2010, USA: “BIBI AUTOLESIONISTA, FOMENTA HAMAS” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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2010, USA: “BIBI AUTOLESIONISTA, FOMENTA HAMAS” da IL FATTO

2010, Usa: “Bibi autolesionista, fomenta Hamas”

CASA BIANCA – Le note dell’epoca Obama, oggi declassificate. Sotto accusa la linea d’Israele, che stronca le speranze dei palestinesi di isolare il movimento integralista

FABRIZIO D’ESPOSITO  19 NOVEMBRE 2023

Il democratico Barack Obama e il conservatore Benjamin Netanyahu. Nonostante le storiche e strette relazioni tra Stati Uniti e Israele, i due non si sono mai piaciuti. Nel settembre del 2010, entrambi sono da poco più di un anno ai vertici dei rispettivi Paesi. Si sono anche incontrati, a marzo, alla Casa Bianca. Una discussione tesa, zeppa di spigoli.

Da tre anni, Hamas ha il controllo della Striscia di Gaza. Sin dal suo insediamento nel gennaio del 2009, Obama si è posto l’obiettivo dei due popoli e due Stati e ha nominato l’ex senatore George Mitchell come inviato speciale per il Medioriente. Poi ha chiesto, ottenendola, una moratoria di dieci mesi a Israele sulla colonizzazione dei Territori occupati. E lo stesso Netanyahu, tornato a fare il primo ministro nel febbraio del 2009, per la prima volta – e pressato da Washington – ammette la creazione di uno Stato palestinese, ponendo alcune condizioni. Tratteggiata la cornice, torniamo dunque al settembre del 2010. Nell’ultima decade del mese. Il 23, alle Nazioni Unite, il presidente degli Stati Uniti annuncia la possibilità di uno Stato palestinese entro il 2011. Tre giorni dopo, Israele riprende però la colonizzazione dei Territori occupati. Moratoria finita.

Ed è così che il 30 settembre al Dipartimento di Stato, dove c’è Hillary Clinton, arriva un lungo cablo “confidenziale” firmato da Martin Indyk. Già due volte ambasciatore in Israele con l’amministrazione di Bill Clinton, Indyk conosce ogni piega del conflitto israelo-palestinese, al punto che tre anni dopo Obama lo nominerà inviato speciale per il Medioriente. Il cablo ha per oggetto “Trattare con Netanyahu” e il Fatto dà conto del testo, inedito, grazie all’attività di ricerca dello studioso Andrea Spiri sui documenti declassificati dal Dipartimento di Stato americano. Il diplomatico clintoniano abbozza un ritratto di Netanyahu che si sovrappone con perfezione drammatica al “Bibi” di oggi che sta facendo la guerra a Gaza.

Scrive Indyk: “Le tattiche negoziali di Bibi sono diventate autolesioniste. Credendosi un grande negoziatore che opera nel bazar del Medioriente, egli gonfia le sue richieste ben oltre ogni ragionevole aspettativa, nella convinzione che questo sia il modo per assicurarsi il risultato migliore. L’azione per portarlo a posizioni ragionevoli consuma molte energie, molta buona volontà, umilia il suo partner negoziale palestinese e solleva dubbi sulla sua serietà. Alla fine, dopo grandi pressioni da più parti, egli farà la concessione finale, ma solo dopo aver perso molto tempo, dopo aver fatto infuriare tutti, senza assicurarsi crediti né presso i suoi sostenitori né presso i partner con cui deve negoziare”.

Il cablo dell’ex ambasciatore ha due destinatari: l’allora inviato di Obama, il citato Mitchell, e Jeffrey Feltman, assistente di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato. I due hanno chiesto consiglio a Indyk su cosa fare. E lui, rispondendo, si sofferma pure sulle caratteristiche profondamente negative del primo ministro israeliano, che ha persino il timore di passare per “fesso”: “In fondo, sembra che a Netanyahu manchi la generosità di spirito. Questo, unito alla sua leggendaria paura di essere visto come un freier (“fesso”) di fronte al suo popolo, crea un vero problema nei negoziati, soprattutto perché egli ha in mano la maggior parte delle carte. (…) E se non fa subito l’accordo con Abu Mazen (presidente dell’Anp, ndr), contribuirà a far avanzare il futuro che più lo preoccupa: la presa di potere di Hamas sulla leadership palestinese”.

In pratica, per Indyk, Netanyahu è un negoziatore votato al fallimento. La sua politica, questo il passaggio centrale, rischia di deprimere le speranze degli stessi palestinesi che combattono il terrorismo di Hamas: “Yuval Diskin, direttore dei servizi di sicurezza interni israeliani (fino al 2011, ndr), mi ha riferito di avere messo in guardia Netanyahu: al momento, i palestinesi hanno una grande motivazione nel prevenire il terrorismo, perché credono di essere sul punto di costruire il loro Stato. Se ciò dovesse rivelarsi un’illusione, la motivazione verrà meno e non si potrà garantire la sicurezza in Cisgiordania (…). Cosa fare? (…) Cercate di fargli capire che le sue tattiche negoziali sono controproducenti per i suoi stessi obiettivi. In qualità di amici, occorre dipingergli un quadro realistico sulle conseguenze strategiche delle sue tattiche negoziali, in particolare riguardo a cosa potrebbe accadere alla leadership dell’Autorità palestinese se Netanyahu si preoccupasse solo della sua politica e non anche della politica di Abu Mazen”.

Tra i documenti declassificati dal Dipartimento di Stato, c’è un altro cablo di notevole, se non clamoroso, interesse. Stavolta a firmarlo è Sidney Blumenthal, storico e controverso e consigliere di Bill Clinton poi vicinissimo a Hillary, cui è indirizzato il testo. Siamo sempre nel 2010, all’inizio di giugno e subito dopo l’incidente della Freedom Flotilla, avvenuto il 31 maggio. Blumenthal scrive il 1° giugno. La FF fu bloccata in mare dalle forze israeliane: trasportava aiuti umanitari ai palestinesi nonostante il blocco di Gaza. Il consigliere clintoniano stronca Israele e addirittura suggerisce un “approccio aperto” verso Hamas, comunque considerata dagli Usa un’organizzazione terroristica, e chiede un intervento diretto dell’allora vicepresidente Joe Biden.

Sostiene Blumenthal: “Gli Stati Uniti non devono sostenere la propaganda israeliana sull’incidente. Non va fornito alcun supporto diplomatico sul punto. Dobbiamo avanzare una calma e insistente richiesta di verifica degli accadimenti. Non deve ripetersi un incidente del genere, un fatto accaduto senza informare gli Stati Uniti, salvo poi aspettarsi che gli Usa ne giustifichino le conseguenze, pur in presenza di un fiasco totale. Qualcuno, nei posti di comando, dovrebbe fare una bella ramanzina agli israeliani, (…) il compito dovrebbe spettare a Joe Biden. Il nostro ambasciatore, Michael Oren, un uomo dalla faccia pulita, ha imperversato sulla tv statunitense sostenendo la bugia spudorata che Hamas non è stata eletta. Con ampie argomentazioni, insistendo anche sulle relazioni tra Stati Uniti e Israele al punto di rottura, bisognerebbe convocare Oren e sottoporlo ad un trattamento completo da parte di Biden”.

Ed ecco il suggerimento finale: “L’embargo di Gaza è assolutamente controproducente, soprattutto per gli interessi di Israele, ma più favorisce risultati negativi e più gli israeliani lo rafforzano. (…). Gli Stati Uniti pare abbiano contatti con Hamas attraverso terze parti. Forse l’approccio americano ad Hamas, ovviamente senza giungere ad un riconoscimento, dovrebbe essere più aperto”.

Due anni dopo, Obama viene rieletto alla Casa Bianca. Il bis ha la data del 6 novembre. Passano 12 giorni e a Hillary Clinton arriva un cablo di Jacob Sullivan, altro consigliere dell’amministrazione Obama. L’oggetto è: “Le condizioni di Hamas per un cessate il fuoco”, nel corso dell’ennesima crisi sanguinosa con Israele. Sullivan riferisce di una mediazione egiziana: “Le condizioni di Hamas per un cessate il fuoco, così come Khaled Mesh’al (presidente dell’ufficio politico di Hamas, ndr) le ha presentate al direttore dell’intelligence egiziana, sono le seguenti: la rimozione del blocco marittimo su Gaza, la fine delle operazioni volte all’assassinio dei suoi leader e garanzie internazionali. Hamas ha anche chiesto l’apertura del valico di frontiera di Rafah per consentire il passaggio di merci e persone”. Lapidario il commento di Sullivan: “Condizioni piuttosto assurde”.

“Netanyahu rafforzò i terroristi già nel ’97 liberando lo sceicco”

GERUSALEMME – Il console degli Stati Uniti

FD’E  19 NOVEMBRE 2023

Anche l’amministrazione di Bill Clinton ha avuto i suoi problemi con Netanyahu. Clinton cominciò il suo mandato nel 1993, che è anche l’anno degli accordi di pace di Oslo, che fecero “nascere” l’Anp, tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat. “Bibi”, invece, divenne per la prima volta capo del governo nel giugno del 1996. Un anno dopo, Israele, in uno scambio di prigionieri, libera lo sceicco tetraplegico Ahmed Yassin, capo spirituale di Hamas. A Gerusalemme, il console degli Stati Uniti, John E. Herbst, spedisce alla Segreteria di Stato un cablo critico sulla politica israeliana.

Scrive il console, il 1° novembre 1997: “Hamas si è rafforzata in seguito al tentativo israeliano di uccidere, il 25 settembre ad Amman, il capo del suo Ufficio politico, Khaled Mesh’al, e alla successiva liberazione del suo fondatore, lo sceicco Ahmed Yassin (ucciso a Gaza nel 2004). Questi eventi, però, non hanno rappresentato un analogo rafforzamento sul fronte del sostegno ad Arafat. Molti palestinesi, soprattutto in Cisgiordania, ritengono che l’intesa sulla liberazione di Yassin sia stata conclusa in maniera frettolosa e concessa troppo generosamente da parte di Israele”. Herbst analizza poi in maniera realistica i rapporti di forza tra Hamas e l’Anp: “Hamas pone grandi problemi per l’Autorità palestinese (…). Tutto quello che Hamas sostiene in merito alla corruzione dell’Autorità palestinese e allo stile di governo autocratico di Arafat tocca le corde della gente, che guarda invece ad Hamas come a un’organizzazione caritatevole, onesta e trasparente in netto contrasto con la percezione comune che si ha sul governo e sull’apparato burocratico dell’Autorità palestinese. Hamas è consapevole del fatto che il palestinese medio è insoddisfatto per le condizioni stagnanti dell’economia e per la corruzione dell’Autorità palestinese, e continuerà a sfruttare questi sentimenti per sbarazzarsi dell’autocrate Arafat. L’incapacità di governare democraticamente è il tallone di Achille di Arafat”. L’anno successivo, il 25 marzo 1998, in un’altra nota confidenziale alla Segreteria di Stato, Herbst stronca le dichiarazioni di Ariel Sharon, all’epoca ministro del governo Netanyahu, sulla volontà di Israele di assassinare il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Mesh’al: “Questa nota desidera aggiungere un punto di vista sulla questione palestinese, con riferimento particolare alle preoccupazioni espresse da chi (per esempio gli egiziani) ha reagito negativamente all’affermazione del ministro Sharon secondo cui gli israeliani proseguiranno nei loro tentativi di assassinare il capo dell’Ufficio politico di Hamas, Khaled Mesh’al. La reazione degli Stati Uniti di fronte a questa minaccia è apparsa debole a molti, anzi è sembrata quasi un tacito sostegno a compiere l’omicidio. È stato inoltre sottolineato come le parole di Sharon possano rappresentare una ragione in più per Hamas di colpire Israele e ostacolare il processo di pace”.

Nel commento finale al cablo, il console Usa condanna il metodo dell’assassinio politico: “La nostra nazione rifiuta l’assassinio come strumento legittimo da utilizzare nelle relazioni internazionali. Non serviremmo la causa dei nostri interessi se dessimo l’impressione di chiudere un occhio quando altri, fossero pure nostri alleati, utilizzano questa pratica. (…) L’impressione è quella di voler soprassedere sulle sue parole (di Sharon, ndr), e questo fatto rischia di danneggiare il nostro impegno nella lotta contro il terrorismo. Come ci ha riferito il comandante delle Forze di sicurezza palestinesi in Cisgiordania, Hajj Ismail Jaber, Hamas legge nelle parole di Sharon una provocazione e le utilizzerà come una scusa in più per colpire Israele. Tutto ciò rappresenta una difficoltà maggiore per l’Anp nel contrasto al terrorismo e naturalmente si configura come un ulteriore, inutile pericolo posto sulla via del processo di pace”.

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