“NUOVO POTERE”: SISTEMA CHE RIDUCE LE PERSONE A INDIVIDUI CONSUMATORI da VALIGIA BLU e IL FATTO
Viva la vita, abbasso la morte!
02-03-2023 – Giovanna Lo Presti
Qualche settimana fa circolava sui social un breve video: riprendeva un intervento di Jean-Luc Mélenchondurante una manifestazione contro la riforma delle pensioni voluta da Macron. Riforma “indispensabile”, secondo il presidente francese e che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. Contro questo peggioramento della vita dei lavoratori il popolo francese continua a protestare con l’ostinazione che la contingenza richiede. In una delle giornate del gennaio scorso, dunque, Mélenchon parlava a una folla enorme:
«La verità è che non hanno capito perché siamo qui. Noi non difendiamo soltanto il diritto di godere una pausa nell’esistenza. Ma soprattutto affermiamo che il tempo della vita, quello che conta, non è soltanto quello considerato utile perché dedicato a produrre. Il tempo libero non è un tempo di inattività ma un tempo di cui possiamo disporre, di cui possiamo decidere cosa fare: vivere, amare, non fare nulla, se così ci piace, occuparci dei nostri cari, leggere poesia, dipingere, cantare, oziare. Il tempo libero è quello in cui abbiamo la possibilità di essere totalmente umani. Ecco di cosa parliamo […] Perché bisogna produrre di più? Il problema non è più produrre di più, ma produrre meglio e per farlo dobbiamo lavorare meglio e dunque lavorare meno! La chiave di una sinistra ecologista sta nel ripartire equamente la fatica del lavoro. La controparte afferma che bisogna lavorare di più; “loro” seguono la via di sempre: trasformare qualsiasi cosa vivente o inanimata in merce. Ecco cosa vuole fare il signor Macron! Tu sia maledetto per aver mercificato le nostre esistenze, per aver mercificato la sanità, l’istruzione… È questo che vuole fare Macron. Sii maledetto per aver voluto rovinare tutto, distruggere tutto, quantificare tutto».
Rivolto alla “magnifica gente” radunatasi in piazza per “ragioni diverse”, Mélenchon conclude: «Viva la vita, abbasso la morte!».
Non ho potuto fare a meno di pensare a quel che accadde a cavallo tra 2011 e il 2012; la “riforma Fornero” passò nello sgomento di una parte di adulti ancora senzienti, mentre gran parte del “popolo di sinistra” era tutto preso dall’ebrezza per la scomparsa dalla scena politica italiana di Silvio Berlusconi, sostituito da Mario Monti e cioè dalla faccia feroce della finanza internazionale. La “riforma Fornero”, che spingeva mediamente in avanti di sette anni i requisiti per andare in pensione, la legge socialmente più dannosa che il nostro Paese abbia visto, passò senza proteste nelle piazze, con quattro (4) ore di “sciopero generale” (le virgolette sono d’obbligo), senza troppi sussulti neppure da parte del sindacalismo di base. Una vera vergogna. In un sol colpo, una visione miope e rapace, pronta ad andare contro il senso comune (in molti ricorderanno la proterva affermazione secondo la quale aumentare l’età pensionabile non diminuiva i posti di lavoro disponibili) rubò anni di vita libera dal lavoro a milioni di italiani e il reddito da pensione sarebbe stato, da allora in poi, basato sul sistema contributivo, non solo penalizzante, ma impostato a partire dall’idea che ciascuno paga la sua propria futura pensione, in una visione egoistica e non solidale, come era quella che reggeva il sistema retributivo, in cui i lavoratori in servizio pagavano contributi anche per i pensionati. D’altra parte il netto incremento della disoccupazione giovanile congiunta alla precarietà come dato istituzionale del lavoro alla lunga avrà come risultato una crisi totale del sistema pensionistico, visto che già oggi molti quarantenni hanno alle spalle una vita lavorativa e contributiva misera. A questo stato di cose il nostro Paese non ha reagito; non ci sono stati partiti o forze sindacali che si siano fatti riferimento per le classi subalterne, la parola “eguaglianza” è stata sostituita da “inclusione”; i diritti civili sono stati l’unica preoccupazione di un centro-sinistra imbelle, che ha da tempo perso la bussola e che soffre della sindrome di identificazione con l’aggressore.
Cosa succederebbe se, in Italia, un leader politico si lanciasse contro la Meloni con un fermo: «Sii maledetta»? Mi vedo già il sostegno unanime di tutte le altre forze politiche, la solidarietà che riempie le pagine dei giornali, i talk show in cui si condanna unanimemente la forma inurbana. Si incrementerebbero le già numerose attestazioni di stima a una persona che, in pochi mesi di governo, ha tradito il suo stesso programma elettorale e ha dato ai ricchi togliendo ai poveri. Quando, nel 2012, dopo la nostra “riforma” pensionistica una lavoratrice che indossava una maglietta con la scritta “La Fornero al cimitero” si fece fotografare accanto a Diliberto, allora segretario nazionale del Pdci, Fornero espresse il suo «profondo disgusto e sdegno». Non si chiese, come avrebbe fatto bene a fare, quanti lavoratori sarebbero andati prima del tempo al cimitero per causa sua. Né si chiederà adesso, come mai in settori come l’edilizia a morire siano soprattutto i lavoratori anziani (nei primi due mesi del 2021, il 43% dei morti sul lavoro in edilizia è tra i 40 e i 60 anni, un altro 43% è di over 60: ultrasettantenni: https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/2021/05/13/video/cantieri_muoiono_gli_anziani-1063169/). Naturalmente, nel 2012, Diliberto non trovò di meglio da fare che scusarsi con l’artefice di quella bella opera di macelleria sociale.
«Viva la vita, abbasso la morte!» grida in piazza Mélenchon, un signore settantenne che ha idee chiare. Riecheggia, in questa esclamazione, il titolo del saggio più famoso di Norman Brown, mai superato – così come non sono superate le idee sull’ uomo a una dimensione di Marcuse o la critica allo sviluppo mossa da Ivan Illich. La mercificazione di ogni cosa, vivente o inanimata, è sotto gli occhi di tutti. In Italia essa permea di sé i progetti dei politici: le numerose “riforme” scolastiche e gli interventi sulla sanità, i progetti scellerati e che stanno andando a compimento, come quello dell’“autonomia differenziata”, non sono che esempi di mercificazione. L’intero PNRR è governato dalla logica del profitto, l’unica praticata negli ultimi trent’anni, portata avanti con costanza e sostenuta anche da chi avrebbe dovuto osteggiarla. Nelle scuole italiane, in queste settimane, intere schiere di maestri e di professori delle scuole medie incamerano senza protestare il fiume di denaro che porterà nelle loro aule proprio quegli strumenti informatici dai quali i bambini e i ragazzi dovrebbero essere protetti, per la loro dannosa invasività, per la loro presenza massiccia già nella vita extra-scolastica.
La passività dei dominati, insomma, rafforza i dominanti, sempre più aggressivi. Cosa possiamo sperare se non che l’indignazione che si è espressa in Francia contro l’allungamento della vita lavorativa sia contagiosa? Nelle semplici parole di Mélenchon c’è più politica che nelle 14 pagine del Manifesto per il nuovo PD, vuote e tricolori (prima o poi finirà la retorica del tricolore e dell’inno nazionale?). Lavorare meglio è indispensabile: troppi sono coloro che muoiono o si ammalano per un lavoro malsano e logorante. Lavorare meno è necessario: a cosa serve la tecnologia se le otto ore lavorative non vengono toccate e, al contrario, in molte realtà si lavora più di prima? Lavorare meno significa, già di per sé, lavorare meglio e ridurre la disoccupazione. Quelli che non si debbono ridurre sono i salari, che, invece, subiscono una costante erosione. Lavorare meno, produrre di meno e meglio: è urgente, è necessario. Riportare l’attenzione sulla qualità del tempo libero, sulla qualità della vita sociale è altrettanto urgente. Il primo passo da fare è una riduzione drastica e rapida della diseguaglianza economica. Questo è il compito della politica: non incrementare un modello di sviluppo comunque costretto a tracollare in tempi medio-brevi, non favorire i più ricchi a danno dei più poveri, non soggiacere alla logica del profitto, consentire a tutti (proprio tutti) un vita più umana.
A persone come me, che non detengono nessun potere se non la libertà di ragionare, la maledizione scappa spontanea ogni giorno, e non solo contro i potenti ma anche contro tutti coloro che non sentono che è ora di ribellarsi, nelle scuole come nelle fabbriche o negli ospedali. E maledico in primo luogo il conformismo e l’ipocrisia, il politicamente corretto che si accontenta di una forma educata e tollera l’ingiustizia reale, i bugiardi che armano le mani e predicano la pace, i cinici che in nome dello sviluppo distruggono la Natura.
La vita contro la morte: sino a quando il dibattito non si radicalizzerà in questo senso ci dovremo accontentare di una pseudo-sinistra lagnosa e di movimenti ecologisti all’acqua di rose. La democrazia rappresentativa mostra la corda e lo rivela la scarsissima partecipazione alle elezioni. È l’ora dell’omnicrazia, del potere di tutti i senza-potere, che si battono per una vita dignitosa e non omologata. È l’ora di ritrovarsi nelle piazze, ognuno con le proprie ragioni ma tutti intenzionati a battersi contro gli evidenti processi di disumanizzazione che fanno sì che, anche nella parte apparentemente più fortunata del pianeta, la sofferenza e il disagio siano arrivati al punto in cui non li si vuole più sopportare. Insomma, è l’ora di dire «Viva la vita, abbasso la morte!».
Pasolini, la luce della politica contro il buio dei nuovi poteri
LIBERALI E SINISTRA RICORDANO PPP – Il poeta smaschera un sistema basato sul consumo indotto non soltanto dalle merci, ma persino da diritti senza doveri
DI STEFANO FASSINA E GAETANO QUAGLIARIELLO
10 MARZO 2023
Che ci fanno insieme, in un agile volume su Pier Paolo Pasolini, Stefano Fassina e Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella e Dacia Maraini, Ferdinando Adornato e Ascanio Celestini? Fresco di stampa, Il profeta scandaloso (Rubbettino 2023), raccoglie interventi tenuti nel corso di due incontri organizzati dalla Fondazione Magna Carta nell’aprile 2022 e dal gruppo di Liberi e Uguali il 23 maggio, in occasione del centenario della nascita del poeta di Casarsa. Percorsi autonomi, ma che finiscono per incrociarsi sul terreno politico quando l’obiettivo diventa mostrare l’attualità del pensiero critico pasoliniano. Lo ‘scandalo’ d’aver anticipato le tendenze autodistruttive dell’Occidente: l’isolamento dell’individuo, la mercificazione dell’identità, la distruzione della tradizione, fino alla subordinazione stessa dell’umano alla logica desiderante tipica del tardo capitalismo. Pubblichiamo la presentazione del libro.
Sono state numerose le celebrazioni del centenario di Pasolini curate dai media di tutti gli orientamenti, da istituzioni culturali nazionali o locali e dalle amministrazioni delle città alle quali il poeta era più legato da biografia e produzione artistica (Bologna, Casarsa, Roma). […] Sostanzialmente assenti invece le iniziative per ricordarlo da parte di soggetti direttamente politici o impegnati sul versante della cultura politica […]. Eppure, Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale disperatamente politico, in tutte le sue opere, non soltanto nei suoi interventi sui principali quotidiani e riviste italiane, a cominciare dal Corriere della Sera di Piero Ottone. Perché una fondazione di cultura politica di orientamento liberal-conservatore e un gruppo politico di sinistra, distanti in termini ideologici e di policy, sono andati in controtendenza e hanno intersecato i loro interessi nel ritorno a Pasolini? La ragione è duplice: da un lato, il comune assillo per l’emergenza antropologica denunciata profeticamente da Pasolini e, dall’altro, la condivisa passione per una politica non rassegnata all’amministrazione e alla sempre più effimera comunicazione. Se queste premesse vanno considerate ampiamente condivise, è assolutamente evidente che la loro declinazione sia stata differente. Ma è proprio da questa diversità che nasce l’interesse per il confronto del quale questa pubblicazione è testimonianza. Ed ecco il nostro comune punto di partenza: la necessità di rivedere criticamente le categorie d’analisi novecentesche con la consapevolezza di essere ormai da tempo in una fase che ha portato la dimensione sociale, quella ambientale e, soprattutto, quella spirituale in contrasto con la centralità dell’umano così come l’abbiamo conosciuto per millenni. La guerra scatenata dalla Federazione Russa all’Ucraina rappresenta, purtroppo, in tal senso, soltanto l’ultima conferma particolarmente atroce di evidenza empirica. La nostra, insomma, è la stessa convinzione che, con diversità semantiche e d’accenti, è risultata centrale nella riflessione e nel messaggio dei tre ultimi pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e, da ultimo, è stata espressa con particolare efficacia da Papa Francesco ad Assisi, il 24 settembre scorso, nelle sue conclusioni dell’assemblea dedicata a The Economy of Francesco. Dimensione sociale, ambientale e spirituale, d’altro canto, sono intimamente connesse. Lo sono nella dottrina sociale della Chiesa, dove lo sviluppo umano è integrale, l’ecologia è integrale e persona-comunità-creato vengono a trovarsi senza soluzione di continuità. Lo sono state anche nelle grandi ideologie novecentesche, le quali tutte sono partite e hanno postulato la centralità dell’uomo, cercando una necessaria connessione tra la sua dimensione economica e la sua dimensione spirituale. Ogni fase della storia ha, tuttavia, una distintiva cifra spirituale. Non a caso, il titolo completo del manifesto di Francis Fukuyama del 1992, celebrativo di una presunta pacificazione liberal-democratica dell’umanità conquistata con il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel biennio ’89-’91, è La fine della Storia e l’ultimo uomo. Secondo un’interpretazione che prova a riportare il finalismo in campo liberale, fine della storia e ultimo uomo sarebbero, dunque, consustanziali. […] Il fatto è che il trentennio alle nostre spalle ci dice con chiarezza come la storia non sia finita. (…) Sia i comuni presupposti sia le nostre differenze ci hanno insomma convinto del significato politico che assume oggi il riprendere in mano Pier Paolo Pasolini. La storia non è mai finita, ma oggi è più che mai tornata. Ed è più che mai evidente che l’“ultimo uomo”, esattamente come quello che ha percorso La strada di Cormac McCarthy, non può mai rinunziare a una ricerca di spiritualità e rassegnarsi a un’identità di mero consumatore. L’ultimo uomo è irrequieto, indomito, spaventato dal vuoto di senso, dall’onnipotenza amorale della Tecnica e dalle sue possibili conseguenze. Siamo, quindi, convinti che Pasolini rimanga illuminante nello smascheramento della portata antropologica di un sistema basato sul consumo indotto non soltanto dalle merci, ma persino da diritti senza doveri: il “Nuovo Potere”, riconosciuto da Pasolini come “Nuovo fascismo”, ha mortificato e mortifica il senso del sacro, distintivo dell’umano, fino a soffocarlo nel desiderio. Ha ridotto e riduce la persona a individuo-consumatore. Ha appiattito e appiattisce il prisma delle relazioni sociali a scambi bidimensionali, vanificando il senso di comunità e il rapporto proficuo tra questa e la persona. Insomma, oggi si frantuma la favola della fine della storia e dell’ultimo uomo. Oggi il centenario dei natali di Pasolini offre l’opportunità di riflettere sulla condizione dell’umano e del creato e di rimotivare l’impegno per una militanza politica determinata a ricercare, con passione, il primato delle idee e il gusto per il confronto. Oggi il recupero delle denunce del poeta, scrittore, regista, intellettuale è un accorato appello alle nostre rispettive parti politiche per alzare lo sguardo e ridare alla politica la P maiuscola per “il sogno di una cosa”.
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