IL CORRIDOIO DI COLONIE PER “SEPPELLIRE” IL FUTURO PALESTINESE daIL MANIFESTO e IL FATTO
Il corridoio di colonie per «seppellire» il futuro palestinese
Palestina Il ministro israeliano Smotrich rilancia il progetto E1 per isolare Gerusalemme e spaccare in due la Cisgiordania. Non c’è nessuno a fermare Tel Aviv. A Gaza nord i raid si intensificano in vista della pulizia etnica. Altri quattro palestinesi uccisi dalla fame
Chiara Cruciati 15/08/2025
«Questo è il sionismo al suo meglio: costruire, insediare e rafforzare la nostra sovranità sulla Terra di Israele». Bezalel Smotrich era raggiante ieri, in cima alla collina su cui da 50 anni sorge la più grande colonia israeliana, Ma’ale Adumim. Impossibile non vederla da Gerusalemme e da Ramallah: case tutte uguali disposte in cerchi concentrici, tetti rossi e una barriera a separarla dal resto della Cisgiordania occupata.
Era terra di beduini palestinesi della tribù Jahalin: si erano ricostruiti una vita qui dopo essere stati cacciati con la forza dal Naqab dopo il 1948 dal neonato Stato di Israele. Vengono cacciati ancora: è di pochi giorni fa lo svuotamento forzato di un’altra comunità Jahalin, Ein Ayub, a pochissima distanza da Ma’ale Adumim.
QUI IERI il ministro delle finanze, esponente dell’ultradestra nazionalista e fascista israeliana, ha annunciato la costruzione di 3.412 unità abitative per coloni per realizzare un vecchio sogno, condiviso da tutti i governi che negli ultimi tre-quattro decenni si sono dati il cambio a Tel Aviv, da Rabin a Netanyahu: il progetto E1, corridoio colonizzato che collegherà Gerusalemme occupata a Ma’ale Adumim e da lì alla Valle del Giordano e che spezzerà in due la Cisgiordania.
Il progetto – ha detto Smotrich ringraziando per il sostegno il premier Netanyahu e il presidente Usa Trump – «seppellisce l’idea di uno Stato palestinese», è la «risposta a chi prova a riconoscere» la statualità palestinese «non attraverso dichiarazioni ma con i fatti: case, quartieri, strade e famiglie ebree che costruiscono la propria vita. Loro continueranno a parlare di un sogno palestinese e noi continueremo a costruire una realtà ebraica». Analisi perfetta della situazione attuale, un mix di crimini di guerra e contro l’umanità e di balbettii di condanna.
Dagli anni ’90 il progetto E1 è stato sempre congelato a causa delle pressioni europee e statunitensi, proprio perché pietra tombale alla soluzione a due Stati. Ora di limiti non ne esistono: la scorsa settimana le autorità israeliane responsabili della pianificazione hanno dato il via libera definitivo. Gerusalemme sarà isolata dal resto della Cisgiordania, a sua volta spezzata in due (a nord Jenin e Nablus; a sud Betlemme e Hebron). Bantustan chiusi, la fine di tre-quattro millenni di storia condivisa e senza confini e la pulizia etnica che accomuna l’intera Palestina storica.
A GAZA VA AVANTI da quasi 23 mesi, con le bombe e la fame. Ieri altri 54 palestinesi sono stati uccisi dai raid israeliani (il bilancio accertato dal 7 ottobre 2023 ha superato le 61.700 vittime e non tiene conto delle decine di migliaia di dispersi e dei morti per cause indirette) e quattro dalla mancanza di cibo, portando il totale all’impressionante numero di 239, di cui quasi la metà bambini. Israele continua a tenere i valichi sigillati, entrano le briciole.
Per questo ieri oltre cento organizzazioni umanitarie hanno accusato Tel Aviv di impedire loro l’accesso bloccando decine di milioni di dollari di aiuti salvavita (cibo, acqua, medicinali, tende) nei magazzini fuori dalla Striscia: Medici senza Frontiere, Oxfam, Save the Children, tra le altre, denunciano il rigetto delle loro continue richieste sulla base delle nuove regole imposte da Tel Aviv per l’accesso delle ong nei Territori occupati, entrate in vigore a marzo.
Intanto i bombardamenti si intensificano nel nord di Gaza, nelle comunità identificate da Tel Aviv come obiettivi diretti del piano di «conquista» appena approvato: Jabaliya, Beit Lahiya, Beit Hanoun, Gaza City.
«Stiamo assistendo a una strategia militare coerente che si basa sulla distruzione totale e l’impedimento ai civili di tornare alle proprie case – scrive da Deir al-Balah il giornalista Tareq Abu Azzoum – La sensazione è che, una volta spinti fuori da Gaza City verso sud, sarà la mossa definitiva».
Gli Stati Uniti rivedono il “Rapporto sui diritti umani”: sparite le critiche a Israele e ai paesi amici. I dati? “Li trovate su Internet”
Marco Pasciuti 14 Agosto 2025
Emblematico il caso della sezione riservata allo Stato ebraico, a cui sono dedicate 9 pagine contro le 103 del 2024: la gamma delle violazioni documentate nelle scorse edizioni si è notevolmente ridotta
Il report su Israele è la cartina al tornasole del nuovo corso: nove pagine nel 2025 contro le 103 del 2024. Finora considerato dagli osservatori internazionali tra le fonti più complete sul tema, il Rapporto sulle violazioni dei diritti umani nel mondo stilato ogni anno dal Dipartimento di Stato Usa ha visto crollare il volume delle pagine e le informazioni in esso contenute. “Le relazioni – si legge nella presentazione pubblicata il 12 agosto – sono state semplificate per una migliore utilità e accessibilità”, motivo per cui sono stati ridotti “al minimo la quantità di dati statistici. Nell’era di Internet, i dati di base sono generalmente disponibili“. A parte la discutibilità di quest’ultima affermazione, il fatto resta: nel 2025 la gamma delle violazioni documentate nelle scorse edizioni si è notevolmente ridotta.
Il caso della sezione dedicata a “Israele, Cisgiordania e Gaza” è emblematico. La guerra in corso, si legge, “ha portato a un aumento delle segnalazioni di violazioni dei diritti umani”, tuttavia “il governo ha adottato diverse misure credibili per identificare i funzionari che hanno commesso violazioni dei diritti umani”. Così il capitolo sulla “Protezione dei rifugiati” che nel report del 2024 occupava 10 pagine e contemplava valutazioni su “respingimenti e “abusi sui richiedenti asilo” ora è risolto in 5 righe. Non c’è più traccia della sezione “Discriminazione e abusi sociali” che raccontava decine di casi di “Stupro e violenza domestica” e “Altre forme di violenza o molestie di genere”. Così come nulla è rimasto del capitolo “Violenza e discriminazione razziale o etnica sistemica“, secondo cui “cittadini, inclusi musulmani arabo-palestinesi, cristiani arabo-palestinesi, drusi e di origine etiope, hanno dovuto affrontare una persistente discriminazione istituzionale e sociale” e dei “crimini d’odio nazionalistici da parte di individui e gruppi ebrei estremisti contro residenti palestinesi di Gerusalemme Est e cittadini arabi/palestinesi”.
Eliminata la sezione “Atti di violenza, criminalizzazione e altri abusi basati sull’orientamento sessuale” in osservanza alla guerra dichiarata da Donald Trump alla “cultura woke”, sono sparite anche 9 pagine di riferimenti a “Tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti e altri abusi correlati” e 8 relative ad “Arresti e detenzioni arbitrarie“. Così come non c’è traccia delle denunce sugli abusi sui detenuti palestinesi, che secondo il report del 2024 nelle carceri israeliane erano “sottoposti a violenza fisica e sessuale, minacce, intimidazioni, accesso severamente limitato a cibo e acqua, esposizione a freddo estremo senza indumenti adeguati e periodi prolungati di isolamento”. Nulla rimane delle “uccisioni arbitrarie o illegali, comprese esecuzioni extragiudiziali; sparizioni forzate; torture o trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti da parte di funzionari governativi”; né delle “gravi restrizioni alla libertà di espressione e alla libertà dei media, comprese violenze o minacce contro i giornalisti” di cui si parlava solo un anno fa e che il caso di Anas al-Sharif dimostra siano ancora drammaticamente attuali.
Cos’è accaduto dal 2024 a oggi? I casi sono due: o negli ultimi 12 mesi Israele ha risolto tutti i suoi problemi in tema di diritti umani, oppure Washington ha deciso di chiudere tutti e due gli occhi. La cronologia degli accadimenti dice che al posto di Joe Biden alla Casa Bianca è arrivato Donald Trump, che si è dimostrato nei fatti il miglior alleato del premier israeliano Benjamin Netanyahu (il cui processo per “corruzione, frode e abuso di fiducia” registrato nel report del 2024 è sparito dall’edizione di quest’anno). Il tycoon è intervenuto la fianco di Israele nella guerra dei 12 giorni contro l’Iran e con l’annuncio il 5 febbraio della creazione della “Riviera del Medio Oriente” Tel Aviv ha avuto mano libera nella Striscia fino all’occupazione totale decisa la scorsa settimana.
Il Dipartimento di Stato riserva lo stesso trattamento di riguardo ad alcuni dei Paesi alleati come El Salvador, accusato da Amnesty International di “detenzioni arbitrarie e violazioni dei diritti umani” ma il cui presidente Nayib Bukele è entrato nelle grazie di Trump. Aspre, invece, le critiche contro Stati ritenuti ostili, come il Brasile di Ignacio Lula da Silva e il Sudafrica. Forse non è un caso che siano tra i principali critici della guerra di Israele a Gaza.
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