“LA CORTE PENALE POTREBBE CONGELARE LE INDAGINI SULLA PALESTINA” da IL MANIFESTO
«La Corte penale potrebbe congelare le indagini sulla Palestina»
Diritto Intervista al giurista Sergey Vasiliev: «Se la Cpi si sentirà con le spalle al muro, potrebbe optare per una strategia di «de-escalation». A rischio ci sono tutte le indagini, anche quelle su Russia e Afghanistan»
Chiara Cruciati 26/08/2025
Sergey Vasiliev è professore di diritto internazionale alla Open University dei Paesi bassi e tra i massimi esperti di Corte penale internazionale. Con lui abbiamo discusso dei rischi che la Cpi corre dopo due anni di intimidazioni israeliane e sanzioni statunitensi.
Fonti vicine all’Aja ci riportano di una grande paura, a ogni livello, dei singoli funzionari e nei vari uffici.
Sono a conoscenza del fatto che la situazione attuale può condurre la Corte a prendere misure che ridimensionino le indagini, le facciano cadere e congelare. Politicamente e legalmente parlando, è estremamente preoccupante e senza precedenti: sei giudici, il procuratore e due vice procuratori sono sottoposti a sanzioni personali da parte dell’amministrazione Usa. La paura è comprensibile, anche se la Corte in sé non è stata ancora sanzionata. Penso comunque che non sarebbe semplice per la Cpi tornare indietro e far cadere i casi che sta trattando, sia i mandati d’arresto contro il premier israeliano Netanyahu e l’ex ministro della difesa Gallant che quelli – di cui però ancora non c’è certezza – contro i ministri Ben Gvir e Smotrich. Nel primo caso i giudici hanno già dato autorizzazione a procedere, tocca agli stati membri eseguirli. Se dovessero cadere nei prossimi mesi o nei prossimi anni, significherebbe che la Corte si è arresa alle pressioni, un colpo gravissimo all’indipendenza giudiziaria, alla credibilità della Cpi e a quella degli stati membri. Credo che quello che genera più paura dentro la Corte sia la sensazione che nessuno la stia sostenendo, che le persone che ci lavorano sono senza difese: ci sono dichiarazioni di preoccupazione degli Stati ma quasi nessuno sforzo concreto, se non dietro le quinte. L’Unione europea in particolare sta fallendo miseramente.
Potrebbe quindi non far cadere le indagini ma congelarle?
Se la Corte si sentirà con le spalle al muro, potrebbe optare per una strategia di «de-escalation»: non far cadere le indagini ma segnalare un rallentamento, ad esempio togliendo priorità ad alcuni aspetti delle indagini sulle autorità israeliana e concentrarsi su Hamas. È successo in passato: sul fascicolo Afghanistan, Khan aveva rivisto l’indagine per segnalare all’amministrazione Biden che non avrebbe spinto le indagini sugli statunitensi. Se dovesse accadere nel caso palestinese, sarebbe il chiaro risultato delle intimidazioni subite dalla Corte.
Ha parlato di sanzioni contro la Cpi, cosa comporterebbero?
Come ogni altra organizzazione, la Cpi ha bisogno di servizi tecnici, finanziari, assicurativi, bancari. Eventuali sanzioni complicherebbero enormemente la fornitura di tali servizi da parte di terzi: se li fornissero, violerebbero le misure restrittive. La Corte verrebbe privata di prodotti vitali alle sue operazioni giornaliere. Pensiamo ai prodotti forniti da Microsoft: la Corte resterebbe senza accesso agli account email, ai database…tutto bloccato. Potrebbe passare a sistemi open source come Linux ma richiederebbe moltissimo tempo riconfigurare tutti i sistemi operativi, le attività ne risentirebbero comunque.
Cosa potrebbe fare l’Ue?
Avrebbe dovuto, fin dal primo istante, attivare il meccanismo che permette alle parti terze, alle entità commerciali e alle imprese che cooperano con la Corte di continuare a fornire i propri cruciali servizi, in modo da mitigare le sanzioni finora poste sugli individui (conti correnti congelati, divieti di viaggiare liberalmente…). Al contrario è ancora in vigore il sistema di blocco Ue.
Da cosa deriva tale apatia?
Più che apatia, è paura. Camminano sulle uova intorno a Trump, hanno paura di innervosirlo. I paesi europei cercano di placarlo, di pettinare il suo ego. Se uscissero con un comunicato duro in cui dicono che l’amministrazione Usa non rispetta l’indipendenza giudiziaria e che sta attaccando anche la loro sovranità, potrebbe reagire in modo scomposto, imporre dazi, sanzioni, ritirarsi dal tavolo ucraino, rifiutarsi di inviare armi…
Oggi i timori riguardano il fascicolo Palestina, ma in realtà sarebbero in pericolo tutte le indagini, comprese quelle aperte contro la Russia.
Trump si muove come un elefante in una cristalleria. Se la Corte non può operare pienamente, ne risentiranno tutte le indagini: sull’apartheid di genere imposta dai Talebani in Afghanistan, sul Myanmar, sulla Russia in Ucraina…ci sono soggetti nel circolo di Trump, come il senatore Lindsey Graham, che sono molto selettivi nel supporto alla Corte e che spingono per le indagini su Putin. Dovrebbero capire che se la Cpi non sarà più operativa, non potrà fare niente nemmeno contro la Russia.
La Corte ha in mano strumenti per reagire da sola a simili abusi?
L’articolo 70 del suo statuto le riconosce l’autorità di indagare chi muove intimidazioni a funzionari della Corte o li punisce per le loro attività. Possono essere indagati anche cittadini di paesi non membri della Cpi perché l’effetto dell’abuso ha luogo sul territorio di uno Stato membro, i Paesi bassi. Non penso comunque che la Corte consideri seriamente la possibilità di incriminare qualcuno per questi motivi. All’amministrazione Trump in ogni caso non interesserebbe per niente.
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