CRISI DI CIVILTÀ: AUTOGESTIONE NON PRIVATIZZAZIONE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CRISI DI CIVILTÀ: AUTOGESTIONE NON PRIVATIZZAZIONE da IL MANIFESTO

Fermare le privatizzazioni ora

Nuova Finanza pubblica. La rubrica a cura di Nuova Finanza pubblica

Marco Bersani  29.01.2022

«È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali.
Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala». Così si esprimevano, il 5 agosto 2011, l’allora Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, e l’allora Presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, nell’ormai famosa lettera al governo, con la quale di fatto indicavano il nuovo orizzonte all’intero popolo italiano che solo due mesi prima aveva votato a maggioranza assoluta Sì al referendum per la riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni e contro la loro privatizzazione.

I due si erano senz’altro fatti prendere la mano sui tempi di attuazione, laddove scrivevano: «Vista la gravità dell’attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che le azioni elencate siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011».
Ma ciò che a loro premeva sottolineare era che il predominio del mercato non poteva tener conto di un’idea obsoleta di democrazia fondata sulla sovranità popolare.
Oltre dieci anni dopo, Mario Draghi sta sfogliando la margherita per sapere se continuerà ad essere Presidente del Consiglio, se diventerà Presidente della Repubblica o se sarà l’uno e l’altro, essendo sempre attivo il «pilota automatico». Ma intanto il DDL Concorrenza, approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 novembre scorso, ha iniziato il suo iter parlamentare in Commissione Industria del Senato, con l’obiettivo di divenire nuovo Testo Unico di ordinamento degli Enti Locali nella prossima primavera.

L’intero disegno di legge è un inno al mercato, oggi ancor più stonato di fronte a una pandemia che del mercato ha rilevato i limiti (e i crimini).
E l’articolo 6 ne costituisce l’apoteosi, laddove tenta di rendere irreversibile la privatizzazione dei servizi pubblici locali e di stravolgere la funzione pubblica e sociale dei Comuni, obbligati a quel punto a considerare la messa sul mercato come gestione ordinaria dei beni comuni e delle politiche sociali per la propria comunità di riferimento.
Per chiunque non abbia deciso di nascondere la testa sotto la sabbia, il testo del provvedimento è di una chiarezza senza smagliature: si tratta di consegnare all’accumulazione finanziaria beni e servizi primari per la vita e la dignità delle persone, e lo si fa inneggiando alla concorrenza, quando è evidente si tratti di monopoli con profitti garantiti.

Stiamo parlando di acqua, energia, trasporti, rifiuti e welfare: tutte materie sulle quali una riappropriazione sociale diventa ancor più necessaria, se si vogliono affrontare, subito e con la determinazione necessaria, le due drammatiche sfide della crisi climatica e della diseguaglianza sociale. Possono sindaci e amministratori locali non prendere parola di fronte a un tale svilimento del proprio ruolo e della loro autonomia? Possono i sindacati non insorgere davanti ad una tale visione della società? Possono gli abitanti delle comunità locali rassegnarsi ad una vita scandita dalla solitudine competitiva?

Nell’ultimo week end di febbraio, si terrà a Roma il Forum della convergenza dei movimenti, una iniziativa che è frutto di un percorso che ha sinora coinvolto oltre 450 realtà sociali del Paese: qualunque maschera indosserà Mario Draghi, come fermare il DDL Concorrenza, come invertire la rotta sull’acqua e i beni comuni, come riappropriarci della democrazia di prossimità dovranno essere messi a tema e attraversare quelle giornate.

Il nostro piano straordinario per la pubblica amministrazione

Pubblica Amministrazione. Francia e Regno Unito, con il 10% di abitanti in più dell’Italia, hanno pubblici dipendenti del 73% e del 116% in più, circa 2,3 e 3,7 milioni di dipendenti in più

Guido Ortona  29.01.2022

Il sottodimensionamento della nostra amministrazione è molto grave, come risulta da dati di confronto con paesi come la Francia e il Regno Unito, che, con circa il 10% di abitanti in più rispetto all’Italia, hanno pubblici dipendenti rispettivamente del 73% e del 116% in più (pari rispettivamente a circa 2,3 e 3,7 milioni di dipendenti in più).
Questo gap non si riduce se anziché i pubblici dipendenti in senso stretto consideriamo gli addetti totali (pubblici e privati) alla produzione di servizi pubblici, onde tenere conto del diverso regime di esternalizzazione: rispetto all’Italia, in Francia abbiamo il 77% e nel Regno Unito il 104% di addetti in più. (I dati si riferiscono al 2019, quindi non sono influenzati da possibili effetti destabilizzanti della pandemia).

Le cause della scarsa efficienza della nostra Pubblica Amministrazione rispetto a quella di altri paesi sono molteplici, ma la differenza nel numero degli addetti è talmente grande da obbligarci a concludere che la carenza di personale è indubbiamente una delle più importanti, anche se non certo l’unica.
Noi sosteniamo un piano straordinario di assunzioni nella Pubblica Amministrazione, da realizzarsi mediante una piccola imposta di solidarietà sulla ricchezza finanziaria. Il piano prevede l’assunzione di circa 1 milione di giovani, La nostra proposta è realizzabile, e non trova controindicazioni né nella teoria né nella prassi economica, e nemmeno nelle regole europee.
Secondo alcuni questa proposta sarebbe in contrasto con le opinioni prevalenti della popolazione. Per valutare questa obiezione abbiamo chiesto alla società di sondaggi Swg di effettuare una rilevazione su come la pensa in proposito l’opinione pubblica. Il sondaggio è stato effettuato nello scorso giugno.

Due le domande. Nella prima chiedevamo l’opinione sull’intervento dello Stato rispetto ai moltissimi giovani che non trovano lavoro: «Ritiene che lo Stato dovrebbe intervenire, creando direttamente posti di lavoro?». Ha risposto sì il 62,5% degli intervistati, che sale al 77,5% se si escludono coloro che hanno risposto “non saprei”.
La seconda era: «La proposta ha il duplice scopo di rafforzare i servizi pubblici più carenti, come, per esempio, sanità, giustizia, scuola, difesa del territorio, e di ridurre drasticamente la disoccupazione dei giovani. Da finanziare con un piccolo prelievo fiscale (l’1%) sui patrimoni finanziari, quindi conti in banca, azioni, obbligazioni, bot, ma non su case, terreni o altri beni immobili, con una quota esente di 100.000 euro. “Quota esente” significa che chi avesse un patrimonio inferiore a 100.000 euro non pagherebbe nulla, chi avesse un patrimonio di 150.000€ pagherebbe l’1% …d. Lei sarebbe favorevole?».
I favorevoli sono il 53,4%, che salgono al 65,2% se si escludono coloro che hanno risposto “non saprei”. È interessante notare che una valutazione elevata o soddisfacente del proprio reddito non riduce la propensione ad appoggiare la proposta, il che porta ad escludere l’ipotesi che siano favorevoli i potenziali beneficiari ma contrari i potenziali contribuenti.

Questi dati non ci hanno sorpreso; sono in linea con quanto suggerisce a livello internazionale molta letteratura teorica, aneddotica e di sondaggio. È evidente che un’espansione del settore pubblico da finanziarsi mediante una (molto piccola) redistribuzione è coerente con la teoria economica di riferimento dell’area progressista, da Keynes a Tarantelli e a Piketty. E i nostri studi ci dicono che essa è praticabile e che non ha controindicazioni dal punto di vista della teoria e della prassi della politica economica. Ciononostante essa è assente dai discorsi e dai programmi dell’area di centro-sinistra. È importante domandarsi perché.

Ci sono molte cause possibili, e non alternative fra di loro: una prima, generale causa è probabilmente la difficoltà a porsi obiettivi strategici e di medio-lungo periodo; una seconda può essere il peso che le componenti più centriste (e i corrispettivi gruppi di interesse) ricoprono nella coalizione di centro-sinistra; una terza probabilmente è costituita dall’egemonia neo-liberale, che non gradisce obiettivi redistributivi e il potenziamento della nostra debole e inefficace Pubblica Amministrazione.
Non siamo in grado, in assenza di dati sufficienti, di rispondere a questa domanda. Ma crediamo che sia un problema importante, la cui risoluzione gioverebbe tanto ai partiti di centro-sinistra quanto al Paese.

Filippo Barbera, Università di Torino, filippo.barbera@unito.it; Maria Luisa Bianco, Università del Piemonte Orientale, marialuisa.bianco@uniupo.it; Bruno Contini, Università di Torino, bruno.contini@unito.it; Federico Dolce, direttore del Centro Studi Argo di Torino, federico.dolce@gmail.com; Antonio Graziosi, già all’Organizzazione Internazionale del Lavoro, Ginevra, antonio.graziosi57@gmail.com; Guido Ortona, Università del Piemonte Orientale, guido.ortona@uniupo.it; Francesco Pallante, Università di Torino, francesco.pallante@unito,it; Francesco Scacciati, Università di Torino, francesco.scacciati@unito.it; Andrea Surbone, scrittore, andrea@surbone.it; Pietro Terna, Università di Torino, pietro.terna@unito.it; Dario Togati, Università di Torino, dario.togati@unito.it; Willem Tousijn, Università di Torino, willem.tousijn@unito.it.
I dati completi e una documentazione più ampia possono essere richiesti a uno qualsiasi dei firmatari.

A scuola da Gramsci: mappa per una lettura della società

Scaffale. «Crisi e rivoluzione passiva», una raccolta di materiali dell’edizione della Ghilarza Summer School del 2018, pubblicata da Ibis

Guido Liguori  29.01.2022

Il tema dell’esegesi dei testi gramsciani è complesso. Man mano che procedono gli studi si approfondisce la comprensione di questo autore, mai facile, a volte enigmatico. Gli scritti del pensatore sardo vengono in tutto il mondo letti con gli strumenti della filologia, della contestualizzazione storica, della ricerca sulle fonti, della passione politica. Sempre aspetti prima trascurati sono illuminati e dibattuti, nuove piccole scoperte ci aiutano a comprendere le parole del giornalista torinese, del rivoluzionario nella terra dei Soviet, del dirigente comunista in lotta col fascismo, del prigioniero che in carcere porta avanti – isolato e testardo – la sua battaglia per cambiare la società e il mondo.
Dal 2013 si svolge  periodicamente a Ghilarza, il paese in cui Gramsci trascorse la sua prima giovinezza, una «summer school» di approfondimento del suo pensiero, ideata e condotta da Gianni Francioni, Giuseppe Cospito e Fabio Frosini (curatori della nuova edizione critica dei Quaderni, in corso), in collaborazione con la Casa Museo Antonio Gramsci, la Fondazione Gramsci di Roma, l’International Gramsci Society (Igs), con il supporto della Fondazione di Sardegna.

ALLE VARIE EDIZIONI – settimane di full immersion su alcune delle principali categorie gramsciane (egemonico/subalterno, ideologia, rivoluzione passiva) – sono stati chiamati a collaborare molti tra i più noti specialisti dei temi di volta in volta approfonditi. La quindicina di giovani studiose e studiosi che si susseguono come discenti vengono da tutto il mondo, grazie ad apposite borse di studio, e sono selezionati tra coloro che già si sono inoltrati nell’analisi delle opere dell’autore sardo.
Gli scritti originati dalle prime edizioni della Ghilarza Summer School sono stati pubblicati sull’International Gramsci Journal (la rivista della Igs reperibile in rete). I materiali dell’edizione del 2018 sono invece ora raccolti in un volume per vari aspetti interessante, intitolato Crisi e rivoluzione passiva. Gramsci interprete del Novecento, a cura di G. Cospito, G. Francioni e F. Frosini (Ibis, pp. 442, euro 25).

TRA GLI AUTORI alcuni docenti della «scuola», italiani e stranieri: Leonardo Rapone, sugli anni della guerra e del dopoguerra, con una coinvolgente lettura del «pacifismo» di Gramsci, del suo rifiuto dell’idea di patria, del suo originale internazionalismo; Giuseppe Cospito, su egemonia e concezione anti-economicistica della crisi; Alvaro Bianchi, sul fondamentale e spesso sottovalutato confronto con gli elitisti; Francesca Antonini, sul cesarismo, progressivo e regressivo; Pasquale Voza, su rivoluzione passiva, lettura del Risorgimento e del ’900 e necessità di una «anti-rivoluzione passiva»; Fabio Frosini, presente con due saggi, uno sul totalitarismo negli anni ’20 e nei Quaderni e l’altro sulla recente scoperta del ruolo di Guido De Ruggiero nella messa a fuoco della categoria di rivoluzione passiva; Jean-Pierre Potier, su Gramsci, la scienza economica e la crisi degli anni ’30; Peter Thomas, su assenza di giacobinismo e «rivoluzione permanente»; Roberto Dainotto, sulla riflessione gramsciana sul taylorismo, dall’Ordine Nuovo ai Quaderni, passando per la lettura che ne fa Trockij nella Russia rivoluzionaria; Giuseppe Vacca, su crisi dello Stato e «nuovo cosmopolitismo».

NON MANCANO I SAGGI di giovani studiosi e studiose della «scuola di Ghilarza»: Giulio Azzolini (sullla funzione di classe dirigente nei Quaderni), Anxo Garrido (sul tema del «nuovo umanesimo» a fronte dell’analisi del «gorilla ammaestrato» di Taylor), Giacomo Tarascio (sul concetto di «forze latenti»), Simone Coletto (sulla concezione non lineare del tempo, con un Gramsci contiguo a Benjamin), Daniela Mussi (che, in modo non scontato, sostiene che la «questione femminile» non abbia in Gramsci particolare originalità e importanza) e Agustin Artese (sull’influenza del gramscismo italiano di fine anni ’70 sul pensatore argentino Jaun Carlos Portantiero).

CRISI DI CIVILTÀ, crisi economica, crisi di autorità, crisi organica, crisi di egemonia: manifestazioni di processi «molecolari» che le classi dirigenti cercano di contenere con forme di rivoluzioni passive diverse: da una parte il fascismo, dall’altra l’americanismo, quest’ultimo con maggiore e ben più duratura capacità espansiva. Nel leggere tali processi, i saggi del volume aggrediscono aspetti diversi, e le letture non sono univoche – anzi spesso è anche tale diversità ad aggiungere interesse al libro.
A Gramsci, le armi della filologia e della ricerca servono oggi più che mai, per comprendere ciò che veramente voleva dirci o lasciar detto. Con la consapevolezza che egli resta per tanti aspetti un nostro contemporaneo, un nostro compagno di strada, e anche un nostro compagno di lotta.

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