L’”INCUBO” MELONI SARÀ DI LUNGA DURATA SE LA SINISTRA NON….da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L'”INCUBO” MELONI SARÀ DI LUNGA DURATA SE LA SINISTRA NON….da IL MANIFESTO

Sarà di lunga durata se la sinistra non cambia paradigma

L’«INCUBO» MELONI. il quadro politico che abbiamo di fronte è davvero «orrendo», ma non è altro che l’approdo, ora consolidatosi dopo un lungo periodo oscillatorio, del percorso iniziato con la sintesi tra la destra padronale, la destra del micronazionalismo padano, la destra neofascista, che portò, nel 1994, alla formazione del primo governo Berlusconi

Paolo Favilli  06/11/2022

Due editoriali di Norma Rangeri (22 e 26 ottobre) hanno fatto il punto su ciò ch’ella definisce l’«incubo» del momento attuale. Nel primo Rangeri si chiede la ragione per la quale «il nostro mondo stia vivendo un dramma tanto profondo, quasi esistenziale». Nel secondo si dà una risposta: «Quando si gioca alla morte delle ideologie, in sostanza togliendo di mezzo le idee della sinistra, succede che vince l’ideologia che resta in campo». Una risposta giusta, ma che non può essere davvero compresa, però, se riferita al tempo breve in cui l’incubo si materializza con «l’orrendo risveglio».

Certo il quadro politico che abbiamo di fronte è davvero «orrendo», ma non è altro che l’approdo, ora consolidatosi dopo un lungo periodo oscillatorio, del percorso iniziato con la sintesi tra la destra padronale, la destra del micronazionalismo padano, la destra neofascista, che portò, nel 1994, alla formazione del primo governo Berlusconi. Oggi le componenti si sono redistribuite tra di loro in maniera diversa e la prevalenza di quella neofascista non fa altro che rendere ancora più agghiacciante la combinazione, ma i caratteri restano quelli di allora.

Su tali caratteri esiste una pubblicistica di buon livello assai conosciuta: affarismo, conflitti di interesse, plebeismo borghese e proletario, invenzione «del passato per governare il presente», estraneità totale allo spirito della Costituzione. D’altra parte, questo insieme delle destre fa il suo mestiere, e non è lì che dobbiamo cercare le cause principali dell’esistenza di una sola «ideologia».

Le «idee della sinistra» sono «ideologie»? Quello relativo al termine di «ideologia» è un vero e proprio universo che riguarda il concetto nei suoi rapporti con la scienza sociale, con il discorso politico e, più in generale, con il campo della battaglia delle idee. La sinistra, o meglio la tradizione politico-culturale del socialismo d’ispirazione, in varie maniere, marxista, quando ha usato la parola in senso neutrale e non negativo, ha sempre, comunque, legato l’analisi dei movimenti della sfera politica a quella degli effetti della fase di accumulazione in corso.

Esattamente al contrario degli «ideologi» di oggi, tanto più tali quanto più considerano il loro pensiero conforme alla natura delle cose, alla normalità degli svolgimenti senza contraddizioni profonde e connessa conflittualità radicale. L’adesione a questo tipo di normalità, sia pure ad iniziare dalla dimensione politica, è stato un contributo di primo piano a «togliere di mezzo le idee della sinistra».

Nel 1995 Massimo D’Alema pubblicò un libro in cui si congratulava con sé stesso per essere riuscito a condurre a termine «il compito della generazione», cioè «portare la sinistra italiana al governo del paese», tramite «un cambiamento dolce». Possibile ormai in «un’Italia meno nervosa di ieri e più ottimista», dopo un anno di sinistra al governo, un’Italia che chiede al governo «cose semplici e chiare: stabilità, tranquillità, normalità».

Il Grande Dizionario del Battaglia definisce la normalità come «una condizione abituale, consueta e ampiamente accettata e che non presenta alcuna irregolarità, né lascia presagire alcun elemento di imprevisto e di inquietudine» e dunque il «paese normale» è quello dello «stato abituale». In un «paese normale» non c’è posto per conflitti radicali capaci di suscitare cesure negli equilibri economico-sociali «abituali». I cambiamenti in profondità, invece, sono le risultanti di conflitti, di conflitti anche assai aspri. D’altra parte, se la lotta di classe non c’è più (come la storia del resto) si può ipotizzare una realtà che cambia attraverso una «normalità autoregolantesi», proprio come il «mercato autoregolato».

La «sinistra per simmetria» ha interiorizzato questa «ideologia» fin dal suo primo inoltrarsi nel percorso della «governabilità» senza aggettivi. Oggi si discute molto sulla nuova identità che dovrebbe assumere il Pd alla conclusione del suo itinerario congressuale. Ma l’identità di un partito non si definisce in una formulazione astratta. L’identità di un partito, in questo caso la continuità tra le varie «cose», è ancorata strettamente alla sua storia.

I risultati non potranno essere altro, al di là delle formulazioni di comunicazione (propaganda), che una scelta tra i diversi gradi di un capitalismo compassionevole.

Senza un cambio di paradigma, il «nuovo», che è cosa seria, si risolve in «novello» al pari del beaujolais (o del chianti). Senza un cambio di paradigma anche «l’antifascismo non serve più a niente» (C. Greppi, Laterza, 2020).

Giorgia Meloni, un falso passato per governare il presente

DESTRE. Silenzio sulla «marcia su Roma»; scandalosa, aperta ostilità a Resistenza e antifascismo; vittimismo per gli anni ’70 delle stragi e dello squadrismo nelle fabbriche e nelle università

Davide Conti  30/10/2022

Nelle elezioni politiche del 7 giugno 1953 il Msi triplicò i suoi voti rispetto al 1948, portando in Parlamento 38 tra deputati e senatori. I fascisti, da poco rientrati da latitanze e fughe dopo il crollo dello stato fantoccio di Salò, cominciavano ad accomodarsi.

Sistemandosi all’interno di quelle istituzioni democratiche che avevano combattuto e che disprezzavano dalla radice. «Il 25 aprile è nata una puttana, le hanno dato nome, Repubblica italiana» cantavano quei camerati, salvati alla fine del conflitto mondiale dagli Alleati anglo-americani ormai protesi verso la Guerra Fredda anticomunista.

JUNIO VALERIO BORGHESE, già alla guida della X Mas, fu messo in salvo da James Jesus Angleton un agente di vertice dell’Oss (antesignana della Cia) che lo caricò su una jeep statunitense. Diventerà presidente del Msi e organizzerà il golpe del 7-8 dicembre 1970; Giorgio Almirante scappò in abiti civili dalla porta di servizio della Prefettura di Milano il giorno della Liberazione indossando un bracciale tricolore partigiano. Diverrà il principale capo missino nei decenni repubblicani; Augusto De Marsanich, già deputato fascista e membro del governo Mussolini, in quel 1953 ricopriva la carica di segretario del partito, il cui presidente onorario, dal 1952, era il criminale di guerra Rodolfo Graziani.

FORSE ERANO LORO «le persone che non ci sono più» a cui la neo Presidente del Consiglio ha dedicato la vittoria la notte dei risultati elettorali del 25 settembre scorso. Oppure erano figure di quella «destra democratica» di cui si è vantata di aver fatto parte nel suo discorso in Parlamento il giorno della fiducia al suo governo. Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo ovvero il gruppo responsabile delle stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia. Oppure Mario Tedeschi, direttore de «Il Borghese» e della formazione scissionista missina di «Democrazia Nazionale», oggi indicato dalla procura di Bologna come uno dei responsabili della strage del 2 agosto 1980 alla stazione.

Forse Giorgia Meloni pensava ai protagonisti della «rivolta di Reggio Calabria» guidati dal deputato missino Ciccio Franco oppure ai «ragazzi» di Piazza San Babila a Milano, primattori degli scontri che il 12 aprile 1973 portarono alla morte dell’agente Antonio Marino e che videro in piazza anche un giovane dirigente del Msi oggi seconda carica dello Stato e collezionista privato di busti di Mussolini.
DI FRONTE AL FORMARSI del governo di oggi tornano alla mente le parole dell’epigrafe che Piero Calamandrei scrisse, all’indomani delle elezioni del giugno 1953, rivolgendosi ai partigiani caduti della Resistenza: «Non rammaricatevi dai vostri cimiteri di montagna se giù al piano, nell’aula dove fu giurata la Costituzione murata col vostro sangue, sono tornati, da remote calingi, i fantasmi della vergogna». Il falso racconto del passato, finalizzato al governo del presente, propalato oggi dalle alte cariche dello Stato e dell’esecutivo ha iniziato il suo cammino.

CON IL SILENZIO nel centenario della «marcia su Roma»; con la dichiarata ostilità all’antifascismo ed alla Resistenza scandalosamente criminalizzati e negati da Meloni nella sua improbabile ricostruzione della storia d’Italia; con la «fuga», attraverso il vittimismo, dagli anni Settanta delle stragi e dello squadrismo nelle fabbriche e nelle università.
Nelle aule del Parlamento italiano abbiamo visto concretarsi ciò che Calamandrei preconizzava: «Apprenderemo, da fonte diretta, la storia vista dai carnefici». Non ci troviamo certo di fronte a un ritorno del «fascismo eterno».

TUTTAVIA LE RADICI profonde di questa destra (fin dal dopoguerra radicalmente «atlantica») riemergono oggi dalla voce di Giorgia Meloni o nel loro identitarismo classista che dichiara di «non voler disturbare» industriali e ceti proprietari; di voler avversare i migranti; di promuovere la guerra contro le donne che non vogliono omologarsi all’essere soltanto «madri e cristiane», come urlato nei comizi filo-franchisti di Vox in Spagna.

L’inquietudine che suscita il bagaglio storico rivendicato dalla destra è pari soltanto a quella alimentata dalla lettura della stampa italiana, l’unica restìa a chiamare postfascista il partito Fratelli d’Italia; l’unica incapace di raccontare la natura profonda di una Presidente del Consiglio politicamente accarezzata dalle familistiche ed eterne (quelle si) classi dirigenti nazionali che ieri ebbero tra i loro padri e nonni fondatori i veri sostenitori del regime fascista e che oggi posseggono di tutti i principali mezzi di informazione.
DA QUESTE consapevolezze sarà necessario ripartire per una battaglia culturale e politica di difesa della verità storica, della Costituzione e dei diritti della persona.
«Troppo presto li avevamo dimenticati – ammoniva Calamandrei – è bene che siano esposti in vista su questo palco. Perché tutto il popolo riconosca i loro volti e si ricordi».

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