SUMUD FLOTILLA. GRETA THUNBERG: “È LO STESSO SISTEMA CHE PROVOCA GENOCIDI E DISTRUGGE LA BIOSFERA” da IL MANIFESTO
Greta Thunberg: «È lo stesso sistema che provoca genocidi e distrugge la biosfera»
A BARCELLONA PER LA FREEDOM FLOTILLA «Se ho paura? Ho terrore del silenzio del mondo, ho terrore che le persone possano andare avanti con la propria vita quotidiana facendo finta che non stia succedendo nulla»
Lorenzo D’Agostino 30/08/2025
BARCELLONA
«Mi chiamo Greta, vengo dalla Svezia e sono un’attivista come tutti voi». Molti nel pubblico sorridono, perché Greta Thunberg potrebbe fare a meno di presentarsi. Ma si comporta da attivista qualsiasi, mescolandosi ai volontari arrivati a Barcellona da 42 paesi per preparare la Global Sumud Flotilla. O almeno ci prova, perché le richieste di selfie e di interviste sono continue e lei non si sottrae.
In una sala del centro città dedicata alle Brigate Internazionali che negli anni Trenta combatterono contro l’insurrezione fascista di Franco, si svolgono due giornate di formazione per chi salirà sulle barche in partenza domenica. Il compito principale di Thunberg è quello di raccontare l’esperienza della Madleen, la barca che lo scorso giugno aveva tentato di rompere il blocco israeliano per consegnare aiuti a Gaza ed era stata catturata dalle forze speciali.
Dopo la Madleen c’è stata la Handala, intercettata con maggiore violenza a fine luglio, e adesso tocca alla Sumud Flotilla, con decine di imbarcazioni in partenza da Spagna, Tunisia e Italia. Per la dimensione senza precedenti della missione ci si muove in un territorio inesplorato, e i rischi potrebbero essere alti, soprattutto per chi come Thunberg è già stata fermata ed espulsa da Israele e ora torna a esporsi alla stessa sorte. Ma l’attivista ventiduenne non sembra preoccupata: «Non possiamo mai essere certi delle conseguenze che dovremo affrontare. Facciamo continuamente valutazioni del rischio molto approfondite, che ci servono come base per adattare il nostro comportamento, per essere il più possibile al sicuro in questa missione. Ma il fatto è che, qualunque siano i rischi che affrontiamo, non sono nulla rispetto a quelli che i palestinesi vivono quotidianamente. Il rischio che corrono per il semplice fatto di esistere, o usare la propria voce per diffondere le loro storie. Quello che stiamo facendo noi è il minimo indispensabile».
Anche tra chi sostiene la causa palestinese c’è chi accusa la Global Sumud Flotilla di essere una missione di “salvatori bianchi”, attivisti occidentali in cerca di attenzione che finiscono per sottrarre spazio alle persone palestinesi. Come rispondi?
Prima di tutto, questa missione è ben lontana dall’essere coordinata da attivisti del Nord globale. È un movimento molto ampio, internazionale. Ma è fondamentale chiarire che i palestinesi non hanno bisogno che arriviamo noi a salvarli. Quello che stiamo facendo è usare i nostri corpi, i nostri nomi, i nostri privilegi per fare qualcosa di concreto e porre fine alla nostra complicità in questo genocidio. E se possiamo fare qualsiasi cosa per spingere la gente a parlare di più di Gaza, per mandare il messaggio che il mondo non ha dimenticato la Palestina o Gaza, allora dobbiamo farlo.
In base alle esperienze precedenti, c’è il rischio concreto che gli aiuti della Sumud Flotilla non raggiungano mai Gaza.
Nell’organizzare questa missione stiamo ascoltando e rispondendo agli appelli dei palestinesi, che chiedono ai popoli del mondo libero di agire, di interrompere la loro complicità e di farsi avanti quando i nostri governi non lo fanno. Ma bisogna anche ricordare che non si tratta soltanto di consegnare cibo, latte in polvere o altri aiuti. Serve un approccio sistemico. Serve la fine dell’occupazione, la fine dello stato di apartheid. Serve che tutti in Palestina possano vivere, che tutti possano vivere liberi e con giustizia dal fiume al mare. E serve decolonizzare il mondo.
Nel movimento ecologista di alcuni paesi la causa palestinese è ancora un tema controverso. Cosa ti ha portato dalle battaglie per il clima a impegnarti per la causa palestinese?
Molti mi chiedono perché mi importi della Palestina se sono un’attivista per il clima. Io davvero non capisco come non si possa vedere il legame. Agiamo sempre in coerenza con gli stessi valori: giustizia, libertà, sostenibilità, benessere umano e planetario. È lo stesso sistema che provoca genocidi, che distrugge gli ecosistemi, la biosfera, l’atmosfera, destabilizzandola. E se restiamo uniti, siamo molto più forti e molto più capaci di abbattere quei sistemi. Per me è la stessa lotta. Non possiamo avere giustizia climatica senza una Palestina libera, perché non possiamo avere giustizia climatica senza giustizia sociale.
Ma un po’ di paura ce l’hai?
Ho terrore del silenzio del mondo. Ho terrore del fatto che sembriamo aver perso il senso della nostra umanità. Che le persone possano andare avanti con la propria vita quotidiana facendo finta che non stia succedendo nulla, mentre assistiamo in diretta a un genocidio trasmesso in streaming. È questo che mi terrorizza».
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