BIOCARBURANTI, LA GRANDE TORTA CHE ENI VUOLE TUTTA PER SÉ da IL FATTO
Biocarburanti, la grande torta che Eni vuole tutta solo per sé
Auto – I governi Draghi e Meloni hanno aiutato il “Cane a sei zampe” che punta a raddoppiare la produzione in Italia
Nicola Borzi 11 Novembre 2024
Mentre in Europa si discute l’abbandono dei combustibili fossili nei trasporti, l’Italia va in direzione opposta e sostiene i biocarburanti. Ma solo quelli prodotti da Eni.
I biocarburanti, come il biodiesel, sono ottenuti da materie organiche rinnovabili (piante, alghe e rifiuti) e miscelati ai fossili per ridurne l’impronta carbonica. Nella Ue il biodiesel vale 31 miliardi l’anno e la sua produzione impiega 3.700 persone in 18 Paesi membri. Ma molti governi segnalano che il boom dell’export di olio di cucina esausto – tecnicamente un rifiuto – da Malesia e Cina, quasi decuplicato dal 2021 al 2023, è ben superiore a quanto raccolto a livello nazionale, con il rischio di alimentare frodi di etichettatura e di alterare il mercato con biodiesel fraudolento a basso costo. Si teme che l’olio di palma, soggetto a restrizioni Ue per il suo impatto sulla deforestazione, sia spacciato per il più costoso e meno inquinante olio da cucina esausto per produrre biocarburanti. Oltre al prezzo, il vantaggio delle frodi è che per la Ue i biocarburanti ricavati da scarti, come oli usati e grassi animali, sono conteggiati due volte il loro contenuto di energia per ottenere i “certificati verdi” (come i Cic italiani) che i produttori di fonti fossili usano per centrare gli obiettivi comunitari sulle energie rinnovabili e il taglio della CO2. Nell’ultimo biennio Irlanda e Regno Unito hanno avviato inchieste, come pure la Commissione Ue che, spinta da Francia e Germania, il 20 dicembre scorso ha lanciato un’indagine sul dumping del biodiesel cinese.
Di biocarburanti si è parlato a Bruxelles anche il 7 novembre: nelle audizioni sulla formazione della nuova Commissione Ue gli eurodeputati Silvia Sardone (Lega) e Michele Picaro (FdI) hanno chiesto al commissario in pectore al clima, Wopke Hoekstra, quale sarà il loro ruolo: un chiarimento caro a petrolieri e filiera dell’auto che vogliono bloccare lo stop ai motori endotermici previsto nel 2035. Ma il Commissario designato ha ribadito che non c’è spazio, poiché difficilmente questi carburanti possono raggiungere le emissioni zero.
Sebbene sia fondamentale per la transizione energetica, il biodiesel è però in crisi. A fine luglio Shell ha fermato la costruzione di una bioraffineria in Olanda, perdendo 780 milioni di dollari, e di recente Bp ha abbandonato i piani per due delle sue cinque bioraffinerie. È proprio l’import cinese a basso costo a comprimere i margini. Inoltre alcuni Paesi, come Finlandia e Svezia, hanno allentato i minimi di carburanti rinnovabili da miscelare per il trasporto o il riscaldamento, cercando di ridurre i costi. D’altronde molti produttori Ue si affidano alle leggi nazionali per sostenere la domanda.
È la strada seguita anche dai governi Draghi e Meloni: l’Italia – unico Paese Ue – il 10 settembre 2023 al G20 è entrata tra i 9 Stati fondatori dell’Alleanza globale per i biocarburanti. Ma il settore è spaccato: da un lato i produttori del classico biodiesel da fonti vegetali, riuniti in un gruppo che fa capo ad Assitol, l’associazione dei produttori di olio, dall’altra l’Eni, unico produttore nazionale di Hvo (olio vegetale idrotrattato), biocarburante ottenuto idrogenando oli esausti, scarti di grasso animale e oli vegetali. Il motivo è economico: la filiera dei biocarburanti liquidi, di cui l’Italia è all’avanguardia dagli anni 90, ha una capacità produttiva di 2,2 milioni di tonnellate di biodiesel e Hvo. In Italia, tra diesel e benzina, nel 2021 i consumi di carburanti superavano i 30 milioni di tonnellate, ma sono destinati a calare per la diffusione delle auto ibride ed elettriche. In base alla norma Ue che prevede un mix obbligatorio di almeno il 16% di rinnovabili, entro il 2030 l’Italia – se continuerà a privilegiare i biofuel – ne dovrà usare quasi 5 milioni di tonnellate: oltre il doppio della produzione attuale. Un business gigantesco.
Ma non basta. “Oltre al target Ue, il governo ha introdotto un ulteriore obiettivo di 300 mila tonnellate di biocarburanti Hvo in purezza per i trasporti, con un incremento di 100 mila tonnellate l’anno per arrivare al 1 milione nel 2030. Ha poi assegnato un contributo in conto capitale di 260 milioni in tre anni per riconvertire le raffinerie tradizionali in bioraffinerie. Un aiuto sicuramente andato a beneficio di Eni che, oltre ad approvvigionarsi di oli esausti e grassi animali, sta investendo notevolmente nei raccolti agricoli per produrre biodiesel, specie in Africa, anche grazie al Piano Mattei del Governo Meloni. Tuttavia, “i risultati sul campo si dimostrano molto inferiori agli obiettivi industriali e di impatto sociale annunciati dal colosso petrolifero”, spiega Carlo Tritto, Sustainable fuels manager per l’Italia di Transport & Environment (T&E), Ong che ha da poco condotto un’inchiesta approfondita sui progetti africani legati ai biofuel del “Cane a sei zampe”. Il 20 marzo 2023, insieme a Legambiente, Greenpeace, Wwf e altre Ong, T&E aveva scritto al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, esprimendo forti perplessità proprio sul decreto biocarburanti e chiedendo la revisione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec). Per le associazioni era necessario rivedere il contributo dei biocarburanti e sostenere il phase out delle auto endotermiche, ma il Governo, invece di elettrificare i trasporti stradali per ridurre consumi e import di petrolio, continua a puntare sulle fonti fossili e sembra favorire Eni (di cui è principale azionista) a scapito degli altri produttori nazionali.
Il casus belli è il decreto 343 emesso il 20 ottobre 2023 dal Mase, che ha istituito i “biocarburanti liquidi in purezza assimilati”: sebbene miscelati con fonti fossili, sono equiparati a quelli puri. La norma è stata contestata il 12 dicembre 2023 al Tar da Assobiodiesel e Assitol, secondo le quali il Mase ha travalicato le sue attribuzioni istituendo una nuova classe di prodotti incentivati. Contro il ricorso si è costituito il gruppo Eni, che insieme a Bonifiche Ferraresi punta sui raccolti agricoli per biocarburanti. Il 15 ottobre, il Tar ha respinto il ricorso di Assitol e Assobiodiesel. Secondo Eni, “il Tar ha ritenuto il ricorso improcedibile per carenza d’interesse e da respingere in quanto infondato sotto ogni profilo di merito”. Il Mase non commenta. Ma Assitol valuta se ricorrere al Consiglio di Stato. Secondo l’associazione “la prima forzatura del decreto è l’introduzione del concetto di ‘purezza assimilata’, assente nella norma Ue. In pratica è considerata ‘pura’ una miscela tra 80% di carburante fossile e 20% di biocarburante liquido: una novità senza precedenti che distorce il mercato. La norma poi iper-incentiva l’obbligo ‘in purezza’ fino a concedere 4 Certificati di immissione in consumo (Cic) in caso di immissione ‘in purezza’. Un bonus non previsto dalle norme Ue, a cui si aggiunge la mancata separazione tra gli obblighi ‘in purezza’ e quelli tradizionali di miscelazione. Così i biocarburanti ‘in purezza’ hanno fagocitato quelli della miscelazione, bloccandoli e causando la svendita del biodiesel. Un altro provvedimento ha poi esteso l’accisa agevolata per il gasolio commerciale al solo Hvo, prodotto in Italia esclusivamente da Eni. Un’altra distorsione che favorisce l’Hvo a scapito del biodiesel, al quale non è stata estesa l’agevolazione di accisa”. Per Assobiodiesel “a causa del decreto le aziende, estromesse dal mercato della ‘purezza’, hanno subito drastici cali di vendite e prezzi, con enormi costi di stoccaggio”. Assitol chiede che il comparto del biodiesel possa operare in parità con l’Hvo sui biocarburanti in purezza, eliminando la diversa incentivazione dei Cic. Ma a quanto pare Eni non vuol dividere la torta con nessuno.
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