“CONSEGNATI 100 MILIONI DI PASTI” LA FOTO “PORNOGRAFICA” CHE CELEBRA I FINTI SUCCESSI DELLA GHF da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“CONSEGNATI 100 MILIONI DI PASTI” LA FOTO “PORNOGRAFICA” CHE CELEBRA I FINTI SUCCESSI DELLA GHF da IL FATTO

“Consegnati 100 milioni di pasti”: la foto “pornografica” che celebra i finti successi della Gaza Humanitarian Foundation

Marco Pasciuti   1 Agosto 2025

Un soldato, di spalle. Sul fondo, una folla di palestinesi che osserva affamata dietro alle volute di un filo spinato. Al centro, due striscioni che recitano “100 milioni di pasti consegnati”. E’ una delle fotografie con cui l’ambasciatore americano in Israele Mike Huckabee ha celebrato su X la visita condotta questa mattina con l’inviato speciale Steve Witkoff al centro di distribuzione gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation a Rafah, nel sud della Striscia.

L’effetto è straniante. L’amministrazione Trump ha voluto magnificare l’operazione con cui ha delegato la gestione degli aiuti umanitari nelle mani di una fondazione privata protetta da mercenari con un’immagine che racconta esattamente il contrario di ciò che intende comunicare. “GHF consegna più di un milione di pasti al giorno, un’impresa incredibile!”, ha esultato Huckabee su X nello stile trionfalistico al quale ci ha abituato la retorica del presidente degli Stati Uniti, nonostante le principali organizzazioni internazionali a partire dalle Nazioni Unite abbiano più volte avvertito che il sistema di distribuzione non funzioni – secondo i dati del Cogat, l’agenzia israeliana che ancora controlla le spedizioni di aiuti nell’enclave, fra marzo e giugno nella Striscia sono entrate sole 56mila tonnellate di cibo, meno di un quarto del fabbisogno minimo per quel periodo – e che anche i pasti distribuiti dalla Ghf non siano che una goccia nel mare. E nonostante il fatto che dal 27 maggio, giorno in cui è entrata in funzione, dinanzi ai suoi cancelli 1.373 palestinesi siano stati ammazzati a colpi d’armi da fuoco mentre chiedevano cibo.

Ciò che fa più impressione è la folla: vedere uomini, donne e bambini già alle prese con la guerra e la carestia sfidare le mitragliatrici dell’Idf e attendere cibo dietro a una barriera di filo spinato sorvegliata da un miliziano armato, come quando in ben altri campi persone affamate e scheletriche sgranavano gli occhi ormai vuoti dinanzi agli obiettivi che le fotografavano da questa parte della recinzione. Oggi da questo lato, dietro all’obiettivo che scatta l’immagine, ci sono l’ambasciatore e i notabili americani che osservano come se partecipassero a un safari.

Torna in mente lo scatto in cui la segretaria alla Sicurezza americana Kristi Noem a marzo posava nel carcere di El Salvador davanti a un gruppo di uomini seminudi ammassati dietro le sbarre di una gabbia, detenuti venezuelani espulsi dagli Stati Uniti. Un’altra celebrazione di un “successo” dell’amministrazione Trump. Come allora, anche quella di oggi a Rafah non è stata soltanto una passerella più o meno attesa ma una rappresentazione pornografica: la rappresentazione compiaciuta e strumentale di qualcosa che offende il pudore e l’intelligenza.

“Gaza affamata da Israele in maniera calcolata”: l’inchiesta del Guardian sull’afflusso di aiuti alimentari nella Striscia

 F. Q.  1 Agosto 2025

Il quotidiano britannico parla di “matematica della fame”. Secondo gli stessi dati israeliani, fra marzo e giugno è stato consentito l’ingresso di 56mila tonnellate di cibo, meno di un quarto del fabbisogno calcolato dalle Ong e molto meno di quanto stimato dallo stesso Stato ebraico già nel 2006, quando un collaboratore dell’allora premier Olmert disse: “Mettiamoli a dieta senza farli morire”

Israele ha affamato “in modo calcolato” la popolazione palestinese di Gaza tramite il controllo del flusso di cibo. È quanto denuncia l’inchiesta pubblicata dal quotidiano britannico Guardian sulla situazione nella Striscia col titolo emblematico di “matematica della fame” e la foto di un bambino denutrito. Il giornale sottolinea come le autorità israeliane abbiano, e non da oggi, calcolato quante calorie siano necessarie ai palestinesi per sopravvivere e come abbiano di conseguenza fatto entrare forniture nella Striscia ben inferiori al fabbisogno alimentare.

A riprova vengono citati dati internazionali delle ong e dello stesso Stato ebraico, a partire da quelli di Cogat, l’agenzia israeliana che ancora controlla le spedizioni di aiuti a Gaza. Questo approccio basato sul “calibrare” i livelli di carestia, sempre secondo il giornale, va avanti da decenni. “L’idea è quella di mettere a dieta i palestinesi, ma non di farli morire di fame”, affermò nel 2006 uno stretto collaboratore dell’allora primo ministro Ehud Olmert. Due anni dopo un tribunale israeliano ordinò la pubblicazione dei documenti che mostravano i dettagli di quei “macabri calcoli”.

A distanza di 20 anni, ricostruisce il quotidiano, le cose sono solo peggiorate. Nel 2006 Cogat aveva calcolato che i palestinesi necessitavano in media di un minimo di 2.279 calorie a persona al giorno che potevano essere fornite attraverso 1,836 kg di cibo. Oggi, a quasi due anni dall’inizio dell’occupazione, le organizzazioni umanitarie chiedono una razione minima ancora più piccola: 62.000 tonnellate di cibo secco e in scatola al mese per soddisfare i bisogni primari di 2,1 milioni di persone ogni mese, vale a dire circa 1 kg di cibo a persona al giorno. Per dare una idea delle proporzioni: fra marzo e giugno è stato consentito l’ingresso nella Striscia di sole 56.000 tonnellate di cibo, meno di un quarto del fabbisogno minimo della Striscia per quel periodo. Scrive ancora il Guardian: anche se ogni sacco di farina delle Nazioni Unite disponibile fosse stato raccolto e distribuito e la controversa Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) avesse sviluppato sistemi sicuri per la consegna del cibo, la fame sarebbe stata comunque inevitabile.

Il quotidiano inglese mette sotto accusa il sistema dei lanci, ripreso proprio in questi giorni, ricordando che l’anno scorso almeno 12 persone sono annegate nel tentativo di recuperare del cibo finito in mare e almeno cinque sono morte quando i pallet sono caduti loro addosso. Ma soprattutto ricordando che nei primi 21 mesi di guerra, 104 giorni di lanci aerei hanno fornito l’equivalente di soli quattro giorni di cibo a Gaza, secondo gli stessi dati israeliani.

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