IL PROFETA SCOMODO CONTRO LE ARMI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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IL PROFETA SCOMODO CONTRO LE ARMI da IL FATTO

Ucraina, Erdogan avverte: “Noi coi russi”. Dagli Usa c’è l’ok all’invio di F-16

BOMBE E PAROLE – Pericolo radioattivo Mosca annuncia: “Distrutte vostre munizioni di uranio impoverito, nube va a ovest”. La Polonia smentisce tutto

DI MICHELA A. G. IACCARINO  20 MAGGIO 2023

Luce verde da Washington all’Unione europea: l’Amministrazione Biden segnala agli alleati che gli Usa non bloccheranno l’invio degli aerei da combattimento F-16 all’Ucraina, purché arrivino dalle loro scorte. La notizia diffusa ieri dalla Cnn smentisce quella diffusa dal New York Times due giorni fa, ma rimane vero che gli statunitensi “rimangono riluttanti sull’invio dei loro F-16”. In sintesi: la Casa Bianca approva l’invio dei costosissimi jet, purché non siano loro a dover svuotare i depositi. Al momento, in ogni caso, “i funzionari dell’Amministrazione – ha continuato una fonte anonima dell’emittente americana – non sono a conoscenza di nessuna richiesta formale da parte di alcun alleato per esportare F-16”. Ieri, alla discordia sotterranea sui Falcon sembrava aver messo fine Biden, assicurando ai leader del G7 riuniti in Giappone il sostegno Usa nell’addestramento dei piloti ucraini, ma che al vertice lo scetticismo serpeggi, soprattutto tra gli statunitensi, che dubbi sulla vittoria totale sul campo permangano tra gli alleati, lo scrive il Washington Post: “Anche all’interno del G7, probabilmente il blocco più unito sulla scena mondiale, ci sono opinioni divergenti su quanto lontano possa arrivare il sostegno all’Ucraina”, alcuni rapporti suggeriscono che gli Usa hanno previsto uno scenario da conflitto congelato “come quello nella penisola coreana”.

Arriverà a sorpresa a omaggiare la cupola Genbaku – lo scheletro dell’edificio rimasto in piedi dopo che 78 anni fa la bomba atomica Usa colpì Hiroshima – anche Volodymyr Zelesnky. Mentre il lavorio della sua delegazione è già iniziato per favorire il primo incontro con l’indiano Narendra Modi, i leader del G7, in una dichiarazione congiunta, promettono a Mosca che i suoi crimini di guerra non rimarranno impuniti (come “la deportazione e trasferimento illegale di ucraini, bambini compresi, dalle aree occupate”) e che “una pace giusta non può essere realizzata senza il ritiro completo e incondizionato delle truppe”. Mentre dal Giappone piovevano accuse contro la retorica atomica “irresponsabile” del presidente Putin, e nuove e severissime misure restrittive venivano sottoscritte contro l’economia della Federazione, a rompere il coro transatlantico con un’intervista è stato il presidente turco Erdogan, che ha già riferito che non si accoderà agli altri membri Nato: “Non imporremo sanzioni alla Russia come ha fatto l’Occidente. Russia e Turchia hanno bisogno l’una dell’altra in ogni settore”.

Prima di raggiungere gli alleati dell’Ovest, Zelensky ha aggiunto una tappa al suo tour intervenendo a Gedda, dove è in corso il summit della Lega araba, “per rafforzare le relazioni bilaterali”, presentare il piano di pace di Kiev e per redarguire la platea: “Nel mondo e anche fra voi ci sono persone che hanno chiuso gli occhi di fronte alle annessioni illegittime”. Dopo la stretta di mano con il principe ereditario Muhammad bin Salman, ringraziato per aver sostenuto la sovranità ucraina, ha riferito sui social Andry Yermak, capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Riad ha comunque ribadito che rimane ufficialmente neutrale nel conflitto.

Nello stesso giorno in cui il ministero dell’Interno russo ha inserito nella lista dei ricercati Karim Khan (procuratore generale della Corte penale internazionale, che dall’Aia due mesi fa ha emesso un mandato d’arresto per Putin per crimini di guerra) e la Procura generale russa ha dichiarato Greenpeace organizzazione indesiderata (“minaccia e destabilizza ordine e sicurezza della Federazione”), allarma di una catastrofe ambientale imminente, in arrivo nei cieli d’Europa, il capo del Consiglio di sicurezza russo, Nikolay Patrushev. Gli ultimi missili di Mosca piovuti in Ucraina avrebbero colpito depositi di armi inviate dai Paesi Nato arrivate per la controffensiva: tra queste, sarebbero esplose quelle all’uranio impoverito. Un nero fungo tossico si sarebbe creato dopo un attacco nella regione di Khmelnitsky. L’informazione è stata smentita dall’agenzia atomica polacca in contatto con la Snriu, autorità nucleare ucraina, che non ha riferito all’Agenzia internazionale per l’energia atomica di alcuna emergenza radioattiva.

Il profeta scomodo contro le armi

IN RICORDO DI DON TONINO BELLO – Le sue battaglie anti-basi militari, l’accusa di essere “pacifista” e “rosso”. In realtà chiamava solo le cose con il loro nome. A 30 anni dalla sua morte, la guerra era e resta una follia

ALEX ZANOTELLI  20 MAGGIO 2023

Don Tonino Bello è stato per me uno straordinario compagno di viaggio e di impegno contro le armi e la guerra.

Quando fui espulso dal Sudan nel 1975, il mio istituto, i missionari comboniani, mi chiesero di operare a Lecce come animatore dei giovani del Salento. Don Tonino, giovane sacerdote, era allora rettore del Seminario di Ugento. Andavo spesso nel suo seminario per degli incontri con i giovani. Quando divenni poi direttore di Nigrizia, ricevetti per posta un bigliettino: “Caro padre Alex, sono stato nominato vescovo di Molfetta. Forse tu ti sarai dimenticato di me. Ma io non mi sono dimenticato di te. Tu eri quello che con i tuoi giovani venivi a rubare i ‘miei’ mandarini in Seminario”.

Fu così che riannodai subito il legame con don Tonino e gli chiesi di scrivere delle riflessioni per Nigrizia. Da qui nacque la straordinaria rubrica “Caro Marocchino”. Quando poi insieme ai “Beati i Costruttori di pace” denunciammo i pesanti investimenti in armi da parte del governo italiano ci fu lo scontro forte con i politici di allora. Fu in quel momento che don Tonino fu eletto presidente nazionale di Pax Christi e assunse in pieno le istanze di Nigrizia e di “Beati i costruttori di pace”. Sono stati anni difficili e pesanti per me, ma ho sempre avuto la vicinanza di don Tonino, soprattutto quando scelsi di vivere nella baraccopoli di Korogocho (Kenya).

Don Tonino era un profeta, un “profeta scomodo, anche dentro la Chiesa”, come ha affermato di recente il numero due del Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità papa Francesco. È stato proprio il pontefice venuto dall’America latina, che nei primi giorni di pontificato aveva dichiarato di “sognare una Chiesa povera e per i poveri”, ad ammettere quella possibilità che, per quanti gli sono stati vicini, era una verità palese, mentre per tanti – che lo bollavano come “vescovo rosso” – era solo fumo negli occhi. La possibilità, cioè, che don Tonino Bello venga riconosciuto come modello autentico di cristiano. In poche parole, un santo. Visitando nel 2018 Molfetta, dove è stato vescovo per 11 anni (1982-1993), e Alessano, dove è sepolto, papa Francesco ha reso giustizia a un uomo che è stato, parole sue, “sorgente di pace”. Un prete e un vescovo che ha dovuto sopportare con sofferenza e pazienza per tanti anni (anche all’interno della Chiesa) l’accusa di essere “pacifista”, come se cercare la pace e lottare contro le guerre fosse un insulto di cui chiedere scusa.

Oggi, a 30 anni della prematura morte di don Tonino, è l’occasione buona per fare piazza pulita di tante storture e falsità sul conto del “vescovo con il grembiule”. Perché la sua radicalità evangelica è stata cristallina, assoluta e ferma. La lotta per la pace e la promozione della nonviolenza rappresentavano per lui un’esigenza intrinseca nella sequela di quel Cristo cui aveva deciso di dedicare la vita come prete. Tante volte noi cristiani parliamo del Vangelo con belle parole, ma poi lo lasciamo ammuffire sugli altari delle chiese. Siamo colpevoli di quella separazione che già Paolo VI segnalava come il grande dramma della Chiesa moderna: la separazione tra Vangelo e vita, tra scelte religiose e scelte personali. E invece il cristiano sa, per citare Karl Barth, che si deve vivere con la Bibbia in una mano e il giornale (oggi diremmo Internet) nell’altra, perché la nostra esistenza di discepoli di Gesù non può scorrere lontana dai fatti della storia. Anzi.

Don Tonino era questo: un cristiano completamente immerso nella propria storia con la luce del Vangelo. Uno che prendeva sul serio l’invito di Gesù, che a Pietro disse: “Rimetti la spada nel fodero!”. Perché la nonviolenza non è una possibilità come le altre, per un cristiano, ma opzione vera e autentica, necessaria e impegnativa. E dunque don Tonino non poteva, per esempio, assistere impassibile al fatto che proprio nel suo amato Meridione d’Italia si intensificasse, in quegli anni, il potenziamento militare di Crotone, di Gioia del Colle o dell’Alta Murgia, dove era stato pensato il più grande campo di esercitazioni militari d’Italia.

Non poteva rimanere ammutolito davanti alla guerra del Golfo, quel conflitto scatenato dalle potenze occidentali semplicemente per motivi economici, che avevano un nome e un cognome: il petrolio iracheno. Don Tonino entrava con la prospettiva del Vangelo nei problemi e nei fatti della cronaca: e giudicava con la sapienza del Vangelo la storia degli uomini, nuovo Isaia (profeta da lui molto amato, come era amato da altri testimoni di pace, Giorgio La Pira e Giovanni XXIII) che sognava il giorno in cui l’uomo avesse messo fine alla follia dell’armarsi e dato spazio alla “convivialità delle differenze”.

Tonino Bello ha avuto un altro grande merito: dare un nome alle cose. La dottrina sociale della Chiesa ha più volte parlato di “strutture di peccato” che generano le ingiustizie sociali cui assistiamo, per cui se da un lato oggi sul pianeta contiamo 800 milioni di persone sotto nutrite, esistono 1,6 miliardi di esseri umani che consumano troppo cibo. Ebbene, per don Tonino quelle strutture di peccato non erano entità astratte ma derivavano da scelte precise: una su tutte, il mercato degli armamenti, contro il quale ha condotto battaglie memorabili come presidente di Pax Christi in Italia. Armi e armi che vengono prodotte e vendute, armi che anche la nostra Italia fabbrica e vende in abbondanza, come da tempo rileva l’Osservatorio sulla produzione delle armi leggere di Brescia. Armi che quest’anno, ci dice il Sipri di Stoccolma, hanno raggiunto a livello globale, complice ovviamente il conflitto in Ucraina, un nuovo, terrificante record di produzione: 2240 miliardi di dollari, con un aumento del 3,7% rispetto all’anno precedente. Una follia assoluta, un’ingiustificata e ingiustificabile corsa a strumenti di morte. Sui quali negli anni si è levata la voce appassionata e cristiana di don Tonino. Il quale anche oggi avrebbe chiesto con forza a una politica imbelle la ricerca di “schemi di pace”, come papa Francesco più volte ha invocato alla comunità internazionale, sulla guerra in Ucraina, invece di insistere in maniera cieca e indifferente in “schemi di guerra”.

La pace non può aspettare. Perché i deboli, le prime vittime della guerra, non possono aspettare che i potenti scherzino con il fuoco sulla pelle degli innocenti che pagano con la propria vita scelte scellerate e strategie neocolonialiste. Don Tonino Bello oggi leverebbe di nuovo la sua voce per dire che guerra e armi sono follia, e chi le propugna come risoluzione dei conflitti è, cristianamente e laicamente, “alieno a ragione”, come recita Pacem in terris di Giovanni XXIII. In una parola, pazzo. Nuove armi significano pazzia. Le spade non vanno brandite, ma rimesse nel fodero. Soprattutto in questo tempo di armamenti nucleari. I nostri figli ce lo chiedono. La Terra ce lo domanda. La coscienza ce lo impone.

La Congiura dei Pazzi

 Marco Travaglio  20 MAGGIO 2023

In principio erano le “armi non letali”. Lo disse Letta buonanima ad Avvenire il 27.2.22: “Per aiutare gli ucraini va rafforzato l’invio di materiale bellico non letale”. E lo scrisse Draghi nella bozza di risoluzione sul primo decreto Armi. Poi il 1º marzo gettò la maschera, una delle tante: “Armi letali” all’Ucraina, ma solo per la “legittima difesa” ucraina, tipo missili terra-aria e anti-carro a breve gittata, mitra e mortai. E solo per “sostenere ogni iniziativa multilaterale e bilaterale utile a una de-escalation militare” e “la disponibilità della Santa Sede a un’opera di mediazione”. Draghi lo ribadì il 28.6.22: “Armi e sanzioni sono fondamentali per costringere la Russia alla pace… per portare la Russia al tavolo dei negoziati. Dobbiamo esser sempre pronti a cogliere gli spazi negoziali”. Concetto ribadito nel quarto decreto Armi del 26 luglio: “…misura di assistenza nell’ambito dello strumento europeo per la pace per sostenere le Forze armate ucraine…”. Il 12.3.22 lo stesso Biden garantiva: “L’idea che invieremo armi offensive e che avremo aerei e carri armati… si chiama terza guerra mondiale”. Benebravobis.

Poi gli Usa, dunque i Paesi Nato e Ue, dopo averlo negato per mesi, iniziarono a inviare lanciarazzi e missili a lunga gittata in grado di colpire la Russia. Poi, sempre dopo aver detto “mai e poi mai”, ecco i sistemi anti-aerei e i droni, usati dagli ucraini per attaccare aeroporti e depositi di carburante e munizioni in territorio russo. Poi, sempre dopo averlo escluso, ecco i carri armati Abrams e Leopard. Lo schema è sempre lo stesso: Zelensky chiede, l’Occidente dice no, poi nel giro di qualche giorno cambia idea. E ogni volta i trombettieri bellicisti sposano sia il no iniziale sia il sì finale, perché tanto “non c’è alcuna escalation” e Putin “non oserà usare l’atomica”. E poi sono “solo armi difensive” (Crosetto), che per giunta “non costano nulla” (Meloni). Ora Zelensky batte cassa per i jet cacciabombardieri: Scholz e Macron fanno i vaghi, Londra e Praga dicono sì e Washington no, ma poche ore dopo Biden fa sapere che non si opporrà – bontà sua – se qualche benefattore europeo vorrà inviare pure quelli. Del resto la Meloni genuflessa all’amico Volodymyr gli ha appena garantito “sostegno a 360 gradi finché necessario”. L’obiettivo l’ha dichiarato in Senato il 26.10: l’“equilibrio tra le forze in campo”. Ergo, siccome la Russia ha molti più uomini dell’Ucraina e 6mila testate nucleari contro zero, non resta che inviare a Kiev truppe e testate atomiche per colmare il doppio gap. Ieri infatti, dopo un anno di false aperture ai negoziati, il G7 s’è chiuso con l’impegno unanime dei Sette Pazzi a sabotare qualunque dialogo, promosso dal Papa o dalla Cina. Resta inteso che al fronte ci vanno loro: Meloni e gli altri pazzi.

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