IL GOVERNO DRAGHI INVESTE SUI MILITARI da IL MANIFESTO
Sbilanciamoci: altro che Welfare, il governo Draghi investe sui militari
Il caso. La rete delle 50 associazioni che compongono «Sbilanciamoci!» ieri ha presentato la contro-manovra: 105 proposte alternative alla prima legge di bilancio di Draghi: rilancio dello Stato sociale, ambiente, scuola, università e ricerca. E una politica industriale che altrove non c’è. Altro che sanità, welfare, scuola o ricerca: il debito «buono» rilancerà le armi per i prossimi 15 anniRoberto Ciccarelli 03.12.2021
Il disegno di legge di bilancio «deludente e non adeguato alle sfide», il primo varato dal salvatore della patria Draghi, ha una coerenza: continua la politica economica fallita negli ultimi anni. È il giudizio sulla manovra della campagna Sbilanciamoci che ieri ha presentato la sua controfinanziaria, arrivata alla ventitreesima edizione. La riduzione della pressione fiscale a favore delle imprese, ad esempio. Negli ultimi 20 anni l’Ires (l’imposta sui profitti delle imprese) è calata dal 37% al 24% e a questa riduzione vanno aggiunti i moltissimi sgravi fiscali elargiti da molte leggi di bilancio per le assunzioni o l’innovazione. Il governo ha lasciato ai partiti che reggono la sua maxi-maggioranza la decisione su come ripartire i sette miliardi di taglio dell’Irpef (su otto, uno va al taglio dell’Irap). E quelli hanno creato un meccanismo regressivo che premia i redditi medio-alti ed eroga pochi spiccioli alla maggioranza di quelli bassi e bassissimi.
LA «MANOVRA» è il solito patchwork composto da norme eterogenee e parziali, prive di un disegno di politica industriale, un contenitore di esigenze diverse senza una visione sulle scelte di bilancio di fondo. Prendiamo, ad esempio, le più discusse politiche ambientali sulle quali si cimenta il rumoroso ministero della «transizione ecologica», appositamente creato per convincere i Cinque Stelle a votare il governo. Tanto sforzo non ha previsto quanto già annunciato, e non fatto, dai governi precedenti: la riduzione dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad): quasi 20 miliardi di euro. Draghi e Cingolani l’hanno fatta più semplice: non li hanno nemmeno citati, né hanno previsto un impegno specifico. Tanto meno è nota alcuna previsione nella legge delega fiscale.
NEI DUE ANNI di pandemia si è molto speculato sulla distinzione tra «debito buono» e «debito cattivo». Ora, a parte il colesterolo, o l’inflazione, la distinzione avrebbe un certo peso sulla qualità degli investimenti considerati produttivi. Nella manovra, annota Sbilanciamoci, un’idea sugli investimenti, in effetti, c’è. Non riguarda però l’innovazione, la spesa sociale, la scuola, la ricerca, il diritto allo studio. Ma le armi. Gran parte degli investimenti pubblici sono concentrati, nei prossimi 15 anni, sulla spesa militare.
E LA SANITÀ? Secondo l’ufficio parlamentare di bilancio, «dal punto di vista finanziario, nella manovra «non sembra si intenda dare luogo a un effettivo rafforzamento strutturale del Servizio sanitario nazionale. L’incidenza sul Pil della spesa sanitaria sarebbe pari al 6,3% nel 2024», una percentuale inferiore al 2019 (6,4%)». È stato detto il 23 novembre scorso nel corso di un’audizione parlamentare.
Si mantiene il cosiddetto «reddito di cittadinanza» dagli attacchi leghisti, renziani, confindustriali. Ma lo si avvicina a quello che realmente è: un Workfare con paletti e condizioni più stringenti. Sbilanciamoci chiede di superare gli aspetti discriminatori a cominciare dalla modifica della «scala di equivalenza» che penalizza le famiglie numerose. Molto altro andrebbe fatto. Non si farà.
PRIMA PROVA del draghismo economico, che sarebbe sinonimo di decisionismo, in una «manovra deludente priva di sintesi unitaria» si avverte invece una «sospensione» di fronte ad una legislatura che si avvia a conclusione» mentre va avanti la speculazione autoreferenziale sul «romanzo Quirinale». Nel frattempo si traccheggia su decisioni, pluriannunciate, come la previdenza, gli ammortizzatori sociali, il lavoro che «attendono delle risposte organiche complessive ricevono invece solo riscontri frammentari e parziali. C’è un temporeggiamento di fronte alle scelte da fare, che nemmeno il Pnrr in questi campi affronta» commentano le associazioni che compongono Sbilanciamoci: da Arci a Wwf Italia, Legambiente, Antigone, Rete Italiana Pace e Disarmo, Un Ponte per…, Emergency, Terre des Hommes, Rete della Conoscenza, Udu, tra gli altri.
LA «CONTROFINANZIARIA» di Sbilanciamoci ammonta a 31 miliardi e 791 milioni di euro e si articola in 105 proposte. C’è la richiesta di un taglio delle spese militari da 5 miliardi, una part dei quali andrebbe a finanziare «vere politiche di pace e cooperazione internazionale». Sull’ambiente, oltre alla cancellazione dei sussidi dannosi, c’è la proposta di piccole e medie opere pubbliche da oltre 1,7 miliardi con l’installazione di impianti fotovoltaici con accumulo e la riqualificazione energetica dell’edilizia, argomento centrale in tempi di aumenti record del costo dell’energia.
SULLA SCUOLA, l’università e il diritto allo studio c’è tutto quello che Draghi non fa: investimenti da 2,7 miliardi, a cominciare dagli stipendi del personale scolastico. Il 10 dicembre i sindacati fanno uno sciopero generale per chiederlo. Sull’università 3,5 miliardi, di cui 2,4 a dottorati e ricercatori, e mai più precari.
SULLA RIFORMA FISCALE: invece di diminuire gli scaglioni si tratta invece di aumentarli. Sbilanciamoci introdurrebbe un sesto scaglione tra i 100 e i 300 mila euro al 55% e un settimo oltre i 300 mila.
WELFARE, un altro buco nero, anche di questo governo. Ventimila assunzioni tra assistenti sociali, incrementare il fondo per la non autosufficienza e quello per la morosità incolpevole per intervenire sugli sfratti in corso, eliminare la cedolare secca e tassare gli immobili sfitti.
L’inflazione mangia i salari, già tra i più bassi d’Europa
Economia. Ad ottobre, +5,2% nell’area Ocse, +4,1% nella zona euro. In Italia, a novembre l’indice dei prezzi (Nic), al lordo dei tabacchi, ha fatto un balzo del 3,8% su base annua
Per anni abbiamo sperato in un po’ di inflazione, ma, nonostante la politica ultra-espansiva della Bce, abbiamo avuto solo prezzi stagnanti e deflazione. Morale: un aumento della base monetaria non è di per sé sufficiente per un aumento dei prezzi, anche in presenza di un’offerta immutata di beni e servizi e di un immutato volume degli scambi commerciali. Insomma, la storia e l’evidenza hanno di nuovo sconfitto Irving Fisher (1867-1947) e la sua «Teoria quantitativa della moneta», fatta propria, mutatis mutandis, da tutti gli economisti neoliberisti, Draghi compreso.
Proprio Draghi, infatti, sarà, nella crisi del decennio scorso, uno dei principali protagonisti della politica economica e finanziaria europea basata sull’improbabile binomio austerità/politica monetaria espansiva. Una politica che servì a stabilizzare il settore finanziario, ma non produsse alcun effetto dal lato della domanda, dei consumi, dell’occupazione. I soldi del quantitative easing furono molti utili alle banche per smaltire i titoli di Stato che avevano in pancia (ne guadagnò, invero, anche il servizio del debito), ma di essi all’economia reale arrivò ben poco. Fallimento? Se ci riferiamo agli obiettivi dichiarati di Bruxelles e Francoforte, ovvero una ripresa sostanziosa dell’economia e un aumento dell’inflazione fino al fatidico 2% fissato nello statuto della Bce, certamente sì. Ma, come è noto, nessun economista è finito mai sul banco degli imputati.
Poi è arrivata la pandemia. Draghi è stato chiamato a «salvare l’Italia», il programma d’acquisti della Bce è stato prorogato e rafforzato, l’Europa ha sospeso il fiscal compact e ha varato il Next Generation Eu, emettendo obbligazioni comuni. Un definitivo cambiamento di rotta da parte di Bruxelles? Lo vedremo nei prossimi mesi, quando si porrà il problema del ritorno (o meno) dei vincoli del patto di bilancio. Per adesso possiamo solo prendere atto che l’espansione dei bilanci nazionali e l’avvio dei «piani di resilienza» non si sono accompagnati ad una revisione degli schemi neoliberisti che sono a fondamento dell’attuale modello di costruzione europea. I soldi ci sono, ma per spenderli bisogna garantire più privato e più mercato, concorrenza e flessibilità lavorativa.
Nel frattempo, l’inflazione è arrivata davvero. E non è solo un caso europeo. Ad ottobre, +5,2% nell’area Ocse, +4,1% nella zona euro. In Italia, secondo le stime preliminari dell’Istat, nel mese di novembre l’indice dei prezzi (Nic), al lordo dei tabacchi, ha fatto registrare un balzo dello 0,7% su base mensile e del 3,8% su base annua. Sono gli effetti ritardati della politica accomodante delle banche centrali? Per caso sono aumentati i salari dei lavoratori? Niente di tutto questo. Solo la conseguenza dei «colli di bottiglia» che si sono venuti a creare nelle catene globali di approvvigionamento di materie prime e semilavorati a causa della pandemia. Con inevitabili ricadute anche sui prezzi dei generi alimentari. La ragione per cui molti analisti parlano di «inflazione transitoria», oltre che di «inflazione da costi».
Solo chiusure e pandemia, dunque? No. Al tempo del capitalismo finanziario la macroeconomia non è intellegibile senza passare per i mercati finanziari. Insomma, la pandemia c’entra, ma c’entra anche la speculazione finanziaria. D’altro canto, grano e petrolio sono stati sempre «sottostanti» privilegiati nel gioco speculativo dei contratti «derivati», o no? Il rischio, tuttavia, è che di questa inflazione saranno solo i ceti popolari a pagarne dazio. E’ semplice: con lo stesso salario si comprano meno merci di qualche mese fa. Eppure, c’è già chi mette le mani avanti. Bisogna scongiurare una «spirale prezzi-salari». E di piena occupazione manco a parlarne (dopo sessant’anni la «Curva di Philips» incombe ancora).
Ma in Italia i salari sono pressoché fermi da vent’anni a questa parte: tra il 2000 e il 2020 l’aumento medio non ha superato i 900 euro. Quindi? Di nuovo è un problema di rapporti di forza. Di distribuzione del reddito tra salari, profitti e rendita finanziaria. Più in generale è il problema di come si vuole uscire da questa crisi. L’area della sofferenza sociale si è molto dilatata nell’ultimo anno. Non c’è solo il lavoro povero di chi un lavoro stabile ce l’ha. Troppo esteso è anche il bacino del lavoro precario, a pezzettini, iper-flessibile, e di chi un lavoro non ce l’ha proprio. Per questo, c’è da scongiurare che l’inflazione diventi il pretesto per una nuova stagione di attacco al welfare ed ai diritti dei lavoratori.
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