutti i nuovi membri?
Non ho simpatia per le dittature, né per i governi che non rispettano i diritti umani e la dignità della persona, ma questo è il mondo in cui viviamo. Più ci segreghiamo, più la situazione peggiora. I Brics non saranno la panacea, ma sono uno spazio che permette di dialogare senza violenza e guerra.
Con l’Ue, invece, le relazioni sono sempre più tese. Non si riesce a cooperare?
In gran parte, i Paesi sviluppati hanno costruito il loro progresso sfruttando l’America Latina e ancor più l’Africa, ma anche l’Asia. Quando ero ministro del governo Lula ricordo un incontro con un ministro francese: parlavamo di scambi commerciali e lui disse che la protezione della produzione agricola francese non si poteva mettere in discussione. Dunque il dialogo è possibile, ma il punto di partenza è che ognuno difende i propri interessi.
Reddito cittadinanza, i movimenti in piazza. Proposta una legge d’iniziativa popolare
LEONARDO BISON 24 SETTEMBRE 2023
Il movimento per la difesa e l’estensione del reddito di cittadinanza cresce e si organizza, nonostante il taglio dei sussidi abbia mandato in difficoltà chiunque ne avesse bisogno per mettere un piatto a tavola. Ieri, nella facoltà di Scienze Biochimiche della Sapienza di Roma si è tenuta la prima assemblea nazionale del movimento “Ci Vuole un Reddito”, lo stesso che ormai conta circa 130 sigle aderenti e che il 27 giugno scorso aveva portato in piazza a Roma oltre 2mila persone. Dalle 10 alle 17 si è discusso delle prossime tappe per evitare che il sussidio di povertà non resti solo un lontano ricordo, ma possa anzi essere allargato, in un ragionamento complessivo basato sulla necessità di una casa, di salari accettabili e di un reddito dignitoso per tutti. C’erano volti noti dell’attivismo romano e campano, sindacalisti, studenti, attivisti per la casa o l’ambiente ed ex percettori di reddito, attivatisi per la prima volta nel corso dell’ultimo anno. “Il nostro orgoglio”, spiega al Fatto una delle organizzatrici, “non è per nulla semplice spingere una persona beneficiaria di un pacco alimentare a farsi attivista che si impegna per i propri diritti”, anche per le ovvie difficoltà economiche in cui versa. Rita, un’ex percettrice, interviene dal palco: “Il 27 luglio mi hanno tolto il reddito, sono andata dall’assistente sociale, sono occupabile, ma chi mi dà da lavorare a 59 anni?”. Molti ex beneficiari, mi spiegano, stanno semplicemente ignorando la nuova piattaforma del Ministero del Lavoro: troppo poche offerte, troppi vincoli vessatori per un sussidio troppo misero. “Con due lavori part-time in nero alla fine prendi di più”, notano. Il cuore pulsante della protesta però resta nel napoletano, dove “il punto di precipitazione è arrivato con il taglio, in estate”, nota Mario Avoletto dei Comitati di Napoli, “lì abbiamo scoperto questo mondo delle chat che si auto-organizzano”, ma la sfida è non relegare la protesta al Sud e alla Campania. L’assemblea si chiude con la sala ancora piena, che decide di lanciare una legge d’iniziativa popolare per ricostituire un reddito di cittadinanza più inclusivo. E poi la mobilitazione, che proseguirà con costanza in Campania, e nelle piazze dei sindacati, il 7 ottobre, e per il diritto alla casa, il 19 ottobre, verso una nuova manifestazione nazionale incentrata sul Rdc che si terrà a Napoli alla metà di novembre. “Ci aiutano le associazioni e non il governo”, rincara Rita, “così non va bene. Diamoci da fare”.
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