PROVA D’APPELLO da IL MANIFESTO e IL FATTO
La verità dell’appello e le reali difficoltà dell’alternativa
COMMENTI. Oggi in molte e molti hanno firmato l’appello lanciato sul manifesto da Fabrizio Barca per evitare un nuovo “suicidio annunciato” nelle regionali del Lazio
Barbara Auleta, Stefano Ciccone** 08/01/2023
Le elezioni nel Lazio e in Lombardia sono un primo appuntamento dopo la sconfitta del 25 settembre. Una coalizione fondata sul riferimento al governo Draghi, che escludeva il M5S, si è rivelata inadeguata a prospettare un’alternativa credibile di governo e di cambiamento e a contrastare la vittoria delle destre.
Un risultato previsto sebbene non inevitabile. Oggi in molte e molti hanno firmato l’appello lanciato sul manifesto da Fabrizio Barca per evitare un nuovo “suicidio annunciato” nelle regionali del Lazio, con la divisione tra Pd, Italia Viva e Azione da una parte e M5Stelle e sinistre dall’altra. Quello che oggi è “un rischio da scongiurare” a settembre, purtroppo, fu considerato da troppi un “esito inevitabile”. Ai richiami retorici a una coalizione larga, non corrispose un’effettiva iniziativa politica. Nemmeno a sinistra. Non per pigrizia, ma per una doppia valutazione.
Si considerava il M5S in esaurimento e indisponibile al dialogo per un ritorno a un populismo socialmente indeterminato. Al contrario il M5 ha ottenuto un risultato comparabile a quello del Pd, su una posizione obiettivamente alla sua sinistra. E oggi l’accordo in Lombardia tra Pd, M5 S e sinistre, dimostra che non sono e non erano impossibili coalizioni larghe contro le destre. In secondo luogo si riteneva che il governo Draghi e l’escalation militare in Ucraina fossero due parentesi. Ma il Pd è stato l’architrave di un governo di riorganizzazione del sistema politico che assumeva come stella polare le politiche che hanno aggravato la crisi sociale, economica ed ecologica e non ha minori implicazioni la sua conversione neoatlantista che archivia il tradizionale europeismo.
Ma se alle politiche il cosiddetto “terzo polo” andò da solo, nel Lazio ha imposto un profilo alla coalizione con la candidatura di D’Amato che ripropone le politiche della giunta uscente di privatizzazione della sanità.
L’appello, dunque, anche se evidentemente tardivo, coglie una verità e per questo raccoglie adesioni di persone in buona fede e di buon senso. Ma è utile se si misura con le ragioni di divisione e propone un’alternativa. Altrimenti rischia di diventare strumento, oltre le intenzioni dei promotori, per alimentare le recriminazioni o giustificare il disimpegno più o meno interessato di chi mette in conto la vittoria della destra. Perché abbia efficacia dovrebbe fare una proposta semplice: azzerare tutte le candidature e individuare una proposta comune.
Sull’inversione dei processi di privatizzazione del sistema sanitario, le politiche attive del lavoro, l’innovazione tecnologica per obiettivi sociali e di riconversione ambientale, il piano regionale per i rifiuti, la mobilità collettiva e sostenibile, una politica pubblica per la casa, la trasparenza amministrativa, serve una coalizione che recuperi credibilità alla politica e delinei un progetto di cambiamento. L’inceneritore è divenuto emblematico ma non può essere l’alfa e l’omega di un programma.
Ci pare fuorviante e anacronistica una discussione su un “centrosinistra” che non esiste più nelle forme, nel profilo programmatico e nell’assetto politico e sociale. Si disvela nel Lazio anche la fragilità di alleanze date per “strategiche” poche settimane fa e che già naufragano con code di sgambetti e scorrettezze. L’improvvisazione elettorale mostra la corda. Ma una sinistra che si colloca “a prescindere” col Pd non basta rispondere con una che si definisce a partire dall’alleanza col M5S.
Serve una sinistra politicamente e culturalmente autonoma, capace di comprendere il cambiamento e rappresentare un’alternativa credibile. È necessario pensare nuove forme di coalizioni (sociali e politiche), in cui spendere un ruolo autonomo per costruire un compromesso, una convergenza, in nome di una comune prospettiva “riformatrice” e in cui agire un conflitto più avanzato. Parafrasando il titolo dell’intervento di Luciana Castellina, L’antifascismo va praticato, non proclamato, l’antifascismo non può essere un richiamo formale in campagna elettorale per giustificare scelte lontane dalla vita delle persone. Non si vince con la paura ma con la speranza. Le destre si battono con una proposta che parli alla sofferenza di chi cerca una risposta e una rappresentanza e si affida oggi a chi usa strumentalmente quella sofferenza.
** Assemblea Nazionale Sinistra Italiana, Direzione Nazionale Sinistra Italiana
Prova d’appello
Marco Travaglio 08/01/2023
Un gruppo di intellettuali, fra cui i nostri amici Montanari e De Masi, hanno firmato un appello per un’alleanza in extremis fra 5Stelle e Pd nel Lazio contro la destra. L’appello sconta un buon tasso di ingenuità e utopismo: alle Regionali manca poco più di un mese. Ma lo spirito è sacrosanto: che senso ha che chi si oppone al governo Meloni corra l’un contro l’altro armato? Anche la domanda, però, sconta un buon tasso di ingenuità e di utopismo, perché oscura i fatti degli ultimi sei mesi: le ragioni profonde di una frattura che solo due anni fa sarebbe parsa lunare, ma oggi rende lunari gli appelli che la ignorano. Il Pd, sposando il governo Draghi non come soluzione emergenziale, eccezionale e temporanea, ma come scelta strategica di campo, ha buttato a mare l’alleanza col M5S che nel Conte2 funzionava bene. Ha aderito con foia alla decinquestellizzazione dell’Italia avviata da Draghi (bellicismo atlantista e riarmista, guerra a Spazzacorrotti, Superbonus, Reddito di cittadinanza, dl Dignità, salario minimo; ritorno a trivelle, fossili e inceneritori) e ora completata da Meloni&C.. Per salvare il (da loro) compianto governo dei Migliori e al contempo l’alleanza col M5S, a Letta&C. sarebbe bastato stralciare l’inceneritore di Roma dal dl Aiuti (che riguardava tutt’altro) e appoggiare alcuni dei 9 punti dell ’Agenda sociale di Conte, così a luglio i 5Stelle avrebbero votato la fiducia. Invece il loro piano era annientarli: prima con la scissione assistita di Di Maio&C. (a cui promisero e concessero collegi elettorali), poi con la cacciata di Conte dal centrosinistra per stritolarlo nella tenaglia del Rosatellum e avviare un nuovo percorso con Calenda (che poi cambiò idea). Il 25 settembre gli elettori han deciso diversamente, vanificando l’ennesimo Conticidio. Ma quel progetto è rimasto intatto per Lombardia e Lazio: il Pd ha deciso i suoi candidati in solitudine (Majorino) o in tandem con Calenda (D’Amato), salvo poi strillare perché i 5Stelle correvano anziché estinguersi. Strilli comprensibili se il M5S valesse il 7%: ma i sondaggi lo danno al 17, mentre al 7 languono Calenda e Renzi. Bene ha fatto Conte a superare le ruggini e trovare un’in – tesa sui contenuti a Milano, sebbene nessuno gli avesse chiesto nulla su candidato e programma. Ma è a dir poco arduo immaginare un’intesa a Roma, la città dell’inceneritore: per giunta con D’Amato, scelto da quel Calenda che fa alleanze con chiunque, ma i 5Stelle li vuole morti. A meno che, folgorato sulla via di Santa Palomba, D’Amato&C. non convincano almeno Gualtieri a ritirare l’inceneritore. E non spieghino che razza di alleanza è quella in cui il terzo e il quinto partito portano il candidato e il programma, e il secondo partito porta i voti.
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