PUTIN: “GARANZIE DI SICUREZZA A KIEV? ACCORDARSI È POSSIBILE” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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PUTIN: “GARANZIE DI SICUREZZA A KIEV? ACCORDARSI È POSSIBILE” da IL FATTO

Putin: “Garanzie di sicurezza a Kiev? Accordarsi è possibile”

Luana De Micco e Michela A.G. Iaccarino  3 Settembre 2025

A Parigi i Volenterosi daranno a Zelensky certezze: sono pronti all’impegno, “ma solo se ci sono gli Usa”

Domani mattina i volenterosi al vertice (in formato ibrido) di Parigi, presieduto da Macron insieme al primo ministro britannico Starmer, dichiareranno che sono “pronti”, secondo fonti dell’Eliseo, a fornire queste “garanzie di sicurezza” al presidente Zelensky, a Parigi sin da stasera per un bilaterale col presidente francese. Garanzie, in tre punti, giudicate “necessarie per assicurare la sovranità dell’Ucraina e dell’Europa”: la Coalizione, che comprende una trentina di Paesi, soprattutto europei, ma anche Australia e Canada, è ora dunque in grado di fornire a Kiev gli strumenti, finanziari, logistici e operativi, per consolidare l’esercito ucraino e dare il suo sostegno per affrontare o dissuadere ogni ulteriore aggressione da parte di Mosca. Ma ora i volenterosi attendono anche l’impegno “chiaro e a lungo termine” degli Stati Uniti. Il terzo punto chiama in causa Trump e quella “rete di protezione” che serve a garantire la sicurezza all’Ucraina, e che il presidente Usa si è detto disposto a fornire. L’Eliseo ha insistito che oggi esistono “contributi sufficienti” da parte della Coalizione, ma solo a condizione che gli Usa “rispettino l’impegno preso”: “Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità – ha detto la stessa fonte – purché loro facciano altrettanto, fornendo agli europei il “backstop” che chiedono, e continuando a impegnarsi diplomaticamente per ottenere il cessate il fuoco in l’Ucraina”.

Ieri in Cina, seduto di fronte allo slovacco Fico, Putin ha detto che è possibile trovare garanzie di sicurezza per mettere fine al conflitto, un “consenso”, ma è “inaccettabile” l’adesione di Kiev alla Nato. Invece non pone veti per l’entrata in Ue. “Spetta all’Ucraina decidere come garantire la propria sicurezza. Ma questa sicurezza non può essere garantita a scapito della sicurezza di altri Paesi, in particolare della Federazione Russa”. Poi ha tacciato di “isteria” i Paesi dell’Alleanza, che sono “esperti di film dell’orrore”: “Non vogliamo attaccare nessuno”; “Penso che per ogni persona sana di mente questa appaia come una chiara provocazione, o una prova di incompetenza”. Un plauso lo riserva ai repubblicani: “Quando abbiamo parlato con la precedente amministrazione e Biden, nessuno voleva ascoltarci e nessuno ci ha ascoltato. Ora, possiamo vedere che sta emergendo una comprensione reciproca” con la sponda americana.

Ieri è tornato, come un fantasma sparito dal 2022 – l’ultimo anno in cui era stato visto – l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich scappato in Russia nel 2014 dopo le proteste e senza più cittadinanza ucraina da un paio d’anni (gliel’ha tolta Zelensky nel 2023). Sui media russi ha accusato l’Unione (con cui abbandonò il processo d’associazione, scatenando le manifestazioni in piazza Maidan) di essersi comportata non in maniera appropriata durante i colloqui d’integrazione: “Erano arroganti”. Non capivano “la complessità della situazione economica in Ucraina”. Ha fatto eco al suo presidente che parlava in Cina: l’entrata di Kiev nella Nato è “un percorso diretto alla guerra civile”; lui, ha aggiunto, è sempre stato un “convinto” sostenitore del non accesso all’Alleanza.

L’Ucraina, che da lontano guarda il vertice in corso a casa Xi, continua a premere su Pechino affinché svolga un “ruolo più attivo” negli sforzi di pace e ieri si è lamentata con una dichiarazione ufficiale del documento finale congiunto del summit euroasiatico: è eloquente che “la Dichiarazione di Tianjin di 20 pagine non contenga una sola menzione della guerra russa contro l’Ucraina”; “È sorprendente che la più grande guerra di aggressione in Europa dalla Seconda guerra mondiale non sia stata rispecchiata in un documento così importante e fondamentale, mentre menziona una serie di altre guerre, attacchi terroristici ed eventi nel mondo”. Le parole più definitive sul conflitto in corso ieri le ha pronunciate Erdogan, che ha visto Putin e parlato con Zelensky: per i colloqui “non sono pronti”.

Armi, l’Unione ora spende 100 mld più della Russia

 Cosimo Caridi  3 Settembre 2025

Investimenti record in equipaggiamenti anche per l’Italia. E non siamo in guerra

La spesa militare europea continua a crescere. Nel 2024, con un aumento del 19% rispetto al 2023, i Paesi Ue hanno destinato 343 miliardi di euro alla difesa, circa l’1,9% del Pil. L’obiettivo fissato al vertice Nato dell’Aia dello scorso mese è arrivare al 5% entro il 2035. Secondo l’Agenzia europea della difesa (Eda) 13 Stati hanno già superato la soglia minima del 2%. Dal 2014 al 2024 la spesa pro capite per ogni cittadino Ue è cresciuta del +150%, passando da 426 a 764 euro. Nello stesso periodo la spesa per ogni militare attivo è quasi raddoppiata (da 138 mila a 249 mila euro). Nel 2025 i bilanci complessivi dovrebbero superare i 380 miliardi. Del resto, Mario Draghi, nel suo rapporto sulla competitività, aveva indicato che la Difesa “rappresenta un settore con capacità immediata di stimolare la crescita e l’occupazione in Europa”.

Nel 2024 gli investimenti hanno toccato i 106 miliardi. La voce dominante è il procurement, l’acquisto diretto di equipaggiamenti già sviluppati. I Paesi Ue vi hanno destinato 88 miliardi, con un aumento del 39% rispetto al 2023. Per l’Italia, la spesa resta sbilanciata sul personale: fino a pochi anni fa circa il 70% del bilancio era assorbito da stipendi e pensioni, quota scesa al 60% nel 2024. È ancora la percentuale più alta in Europa e limita le risorse per ricerca e nuove tecnologie. Ma Roma ha stabilito il record negli investimenti in nuovi equipaggiamenti: commesse per oltre 16 miliardi, tra cui 8,5 miliardi per i carri Leopard 2A8 e 7,5 miliardi per 24 Eurofighter. La quota destinata agli investimenti ha superato il 20%, il minimo richiesto da Nato ed Eda. Una spinta analoga è arrivata da altri Paesi. La Polonia ha firmato un contratto da 9 miliardi per elicotteri d’attacco. La Germania ha approvato un programma da 4,7 miliardi per nuovi sottomarini e ha avviato l’acquisto del sistema di difesa antimissile Arrow 3 con Israele. Secondo l’Eda “oltre l’80% della spesa per investimenti nel 2024 è stato destinato ai nuovi equipaggiamenti”. Accanto al procurement cresce la ricerca. Nel 2024 l’Ue ha speso 13 miliardi in ricerca e sviluppo (+20%) e 5 miliardi in tecnologia (+27%). Il divario con gli Stati Uniti resta ampio: Washington destina il 16% del bilancio alla ricerca, l’Europa appena il 4%. Anche nei valori assoluti lo scarto è netto. Gli Usa hanno speso 845 miliardi, 3,1% del Pil, quasi tre volte l’Europa.

In termini assoluti, la spesa europea supera Pechino e Mosca . La Cina è stabile tra l’1,2% e l’1,5%, ma ha raggiunto 250 miliardi. La Russia ha stanziato ufficialmente 107 miliardi, ma secondo l’Eda il valore reale è vicino a 234 miliardi a parità di potere d’acquisto, pari al 5,5% del Pil, con un aumento previsto al 6,4% nel 2025. L’Ue ha speso dunque circa 100 miliardi in più. Il problema è la frammentazione. Troppe linee di armamenti, scarsa interoperabilità e poche economie di scala. L’Eda sottolinea che “la cooperazione resta ancora limitata e il numero di programmi comuni non è sufficiente a colmare il divario con gli altri attori globali”. Anche quando i progetti vengono condivisi, il peso resta marginale rispetto agli acquisti nazionali. Per ridurre queste criticità sono stati creati strumenti comuni: il Fondo europeo per la difesa e programmi di sostegno per canalizzare miliardi su ricerca, sviluppo e acquisti.

La nuova iniziativa Safe ha messo a disposizione una linea di credito da 150 miliardi. Secondo Bruxelles “l’uso coordinato degli strumenti finanziari è l’unico modo per rafforzare l’autonomia strategica europea e sostenere l’industria della difesa”. L’aumento dei bilanci nazionali deciso da Berlino, Parigi, Roma e Varsavia ha stimolato commesse miliardarie su cantieri, industrie aerospaziali e filiere tecnologiche, a scapito del welfare. L’obiettivo fissato all’Aia, il 5% del Pil entro il 2035, rappresenta una soglia senza precedenti. Nel linguaggio dei vertici Nato è il “minimo necessario” per assicurare deterrenza e difesa credibile. Ma senza una cooperazione più stretta tra i 27, avverte l’Eda, “i bilanci in crescita rischiano di non tradursi in vera capacità militare europea”.

Calunnie e guerra non in nostro nome

Franco Cardini  3 Settembre 2025

Le falsità per preparare un conflitto contro l’“orco” Putin e la disparità di trattamento degli eccidi compiuti dagli israeliani nella Striscia di Gaza. Bancarotta morale delle democrazie occidentali

La storia non sarà Maestra di Vita, ma qualcosa ogni tanto la insegna sul serio. Per esempio attraverso certi illustri aforismi di lontana origine ellenico-romana o biblica, trasformati magari in “verità da Bar dello Sport”.

Come quello, di antichissimo sapore ma difficile da rintracciare alla lettera nonostante Wikipedia – parte forse da Sun-Tzu, forse dal Machiavelli – secondo il quale, quando un qualche potere statale si sente arrivato in fondo alla sua parabola e ormai in trappola e in via di liquidazione fallimentare, ha a disposizione solo due vie d’uscita: o dichiara bancarotta o scatena una guerra.

La dichiarazione di bancarotta è più agevole e diretta: certo però implica il riconoscimento di una sconfitta che si può anche attribuire alla malasorte o al destino cinico e baro, ma che insomma comporta esplicitamente o no l’assunzione della responsabilità dei propri errori. Più decorosa e meno certa negli esiti (in fondo, sul campo di battaglia si può anche vincere…) è la dichiarazione di una guerra. Ma per essa occorrono due elementi: una “buona causa” (sic) e un nemico opportunamente scelto.

Quanto alla causa, è presto detto. A sant’Agostino, secondo il quale per dichiarare legittimamente una guerra occorre una buona causa, risponde implacabile lo Zarathustra di Nietzsche: “Vi è stato detto che una buona causa santifica anche la guerra: ma io vi dico che una buona guerra santifica qualunque causa”.

Per il nemico, è ancora più facile. Il più adatto è quello che Hannah Arendt indica come il “Nemico metafisico”: vale a dire quello identificabile come il Male assoluto. Secondo la Arendt, però, l’identificazione del Nemico metafisico (un obiettivo inesistente in quanto realtà storica) è necessaria solo ai totalitarismi: può essere l’Ebreo, il Capitalista, l’Ateo, il Fanatico religioso, il barbaro. Ma ecco qua un altro insegnamento della storia, che qualcosa deve pur insegnare: nella realtà delle cose il Nemico metafisico-Male assoluto lo si può facilmente evocare sempre, in qualunque momento, e non c’è bisogno di avere a disposizione un totalitarismo per costruirlo. Basta una bella propaganda.

Ebbene: è proprio quel che vediamo crescere nell’Europa dei nostri giorni. Un po’ meno negli Stati Uniti governati dal bisbetico, imprevedibile Trump: ma nell’Europa, terra dalla buona Frau Von der Leyen e dai suoi divertenti compagni di cordata la cosa è più facile. È un’erba che ci vediamo crescere attorno ogni giorno, nel nostro orticello.

Lo svolgersi della guerra “russo-ucraina”, ormai piuttosto russo-occidentale, che sembra ogni giorno sul punto di concludersi e non finisce mai, è il contesto opportuno per evocare ed esorcizzare il Nemico metafisico – Male assoluto, una definizione che da sola richiama alla perfezione l’Antico Serpente, il Demonio. Che veglia là, nel fondo della steppa, chiuso nella sua fortezza dalle torri sormontate da stelle rosse e da aquile bicipiti. Non è, non può essere solo un uomo. Finora abbiamo cercato di descriverlo per mezzo di benevoli eufemismi (“nuovo zar”, “feroce tiranno”, “pazzo furioso”, affetto da millanta malattie, disperato leader di un paese allo sbando). Ma ormai lo abbiamo finalmente smascherato come il Male, grazie ai Nostri Eroi.

E costoro, chi sono mai? Facile e breve enumerazione. Per esempio il presidente francese, ora che si sente alle strette da quando il suo stesso primo ministro ha evocato lo spettro del fallimento per debiti che sta minacciando la Francia: e Macron, dopo aver pronunziato la definitiva excusatio non petita secondo la quale egli avrebbe comunque diritto a concludere il suo mandato democratico qualunque cosa accadesse, ha ribadito che il vero Nemico della Francia, della Civiltà, della Libertà è quello là, Vladimir Putin, “l’Orco”. Che è come dire il diavolo. Il responsabile di tutti i nostri mali, che non vuol far finire la guerra contro l’Ucraina bensì continuarla ed estenderla, magari fino agli estremi limiti occidentali d’Europa. E i solerti ministri macroniani ripetono a ogni piè sospinto che, con la Russia, “siamo ormai alle soglie del conflitto”, o praticamente già dentro. Façon de parler, senza dubbio. Metafore. Però…

Al presidente francese fa puntuale eco il cancelliere tedesco, dietro la cui faccia da ragioniere del catasto si cela l’indomito Ricostruttore della Wehrmacht risorta dalle sue brune ceneri. Per Merz, Putin è ormai il nemico numero uno dell’Unione europea e ne sta preparando l’aggressione: quel che si sta sognando a Berlino è un nuovo 22 giugno 1941, una nuova “Operazione Barbarossa”. Difensiva, stavolta: sia chiaro.

Il contagio bellicista dilaga. Se nei bombardamenti russi di Kiev e Zaporizhzhia, presentati come apocalittici, le vittime si contano in realtà sulla punta delle dita, la supposta ferocia russa riempie in cambio i piccoli schermi delle nostre case dai quali sono scomparse le migliaia di morti palestinesi di Gaza. E l’atletico ministro meloniano Abodi può dichiarare che a giusto titolo le squadre russe vanno espulse da tutte le gare sportive internazionali per gli orribili crimini di guerra commessi dal loro governo, laddove giammai Israele potrà subire analoga sorte dal momento che a Gaza come altrove essa si limita a difendere il suo diritto all’esistenza e all’autodifesa.

Ebbene: io non ci sto più. E parlo anche per un nutrito gruppo di amici e colleghi che farà a breve sentire la sua voce. Noi italiani, noi europei, non meritiamo l’onta di dover sopportare in silenzio quest’infamia diventandone complici.

Le calunnie contro la Russia e a favore di una guerra che a ritmi sempre più stretti si prepara non dovranno e non potranno venir proferite con il nostro avallo. Come cittadini, lo dichiariamo apertamente riservandoci il diritto di dimostrarlo con fatti concreti.

Se si sta preparando davvero una guerra, ciò non avverrà con il nostro assenso. NON IN NOSTRO NOME.

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