IL NUOVO SCONTRO USA-CINA LASCIA L’UE ANCORA PIÙ SOLA da IL FATTO
Il nuovo scontro Usa-Cina lascia l’Ue ancora più sola
Francesco Lenzi 13 Ottobre 2025
L’annuncio è arrivato nello stile classico al quale ci ha abituati il tycoon: “A partire dal 1° novembre 2025 (o prima, a seconda di eventuali ulteriori azioni o cambiamenti intrapresi dalla Cina), gli Usa imporranno alla Cina una tariffa del 100%, in aggiunta a qualsiasi tariffa attualmente applicata”. Questa è stata la risposta di Donald Trump alla decisione cinese, arrivata intorno alla metà della scorsa settimana, di porre nuovi vincoli alle aziende cinesi ed estere che operano in Cina, all’esportazione della gran parte dei materiali che fanno parte delle terre rare. Una decisione che, insieme all’imposizione di una tassa per tutte le navi di proprietà Usa che attraccano nei porti cinesi, arriva come nuovo tassello della partita commerciale avviata tra i due colossi mondiali e che ancora è ben lontana dall’essere risolta.
A differenza di quanto avvenuto con le economie considerate alleate che, pur tra malumori e cautele, hanno finito per adeguarsi alle pressioni Usa, come ha fatto anche la stessa Ue, la guerra dei dazi tra Usa e Cina sta assumendo sempre più i contorni di una spirale crescente di ritorsioni, alimentata da un contesto economico e geopolitico più fragile del 2018. Se allora si poteva ancora parlare di negoziato tra due economie complementari, oggi ci si trova di fronte a due sistemi in piena competizione strategica, commerciale e tecnologica. I numeri dell’interscambio parlano chiaro: a luglio 2025, il commercio bilaterale tra Usa e Cina si è attestato sul livello più basso degli ultimi cinque anni. Il deficit commerciale Usa con la Cina, pur rimanendo ampio, è sceso a 266 miliardi di dollari su base annua, il livello minimo dal 2010. Ma il disavanzo complessivo degli Usa resta vicino ai massimi storici, con un saldo annuo che si mantiene vicino a -1.400 miliardi di dollari. L’anomalia si spiega in parte con l’aumento della triangolazione commerciale, tramite Paesi come Messico e Vietnam: i nuovi terminali delle filiere globali che prima passavano direttamente per la Cina.
Lo squilibrio commerciale si è semplicemente spostato. Mentre le imprese trovano le scappatoie per continuare a commerciare, il confronto tra le due superpotenze rimane serrato. L’arma del dazio rimane lo strumento di pressione principale, perché fa leva sul grande mercato di consumo americano al quale tutti hanno interesse ad accedere. Ma questa volta la risposta cinese è andata oltre la semplice ritorsione, imponendo controlli strategici sulle esportazioni di terre rare, fondamentali per l’industria high-tech, la difesa e le energie rinnovabili. Il monopolio cinese, che controlla oltre il 60% della produzione globale di questi materiali, diventa così uno strumento di pressione aggiuntivo. Però, se la Cina detiene il dominio sulle terre rare, gli Usa mantengono un vantaggio decisivo nei software critici. E così, la risposta americana di imporre controlli all’export di tali software potrebbe paralizzare intere catene produttive, incluse quelle interne alle stesse aziende cinesi leader nel settore tech.
I mercati, come era chiaro aspettarsi, non hanno reagito bene. Venerdì scorso, con l’annuncio dei dazi, i titoli tecnologici hanno subito una forte ondata di vendite. Il Nasdaq ha chiuso con un ribasso del 3,6%, bruciando in una sola seduta oltre 680 miliardi di dollari di capitalizzazione. Tra le aziende più colpite Apple (-2,7%), Meta (-2,1%), Nvidia (-3,8%), Tesla (-3,1%) e Palantir (-2,7%). Il rischio di una deglobalizzazione tecnologica forzata torna a pesare sulle prospettive del settore.
Sul fronte diplomatico, i margini di manovra sembrano ridotti. Il vertice Apec previsto a Seul tra il 31 ottobre e il 1° novembre poteva rappresentare un’occasione di confronto diretto tra Trump e Xi Jinping, ma le dichiarazioni del presidente Usa lasciano intendere che l’incontro potrebbe anche saltare: “Ora sembra non esserci più motivo di farlo”. Sebbene da venerdì siano arrivati segnali di distensione, con Trump che ha di nuovo aperto alla possibilità di un incontro e il ministro del Commercio cinese che ha dichiarato che le misure prese non rappresentano un vero blocco all’export, auspicando che le parti ritornino a un percorso di dialogo, i rapporti rimangono tesi.
Mentre Washington e Pechino affinano le rispettive armi economiche, tecnologiche e industriali, per definire sfere d’influenza e il rapporto reciproco nel prossimo futuro, a fare notizia, purtroppo, è anche l’assenza dell’Ue. Un’Europa che, ancora una volta, non riesce a esprimere una posizione autonoma, incapace di incidere in uno scontro che la riguarda direttamente. Dimostratasi prona agli interessi del suo alleato d’Oltreoceano, l’Europa assiste da spettatrice a una sfida che sta ridefinendo l’equilibrio mondiale, quasi come se volesse rinunciare a qualsiasi ruolo di autonomia.
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