IL GENOCIDIO È AMERICANO da VOLERELALUNA
Il genocidio è americano
Piero Bevilacqua 16-10-2025
Non lasciamoci ingannare. Quella ottenuta da Trump non è una pace, ma per il momento una tregua, un cessate il fuoco, comunque benvenuto per le martoriate popolazioni palestinesi. Esso schiude spiragli per il futuro aperti a importanti possibilità su cui occorrerà ritornare. La rivolta di massa che ha investito i paesi europei, le divisioni interne allo stato di Israele, lo scandalo della posizione genocida americana di fronte al mondo, ha costretto Trump, o qualche suo influente consigliere, a intervenire con qualche soluzione che fermasse il massacro. Il sollievo che proviamo in questo momento, le emozioni che ci suscitano le immagini dei disperati, che festeggiano la tregua tra le rovine delle proprie case, non ci deve, tuttavia, annebbiare la mente, né far desistere dai compiti dell’analisi storica. L’unica in grado di restituire la corretta lettura dei fatti. Anche se oggi bisogna pur sottolineare un fatto di grandissimo rilievo: la potenza politica delle mobilitazioni di massa. Quello che non hanno fatto gli stati di quasi tutto il mondo, il Parlamento europeo, le inconsistenti élites di un continente alla deriva, lo hanno fatto milioni di cittadini, tantissimi ragazzi e ragazze che per giorni e giorni sono scesi nelle strade nostre città. Ma il fine di questo articolo è un altro.
Oggi, in Italia, assistiamo a un evidente fenomeno di comportamento gattopardesco. Di fronte all’abbagliante evidenza del genocidio compiuto a Gaza, i narratori delle magnifiche sorti e progressive dell’Occidente cominciano ad ammettere qualcosa, ma non per rivedere errori di valutazione, accennare a un’onesta autocritica. No. Cedere su questa o quella questione particolare risponde a un intento politico preciso: mantenere intatta la visione egemonica che il genocidio manda in frantumi. Esponenti politici, giornalisti, intellettuali democratici (soprattutto quelli democratici) sono pronti a scaricare i sensi di colpa con cui per due anni hanno nascosto e giustificato i massacri, concedendo che, si, “Israele ha sbagliato, doveva fermarsi prima”, e qualcuno osa persino esporsi con “Netanyahu è un criminale”. E altre concessioni di simile tenore. Ammissioni più penose per superficialità delle menzogne precedenti. Se poi si fa cenno alle responsabilità americane naturalmente tutte vengono selettivamente concentrate sul violento e imprevedibile Trump, che aveva proposto di trasformare Gaza in un resort per miliardari come lui.
Sappiamo bene che il genocidio e il disegno della “soluzione finale” nei confronti della popolazione di Gaza e della Cisgiordania, non erano una solitaria follia del criminale Netanyahu e degli uomini del suo Governo, ma di tutto il fronte sionista delle classi dirigenti israeliane. E non solo, gran parte del gruppo dirigente israeliano ha condiviso quella scelta. Basti ricordare che il 24 luglio di quest’anno la Knesset, il parlamento di Tel Aviv, con 71 voti favorevoli e 11 contrari ha approvato una mozione che impegna il Governo d’Israele a procedere all’annessione della Giudea e della Samaria, che nel linguaggio biblico corrispondono all’odierna Cisgiordania.
Ma fermarsi alle responsabilità di Israele di fronte a quanto è accaduto, anche soltanto in questi ultimi due anni, oggi non è ammissibile neppure nelle chiacchiere da bar. In realtà abbiamo tutte le ragioni per affermare che senza l’ampio appoggio militare, politico, diplomatico e mediatico degli USA il genocidio non sarebbe stato neppure concepibile. Cominciamo col ricordare gli ingenti capitali messi a disposizione di Israele: dal 7 ottobre 2023 al 30 settembre 2024 gli Stati Uniti hanno speso ben 22,7 miliardi di dollari in sostegno militare a Israele (L. J. Bilmes, W.D. Hartung, S. Semler, United State on Israel’s Military Operations and Related U.S. Operations in the Region. October 7, 2023 – September 30, 2024, Watson Institute for International Public Affairs, 7 ottobre 2024). E questo è solo un aspetto del supporto militare. Trascuriamo per brevità le portaerei nel Mediterraneo, le migliaia di soldati insediati in area, le basi militari, ecc.
In questi due anni è stata l’amministrazione del democratico Biden a fornire all’esercito di Israele le bombe che hanno distrutto abitazioni, ospedali, scuole, università, annientato tende di rifugiati, bruciato campagne coltivate, ucciso anziani inermi, donne e bambini a migliaia al mese. Un rapporto del Comitato Speciale delle Nazioni Unite sulle pratiche israeliane nei territori occupati, presentato all’Assemblea Generale il 18 novembre 2024, ricordava che nel solo mese di febbraio le forze israeliane avevano utilizzato, nella striscia di Gaza, più di 25.000 tonnellate di esplosivo: l’equivalente di due bombe nucleari, vale a dire circa il doppio della potenza distruttiva della bomba sganciata su Hiroshima. Erano bombe spedite costantemente dagli USA, che evidentemente condividevano, con Netanyahu, il progetto della “soluzione finale” della questione palestinese. Qualcuno ricorda quante volte, durante il 2024, Joe Biden annunciava come prossimo un cessate il fuoco? Menzogne suggerite dagli esperti della comunicazione. Dovevano consentire a Israele di continuare il “lavoro sporco” (come si è espresso con eleganza quel grande statista tedesco) contro i palestinesi, ingannando l’opinione pubblica americana e offrendo ai giornalisti occidentali l’immagine di una falsa neutralità mediatoria degli USA su cui poggiare il proprio pacchetto di menzogne. Biden sotto banco inviava tonnellate di bombe, in pubblico annunciava imminenti accordi di pacificazione che non arrivavano mai.
E qui sfioro una questione capitale. Il sostegno mediatico che gli USA forniscono alle classi dirigenti occidentali per ottenere consenso, manipolare la propria opinione pubblica, mascherare anche le operazioni più criminali, è uno degli aspetti più ignorati e politicamente più rilevanti della storia contemporanea recente. Sono gli Americani che decidono (e convincono larga parte del mondo) quali formazioni sono da considerare terroriste, quali stati sono “Stati canaglia”, quali sono le forze del bene e quelle del male. Essi forniscono il materiale informativo e l’indirizzo ideologico al fine di consentire alla stampa vassalla la possibilità di impastare il nobile racconto occidentale. E alla realizzare di tale compito lavorano non soltanto con le loro potenti agenzie di stampa, come Associated Press e l’Agenzia Reuters (senza considerare l’influenza dei colossi mediatici), ma anche, e in maniera più mirata, con decine di migliaia di esperti di comunicazioni di massa al servizio del Pentagono. Gruppi di creatori di notizie che confezionano le narrazioni destinate alle redazioni dei giornali. È grazie a questa gigantesca opera sotterranea, che l’oppressione quotidiana, l’apartheid conclamato, l’imprigionamento di fatto di milioni di palestinesi a Gaza, un oltraggio all’umanità che dura decenni, è stato sapientemente cancellato agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. (Sul ruolo della stampa oggi, P. Bevilacqua, Stampa di guerra, Historia Magistra, 2023, n. 43, ma la pubblicazione è del 2024)
Ma c’è un sostegno storico più ampio degli USA a Israele, che ha trovato il suo culmine dopo il 7 ottobre 2023, e che colloca l’iniziativa americana entro una prospettiva più vasta. Washington ha cominciato a finanziare decisamente Israele dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Le capacità militari dimostrate dall’esercito di Tel Aviv in quel conflitto hanno convinto gli americani a farne il proprio avamposto strategico in Medio Oriente. Con gli anni, poi, le potenti lobby ebraiche USA, com’è largamente noto, hanno finito col condizionare il sistema elettorale americano, legando così in maniera sistemica lo Stato di Tel Aviv al suo protettore. Israele, spesso va oltre le indicazioni USA, vassallo irrequieto, e impetuoso. Alcuni studiosi – in una ricerca ingiustamente trascurata – hanno addirittura messo in evidenza come in fatto di tecniche militari gli israeliani hanno talora fornito insegnamenti all’esercito americano (E. Bartolomei, D. Carminati, A. Tradardi, Gaza e l’industria israeliana della violenza, DeriveApprodi, 2015). Tuttavia Israele resta il braccio armato della politica estera dell’impero americano in quella importante regione del mondo. Gli USA non si limitano a mandare armi, ma hanno bloccato dal 1948 ben 45 volte le 94 risoluzioni dell’ONU che sanzionavano le violenze e le infrazioni di Israele (tutte lodevolmente pubblicate in appendice a J. Baud, Operazione Diluvio Al-Aqsa. La sconfitta del vincitore, Max Milo, 2024). Tutti i ferventi difensori dell’ordine internazionale si ricordano della sua esistenza solo per la Russia che ha invaso l’Ucraina e dimenticano l’essenziale. Vale a dire che l’ordine internazionale è stato sistematicamente violato per 80 anni da Israele, con la copertura degli USA, i quali hanno finito con l’infliggere danni irreparabili al prestigio e alla credibilità dell’ONU. Con la copertura politica della potenza americana, Israele, soprattutto dopo la guerra del 1967, ha potuto compiere tutta la propria operazione di espropriazione delle terre palestinesi, la politica di apartheid nei territori occupati, i massacri a Gaza seguiti alle varie intifade, le occupazioni illegali in Cisgiordania, i bombardamenti in Libano e in Siria, insomma tutta l’opera che precede e accompagna il genocidio di questi ultimi due anni.
Infine un’ultima considerazione. Chi ha a cuore le sorti del popolo palestinese spesso lamenta l’indifferenza, se non l’ostilità, di gran parte degli Stati arabi nei suoi confronti. Ma di quanta corruzione in fiumi di dollari, di quante minacce militari subite si nutre da decenni questa indifferenza? Che cosa ne sappiamo noi delle operazioni segrete delle agenzie USA presso le élites politiche di questi paesi? La storia segreta della politica estera americana si può conoscere solo dopo decenni, quando vengono desecretate le carte d’archivio e il castello di menzogne con cui è stata ingannata l’opinione pubblica mondiale viene alla luce. Spesso, bisogna dire, per merito di storici e giornalisti americani. Ma davvero i governi del Qatar, del Libano, della pur debole Giordania, dell’Egitto, della Turchia, della stessa Arabia Saudita, con le loro opinioni pubbliche ferocemente antisraeliane, sarebbero rimaste inerti di fronte a tanto massacro senza la presenza militare USA, le sue basi militari, le sue portaerei, la sua minaccia di devastanti bombardamenti? Forse che le élites di quegli stati non ricordano i bombardamenti in Iraq, Libia, Siria, e ultimamente sull’Iran?
Dunque il genocidio a Gaza è interamente parte del progetto di dominio unipolare dell’Impero americano. E i governi europei che nel genocidio hanno fatto la loro parte, soprattutto Germania e Italia (E. Traverso, Gaza davanti alla storia, Laterza, 2024), oggi vedono macchiato dal disonore un mito che dura da 80 anni, pilastro egemonico della loro narrazione: quello dello Stato democratico più antico del mondo, che esporta la democrazia presso gli stati autocratici. Oggi quella democrazia appare per quello che è da decenni, una plutocrazia aperta agli esiti più avventurosi, come mostra la presidenza Trump. È evidente dunque che le élites europee si trovano intrappolate nelle menzogne con cui hanno cercato di mascherare la propria subalternità al Grande Fratello e ora cercano di fronteggiare un duplice scacco: la sconfitta nella guerra in Ucraina, con cui si voleva far crollare la Russia, e il fallimento del progetto genocida a Gaza, compresa la liquidazione dell’Iran. Perciò le loro posizioni pubbliche oscillano oggi penosamente tra il ridicolo e il grottesco. Come fanno a schierarsi con gli USA, mentre il loro governo si è trasformato in nemico, agente di una guerra economica e commerciale senza precedenti contro l’Europa? E infatti non possiamo non porci la grande domanda che riguarda il nostro immediato futuro: quale grave e irreversibile delegittimazione subiranno le classi dirigenti del nostro continente, che continuano a indicare nella Russia il nemico alle porte, mentre l’America tenta di arginare il suo declino saccheggiando il nostro patrimonio industriale e imponendoci esborsi finanziari rovinosi?
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