SECONDO ATTACCO ALLA SUMUD. STAVOLTA C’È LA PROVA da IL MANIFESTO
Secondo attacco alla Sumud, stavolta c’è la prova
Global Sumud Flotilla Una lattina di gas sganciata da un drone sulla Flotilla a Tunisi
Lorenzo D’Agostino 11/09/2025
TUNISI
«Questa volta ci sono le prove». Grazie alla prontezza di riflessi dell’equipaggio, l’attacco incendiario che per la seconda notte consecutiva ha colpito una delle barche della Global Sumud Flotilla ha lasciato un reperto prezioso: una lattina di gas avvolta nel tessuto bruciato. «Ieri, dopo l’attacco contro la Family, avevano provato a negare che si trattasse di un drone. Ora non potranno farlo». Nella voce di Semih, cittadino turco e attivista a bordo della nave Alma, colpita ieri notte, si sente l’orgoglio per la rapidissima reazione dei suoi compagni di equipaggio.
«Quindici secondi dopo essere stati colpiti dal proiettile infuocato eravamo alle pompe dell’acqua, tre minuti dopo l’incendio era spento. Così siamo riusciti a raffreddare l’ordigno prima che si sciogliesse». Semih parla con il manifesto mentre armeggia con il motore fuoribordo di un piccolo gommone. Sta riportando i partecipanti alla missione umanitaria diretta a Gaza a bordo della navi ancorate nella baia di Sidi Bou Said. Dalla spiaggia arrivano, fortissime, le urla e le canzoni di migliaia di persone radunatesi per salutare la flottiglia in partenza dalla capitale tunisina.
PRIMA È STATA colpita la Family, la nave ammiraglia su cui viaggiano gli organizzatori e i volti più noti della missione. Esattamente 24 ore dopo un identico ordigno incendiario è piombato sulla Alma, la barca più grande della missione, a motore, che trasporta il grosso degli aiuti umanitari e anche i rifornimenti per le barche più piccole. A bordo erano in nove: «Nove persone che dopo il primo attacco si sono rifiutate di lasciare sola la nave e tornate a terra. E che ora continueranno la navigazione fino a Gaza». Semih esplode di orgoglio.
Quando l’equipaggio ha visto il drone sulle proprie teste, racconta, un quadricottero di circa 40 centimetri che emetteva tre deboli luci verdi, tutti sono corsi sotto coperta. Ma uno di loro, Morad, è rimasto congelato a guardare in aria. «Non puoi mai sapere come reagisce il tuo corpo in una situazione del genere – riflette Semih – Morad era a tre metri dalla palla di fuoco, ha sentito il calore addosso, ma per fortuna non è rimasto ferito». A bordo del gommone guidato da Semih c’è anche Heidi Matthews, una giurista canadese appena arrivata a Tunisi per imbarcarsi su una nave di osservatori legali indipendenti che accompagnerà la flottiglia. È interessata a ogni dettaglio dell’attacco di ieri, che ripete con la premura di chi sta già formulando nella sua mente le possibili azioni legali contro i responsabili.
Ora anche le autorità tunisine sono state costrette ad annunciare un’indagine, dopo aver attribuito l’incendio sulla Family a un mozzicone di sigaretta. Sulla Alma, continua Semih, è subito salita la polizia per raccogliere prove. L’unico danno sofferto dalla nave è stata l’esplosione di una piccola batteria che manovra una delle gru di poppa, ora fuori uso. Ma niente che impedisca il proseguo della navigazione. Nessuno, d’altra parte, sembra avere intenzione di lasciarsi intimidire.
POCHE ORE PRIMA del secondo attacco, mezzo migliaio di partecipanti alla flottiglia era riunito in una sala conferenza dell’hotel Raddison di Tunisi. Gli organizzatori avevano convocato un’assemblea generale per condividere le informazioni disponibili sull’attacco alla Family e le prossime tappe. «Navigheremo fino a Gaza?», ha chiesto Thiago Avila. Dalla sala gremita si è alzato un unanime e fortissimo «sì!».
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