TRUMP, IL “CANE PAZZO” da SOLLEVAZIONE
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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TRUMP, IL “CANE PAZZO” da SOLLEVAZIONE

TRUMP, IL “CANE PAZZO”

 Leonardo Mazzei  06/11/2025

Nel caos d’ogni dì del nostro tempo, i fondamentali vanno spesso smarriti. È il caso del dibattito su Trump. Qualcuno lo voleva isolazionista, ripescando una ormai remota tradizione repubblicana. Altri addirittura “pacifista”, non foss’altro che per venire a patti con la realtà di un impero in decadenza.

Dopo Gaza, le bombe sull’Iran e sullo Yemen, siamo adesso alle violente minacce al Venezuela. Forse è venuto il tempo di mettere alcuni puntini sulle “i”, di rimettere un po’ di ordine sulla sostanza delle cose. Che è poi l’unico modo per orientarci nel marasma che, passo dopo passo, ci sta portando verso l’abisso di una Terza guerra mondiale pienamente dispiegata.

Proviamo allora a ricapitolare i punti fondamentali:

(1) Donald Trump è sì un personaggio particolare, un egocentrico al cubo che ama spararle grosse. Ma egli è innanzitutto il quarantasettesimo presidente di quella che è ancora la prima potenza mondiale, e che ambisce a restare tale. Una potenza che vuole impedire in tutti i modi il passaggio da un mondo monopolare ad uno multipolare e/o multilaterale.

(2) È proprio questa decisione strategica dell’imperialismo americano, peraltro maturata ai tempi di Obama, la prima vera causa delle guerre in corso, a partire da quella d’Ucraina. Guerra scatenata dall’espansione della Nato verso est, cui è seguita la risposta difensiva di Putin.

(3) Non tutte le ciambelle riescono col buco. Pur in mezzo a mille difficoltà, e nonostante gli errori di calcolo del 2022, la Russia ha retto la sfida. Le sanzioni non potevano bastare a piegarla, e la visione economicista dell’Occidente si è rivelata perdente. Da qui, dalla sconfitta del progetto di Biden, la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali.

(4) Trump è stato quindi chiamato ad aggiustare la tattica, non a cambiare la strategia. Si è così passati da una guerra fondata sulla superiorità economica, alla tattica del “cane pazzo”. Tattica israeliana per eccellenza, basata sulla minaccia, l’apparente irrazionalità e soprattutto sull’imprevedibilità. Nessuno poteva essere più adatto a questo scopo che lo psicopatico dal ciuffo giallo.

(5) Nell’imprevedibilità può starci pure una momentanea postura “pacifica” e dialogante. L’importante è dialogare con la Russia in funzione anticinese, poi con la Cina in funzione antirussa. Mettere e togliere dazi. Passare dal Dipartimento della Difesa a quello della Guerra, e subito dopo reclamare il Nobel per la pace.

(6) Questo altalenare senza precedenti non può essere attribuito ad un solo uomo, per quanto presidente alla Casa Bianca. È evidente come questo modus operandi sia una scelta ben precisa, condivisa ed in ultima istanza guidata dal Deep State a stelle e strisce.  Un modo di condurre la guerra, peraltro già teorizzato da Richard Nixon oltre cinquant’anni fa. A lui non andò troppo bene, vedremo adesso con Trump.

La risultante dei sei punti sopra è semplice assai. Trump sta continuando la guerra di Biden, che è guerra esistenziale per la difesa di un impero che continua a volersi unico e globale. La differenza è che lo sta facendo con altri metodi, più o meno efficaci di quelli precedenti lo dirà solo il tempo.

Questo non significa che il passaggio dal 46° al 47° presidente americano, con l’insolito ritorno a quello che era stato il 45°, non abbia cambiato nulla. Ha cambiato moltissimo, ma nel quadro della continuità strategica imperiale. Che è pure continuità sull’obiettivo di fondo di questa fase storica: conservare il predominio americano costi quel che costi.

Se si parte da questa premessa di fondo, molte cose apparentemente strane e/o contraddittorie diventano tasselli di un mosaico con una sua logica. Logica criminale, certamente, ma logica. Importante è capire che Trump non intende gestire una ritirata, per quanto parziale, dell’impero. Egli mira piuttosto all’esatto contrario. Da qui il Make America Great Again del famoso cappellino rosso che ama indossare. Magari il suo tentativo si dimostrerà velleitario, come ci auguriamo. Ma mai sottovalutare l’imperialismo più armato, più violento e più immorale della storia.

La scelta della guerra non è un’esclusiva di Washington. Anzi. A chi gli chiede di schierarsi definitivamente con l’una o l’altra sponda dell’Atlantico, Giorgia Meloni ama rispondere che lei è una “patriota dell’Occidente”. Definizione pretenziosa e financo furbesca, ma che in qualche modo va al succo della questione. Stati uniti ed Unione europea confliggono su tante questioni, ma alla fine l’allineamento subalterno degli europei è totale. Lo si è visto sui dazi, sull’aumento delle spese militari, sul piano neocoloniale per Gaza, sulla postura anticinese, sui bombardamenti all’Iran. La guerra americana è dunque anche la guerra dell’Occidente. La scelta è la stessa, perché medesimo è il declino, medesimo il rifiuto di nuovi equilibri internazionali.

Per gli Stati Uniti l’allineamento degli europei, via Nato ma non solo, non è mai stato un problema. Ma con Trump questo risultato è stato più netto. Frutto di una spinta bellicista senza precedenti dopo il 1945 e di classi dirigenti ormai allo sbando, pronte a tutto (dunque anche alla guerra) pur di restare in sella.

Vediamo ora, sempre sinteticamente, come la nuova tattica trumpiana del “cane pazzo” impatta su tre importanti scenari di guerra: Ucraina, Medio Oriente, Venezuela.

Ucraina – Qui Trump ha fatto scandalo. L’indemoniata russofobia europea mal si concilia, infatti, con tregue ed accordi. Ma dal vertice ferragostano in terra d’Alaska ne è passata di acqua sotto i ponti. Ed il secondo vertice, che avrebbe dovuto svolgersi a Budapest, è stato semplicemente annullato. Senza ritegno, gli europei hanno così tirato il fiato: “per fortuna la guerra continua”… Incommentabili, ma se ci fermassimo a questi fotogrammi non capiremmo la condotta di Trump, che qui è quel che ci interessa.

Sulle mosse del presidente americano verso la Russia di Putin si è scritto di tutto: accordo tra autocrati, affari più o meno loschi, comuni interessi nell’Artico, eccetera. Tutto plausibile, ma con una gigantesca omissione. A differenza degli europei, Trump ha parlato con il grande nemico, dunque – secondo la narrazione mainstream – con il demonio in persona, ma l’ha fatto per arrivare ad una tregua, non alla pace. La sua non è stata una concessione, bensì una trappola. Quella di congelare l’attuale linea del fronte, ma senza riconoscere de jure i nuovi confini. Una “soluzione” alla coreana che per gli Usa (e per l’Occidente tutto) avrebbe presentato almeno tre vantaggi: (1) prendere fiato in una situazione in cui l’inerzia della guerra è favorevole a Mosca, (2) dare tempo al gigantesco piano di riarmo Ue/Nato, (3) mantenere la Russia sotto scacco e sotto sanzioni. Da qui l’inevitabile no russo ad una tregua che sarebbe stata in realtà una trappola, utile solo a Kiev ed al blocco Usa-Nato-Ue.

Medio Oriente – Nell’ampio quadrante mediorientale, Trump si è mosso in maniera non molto dissimile da quella del suo predecessore. Fermo il sostegno ad Israele (perfino con la partecipazione diretta al bombardamento dell’Iran), ferma la ricerca di un’ampia alleanza regionale da contrappore all’area dei Brics con il rilancio degli “Accordi di Abramo”. L’incrocio di queste due esigenze, unito all’eroica resistenza di HAMAS nella Striscia di Gaza, ha portato allo stallo attuale: una “tregua” che però Israele non rispetta, dato che l’entità sionista non ha oggi altra strategia all’infuori della guerra permanente.

Se il genocidio del popolo palestinese continua, il progetto di deportazione è palesemente fallito. Probabile la stessa fine per il “Piano Trump”. Tuttavia, l’iniziativa aggressiva della Casa Bianca un risultato l’ha comunque ottenuto, quello di aver dimostrato di essere ancora l’unica potenza in grado di “dare le carte”, ottenendo sul piano per Gaza non solo l’appoggio europeo, ma pure quello di Russia e Cina. Potenze, queste ultime, che si sono guardate bene dal fornire il necessario sostegno all’Iran di fronte all’aggressione di giugno.

Venezuela – Il tentativo di regime change fallito a Teheran viene ora riproposto in Venezuela. Per fortuna Trump doveva essere un presidente “isolazionista”! Qui si tenterà un vero e proprio golpe, con le navi da guerra ad aprire la strada a qualche azione interna pilotata dalla Cia. Scopo di questa azione non è solo il rovesciamento del governo Maduro (già tentato diverse volte), e nemmeno la semplice riproposizione della “Dottrina Monroe”, a proposito di certe continuità strategiche…

Ovviamente, l’idea di riprendere il controllo del “giardino di casa” è forte nell’amministrazione Trump. Ed è un “giardino” che si vorrebbe allargare (Canada, Groenlandia, eccetera). Ma c’è un obiettivo ancora più importante: dimostrare anche qui, come in Medio Oriente, di essere ancora gli unici che possono muoversi liberamente per minacciare, aggredire ed eventualmente rovesciare governi legittimi di stati sovrani.

Conclusioni

Ovviamente il trumpismo non è solo questo. Ma la sua politica estera, di fatto la sua politica di guerra a tutto tondo, dovrebbe ormai essere chiara a tutti.

Naturalmente, una cosa sono le intenzioni ed un’altra i risultati. Putin ha giustamente respinto la trappola di una tregua senza pace, mentre il cambio di regime a Teheran è fallito. In Palestina la lotta continua ed Israele è ormai inviso al mondo intero. Alla fine, anche il Venezuela potrebbe resistere. Se l’invasione appare impossibile, non è detto che i bombardamenti possano essere sufficienti a produrre l’ennesimo golpe a stelle e strisce.

Tutto vero per fortuna. Ma questo non vuol dire che l’imperialismo americano sia oggi una tigre di carta. Se Atene piange, Sparta non ride. In Medio Oriente, l’indebolimento del cosiddetto “Asse della Resistenza” è stato anche il frutto della clamorosa assenza politica dei Brics in quel quadrante, mentre in Ucraina il logoramento non è solo su un lato e la guerra sta per arrivare al completamento del suo quarto anno. Non proprio un successo per la Russia.

Avremo modo di approfondire tutte queste questioni. Prima, però, dobbiamo chiudere definitivamente i conti con i trumpiani di casa nostra, questi irresponsabili spargitori di assurde illusioni.

Esattamente un anno fa, a caldo dopo la sua rielezione, scrivemmo che «Trump non solo non metterà fine alla Guerra Grande, ma finirà probabilmente per aggiungere nuova benzina all’incendio in corso». Allora poteva sembrare un giudizio un po’ troppo avventato, sicuramente controcorrente. E adesso?

Adesso sarebbe il momento di tirare le somme. Operazione che non abbisogna di ulteriori argomentazioni. Stabilire chi aveva ragione è abbastanza irrilevante. Decisivo, invece, capire come stanno davvero le cose. Tra queste, l’accelerazione verso l’abisso impressa dalla tattica del “cane pazzo”. Una tattica che vorrebbe la resa del nemico, che assai più probabilmente otterrà invece l’escalation.

Ecco perché nessuna illusione è concessa. Difficile uscire dalla spirale che si è innescata. Difficile impedire lo scivolamento verso una Terza guerra mondiale pienamente dispiegata. Impossibile senza un potente movimento unitario e di massa che sappia incidere sulle scelte politiche dei governi. La consapevolezza sulle dinamiche reali dovrebbe servire proprio a questo: a comprendere pienamente il pericolo, a mobilitarsi prima che sia troppo tardi.

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