SOCIOLOGIA. IL TERRORISMO DI HAMAS E DI ISRAELE: UN MANUALE D’ISTRUZIONE da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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SOCIOLOGIA. IL TERRORISMO DI HAMAS E DI ISRAELE: UN MANUALE D’ISTRUZIONE da IL FATTO e IL MANIFESTO

Sociologia. Il terrorismo di Hamas e di Israele: un manuale d’istruzione

 Alessandro Orsini  7 Ottobre 2025

Ricorre il 7 ottobre e affrontiamo due domande: Hamas è un’organizzazione terroristica? Israele è uno Stato terrorista? La sociologia non consente una risposta semplice. Hamas è un’organizzazione complessa che svolge più di una funzione sociologica. Data la complessità della materia, partirò dalle conclusioni delle mie ricerche: Hamas ha il terrorismo tra le sue tecniche di combattimento. Che cosa significa?

In primo luogo, significa che il terrorismo non è un’ideologia, bensì una tecnica di combattimento nella lotta per la conquista e la conservazione del potere. Generalmente, gli Stati usano il terrorismo per conservare il potere (terrorismo di Stato), mentre i gruppi sociali usano il terrorismo per conquistarlo (terrorismo degli attori non statali). Inizierò dalla definizione di terrorismo degli attori non statali che ho presentato in Ucraina-Palestina. Il terrorismo di Stato nelle relazioni internazionali per capire se Hamas rientri nella definizione: “Il terrorismo è violenza politica finalizzata a diffondere il terrore psicologico in una popolazione per ottenere concessioni da un governo sotto la guida di un’ideologia”. L’attentato del Bataclan del 13 novembre 2015 è un tipico attentato terroristico perché: 1) era guidato dall’ideologia jihadista; 2) ha ucciso alcuni civili per terrorizzare tutti i francesi; 3) voleva ottenere dal governo francese la fine dei bombardamenti contro le roccaforti dello Stato islamico. Nonostante la numerosità, le definizioni di terrorismo distinguono tra “obiettivo primario” e “obiettivo strumentale”. Nel caso del Bataclan, l’obiettivo primario era il governo francese, mentre l’obiettivo strumentale erano le vittime. Un discorso analogo vale per l’attentato del 7 ottobre 2023. Hamas è molte cose: è un partito-Stato; un governo; un apparato militare e altro. Hamas è anche un’organizzazione terroristica? Hamas figura come “caso studio” in tutte le principali enciclopedie sul terrorismo e nei maggiori manuali accademici. Perché molti non colgono la natura terroristica di Hamas? Ecco la risposta: perché non distinguono la motivazione dal comportamento. E allora dicono: “Hamas non è terrorismo perché lotta per una causa giusta!”. Il terrorismo è un modo di agire. La domanda che dovremmo porci è: “Hamas colpisce i civili sotto la guida di un’ideologia per costringere il governo israeliano a ritirarsi dalla Palestina diffondendo il terrore?” Se le risposte sono affermative, allora Hamas impiega il terrorismo. E Israele è uno Stato terrorista? La condotta d’Israele rientra nella definizione sociologica del terrorismo di Stato. Eccola: “Il terrorismo di Stato è l’uso spropositato della violenza politica contro una popolazione civile indifesa e senza vie di fuga per terrorizzarla e costringerla ad aderire all’agenda del governo”. Quando Trump dice o lascia intendere: “Cari palestinesi, o accettate il mio piano oppure vi farò sterminare da Netanyahu”, questo è terrorismo di Stato. Nessuno può diventare uno scienziato sociale senza distaccarsi emotivamente dal proprio oggetto di studio. È sbagliato fare analisi della sicurezza internazionale in base ai sentimenti di simpatia o antipatia. Zelensky godeva di grandi simpatie. Per questo motivo, l’idea che l’Ucraina avrebbe sconfitto la Russia facilmente era “scientifica”. Impressiona la mancanza di educazione scientifica nel dibattito pubblico in Italia, dall’Ucraina alla Palestina. Ognuno ha la propria “scienza”. Ecco perché in Italia esistono almeno mille definizioni diverse di genocidio, come Crozza ha mostrato magistralmente. Dalla Rai a La7, ognuno crea quella più conveniente in base alle esigenze del momento.

«Un genocidio non nasce dal nulla, il 7 ottobre è caduta la finzione»

Intervista alla giornalista e intellettuale Orly Noy «Le famiglie degli ostaggi fanno ciò che ritengono utile a liberare i propri cari. Il mio problema è la sinistra sionista che loda l’esercito e si allea con la destra di Lieberman»

Michele Giorgio  07/10/2025

Orly Noy, giornalista, intellettuale, attivista, è una lucida osservatrice della società israeliana. Ex direttrice della rivista israelo-palestinese +972mag, oggi segue il media gemello Local Call. Ha scritto più volte negli ultimi due anni su come gli israeliani, o gran parte di essi, hanno reagito all’attacco di Hamas e dello scivolamento verso ciò che non esita a descrivere come fascismo. Sabato 11 ottobre sarà ospite del nostro festival a Roma. L’abbiamo intervistata a Gerusalemme.

Nei suoi ultimi articoli denuncia la giustificazione in Israele del genocidio dei palestinesi a Gaza.
I genocidi non appaiono dal nulla. Una società non diventa genocidaria da un giorno all’altro, nemmeno dopo attacchi orribili come quello del 7 ottobre. Pertanto, si tratta di una continuazione o del prodotto finale di un processo che va avanti da decenni. Ma è emerso anche qualcosa di nuovo. E credo che per definire questo «nuovo» occorra ricordare che, fino al 7 ottobre, almeno a livello ufficiale, la cosiddetta etica collettiva israeliana era, almeno a parole, quella della democrazia e dei diritti umani. Sappiamo che in realtà Israele li violava sistematicamente da decenni, ma almeno sul piano formale la società israeliana pretendeva di presentarsi come progressista e l’ossatura di una democrazia occidentale. Negli ultimi due anni ha rinunciato a questa finzione per abbracciare, come ethos collettivo ufficiale, l’idea della distruzione totale dei palestinesi. Fino al 7 ottobre 2023 si potevano ascoltare cose del tipo: «È vero, bisogna porre fine all’occupazione, ma è una questione di autodifesa, bisogna negoziare, serve un processo diplomatico». Tutto questo è sparito. E ciò che era implicito è diventato esplicito dopo il 7 ottobre. Ora si parla di distruzione totale dell’altra parte.

Gli intellettuali, gli artisti, il mondo della cultura non hanno fatto da argine, le eccezioni sono state rare. Solo di recente uno scrittore celebre come David Grossman, in un’intervista, ha parlato di genocidio in riferimento a Gaza.
Gli intellettuali israeliani hanno miseramente fallito nel compiere i propri doveri negli ultimi due anni e si sono piegati alla mentalità collettiva omicida. Non che non abbiano fatto sentire la loro voce, anzi. Sono scesi in campo, molti di loro, per giustificare il genocidio e la guerra di annientamento dei palestinesi. Abbiamo visto noti artisti fare il tifo per l’avanzata dell’esercito israeliano e abbracciare i soldati pronti ad entrare a Gaza. Penso che il 7 ottobre abbia dato a molte persone che si proclamavano di sinistra, che si sentivano escluse, fuori dalla tribù collettiva, l’opportunità di tornare nel consenso nazionale. Persone come Gila Almagor, una delle attrici più note in Israele, hanno segnalato: ehi non siamo quegli elitisti e alienati che ci avete sempre considerato; in fondo siamo come voi e odiamo i palestinesi e i gazawi tanto quanto voi. È stata, insomma, l’occasione per redimersi dal grande peccato dell’essere di sinistra. Quanto a Grossman molti si attendevano da lungo tempo che dicesse qualcosa sul genocidio a Gaza, perché gli viene riconosciuto di essere una persona dalla grande umanità. Lo credo anche io. Invece ci sono voluti quasi due anni. Penso che gli sia servito molto tempo perché, per qualcuno come lui, un sionista convinto che ha creduto da sempre nella possibilità che Israele fosse una democrazia, ebraica e democratica insieme, il fallimento deve essere stato devastante. Per uno come Grossman vedere la propria società compiere un genocidio deve averlo colpito in modo così lacerante da impedirgli di riconoscerlo apertamente. Comunque sia, è diverso dagli altri intellettuali che invece giustificano i crimini israeliani. Alla fine, ha fatto il passo giusto, altri al suo livello no.

In Israele, anche le famiglie degli ostaggi e gran parte di coloro che chiedono la fine della guerra, hanno criticato i governi occidentali per il riconoscimento che hanno dato allo Stato di Palestina. Dicono che non è il momento di parlare di una soluzione a due Stati e di politica e che la priorità assoluta è liberare gli ostaggi a Gaza.
Posso comprendere che le famiglie degli ostaggi facciano e chiedano tutto ciò che ritengono utile per liberare i propri cari. È comprensibile, umanamente. Anche io non credo che sia il momento per parlare di politica o di soluzioni, ma per un altro motivo. Per me ora c’è solo una cosa all’ordine del giorno, ed è fermare il genocidio a Gaza. Non guardo alle famiglie degli ostaggi, il mio problema è con gli esponenti della sinistra sionista e del centro, come Yair Golan, il capo della sinistra ebraica, che continua a lodare le forze armate israeliane come «le più morali del mondo» sebbene siano accusate di genocidio, di crimini di guerra e contro l’umanità. E che attribuisce ogni colpa a Netanyahu e (ai ministri di ultradestra) Smotrich e Ben Gvir. Yair Golan vede Avigdor Lieberman, il padre del fascismo israeliano, come un alleato politico più naturale di Ayman Odeh (deputato palestinese israeliano favorevole alla convivenza tra arabi ed ebrei, ndr). Questa è una delle catastrofi della politica ebraica in Israele oggi.

Tenendo conto di tutto ciò che ha detto finora, e soprattutto di questa ultima risposta, esiste una via d’uscita politica a tutto questo?
Penso che sia impossibile rispondere a questa domanda ora, perché siamo nel mezzo di un’apocalisse la cui portata completa non l’abbiamo ancora vista. Porre fine al genocidio è il primo passo, ma solo il primo passo, non è la stazione finale, abbiamo molta strada da fare. Come ho scritto recentemente, la società israeliana dovrà attraversare un processo di denazificazione. Dovremo renderci conto fino in fondo del significato della Nakba palestinese, affrontare la nozione di supremazia ebraica, mettere fine all’idea che i palestinesi siano privi di valore come esseri umani e che le loro terre possono essere rubate assieme al futuro dei loro figli. Questa disumanizzazione dei palestinesi, protrattasi per tante generazioni ha reso possibile questo genocidio a Gaza.

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