I PERCHÈ DI UNA STRAGE. LA BOMBA CHE INAUGURÒ LA GUERRA FREDDA da IL MANIFESTO e RESISTENZE ORG
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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I PERCHÈ DI UNA STRAGE. LA BOMBA CHE INAUGURÒ LA GUERRA FREDDA da IL MANIFESTO e RESISTENZE ORG

La bomba che inaugurò la Guerra fredda

6 agosto 1945 La devastazione di Hiroshima e Nagasaki garantì agli Usa il controllo del Pacifico. Senza reali esigenze militari: ad aprire l’era atomica furono soprattutto l’inerzia di una mobilitazione scientifica senza pari e una «erosione etica»

Massimo Mazzotti  06/08/2025

Il primo attacco atomico della storia avviene alle 8:15 del 6 agosto1945, sulla città di Hiroshima. Il secondo, e per ora ultimo, ha luogo tre giorni dopo, su Nagasaki. A Hiroshima era un bel mattino d’estate, soleggiato e senza vento. L’esplosione della bomba, nome in codice Little Boy, incenerisce tredici chilometri quadrati, uccidendo istantaneamente circa 80mila persone. Molte altre moriranno in seguito, a causa delle ferite e dell’esposizione alle radiazioni – 40mila solo nei quattro giorni successivi all’attacco.

Da allora Hiroshima significa distruzione nucleare. Per quanto l’evento storico stia recedendo inesorabilmente nel passato, il suo significato simbolico è più vivo che mai, e viene riattivato ogni volta che un leader politico minacci di utilizzare armi atomiche. Questa eredità è così fondamentale, e per molti versi unica, che ora pensiamo a quei giorni di agosto di ottant’anni fa come all’inizio di una nuova era. C’è un prima e un dopo Hiroshima, e la detonazione del 6 agosto 1945 è il lampo tecnologico che segna, con inaudita violenza, questo passaggio.

Ma se questi elementi sono largamente condivisi, più controverso è il significato storico di questo bombardamento nucleare, e la sua relazione con il nostro presente. Era veramente necessario usare la nuova arma in questo modo? Molti politici e storici hanno difeso quella che potremmo chiamare l’interpretazione ortodossa di Hiroshima, ossia la sua necessità militare, e quindi la sua giustificazione morale. In breve: continuare la guerra in modo convenzionale avrebbe portato a un’invasione alleata del Giappone e a ulteriori perdite di vite umane – un milione circa, si disse. L’uso dell’atomica avrebbe quindi ridotto la durata e il numero di vittime del conflitto.

La ricerca storica ha contraddetto in buona parte questi argomenti. Che una grande e prolungata invasione di terra fosse necessaria per concludere il conflitto è discutibile. E, comunque, gli eventuali costi umani erano largamente sovrastimati. Le ragioni del bombardamento atomico furono probabilmente molteplici: al di là del suo effetto sul Giappone contava anche, e molto, garantire l’indiscussa supremazia americana nel Pacifico.

Americani, inglesi, e russi avevano deciso il futuro dell’Europa a Potsdam, verso la fine di luglio. La superiorità dell’armata rossa aveva giocato un ruolo chiave nella spartizione delle aree di influenza. Per contro, l’uso dell’atomica assicurò agli Stati uniti il controllo del Pacifico senza bisogno di ulteriori negoziazioni. Hiroshima, in altre parole, fu anche la prima mossa di una strategia atomica che avrebbe dato forma alla guerra fredda.

Ma Hiroshima non fu solo la conseguenza di calcoli strategici. Tra le condizioni che la resero possibile ci furono anche dinamiche sociali e riposizionamenti etici. Ci fu sicuramente un fenomeno di inerzia istituzionale: il progetto Manhattan fu una mobilitazione tecnoscientifica senza pari, che nel 1944 impiegava 130mila persone e che costò più di due miliardi di dollari dell’epoca. Una volta messa in funzione, un’infrastruttura tecnologica e politica di questo tipo ha un momento che non è facile fermare, neanche quando il suo scopo non è più ovvio.

Inaugurato nel 1942 per battere i nazisti nella corsa all’atomica, il progetto Manhattan raggiunse l’obiettivo quando la Germania si era già arresa. Che fare? Il bersaglio doveva cambiare, e ci fu anche chi disse che non aveva più senso utilizzare la nuova arma contro una città nemica. Ma la macchina era in movimento, e troppi leader – politici, militari, e scientifici – avevano dato per scontato che la bomba sarebbe stata usata in un attacco. Lo stesso Robert Oppenheimer non si oppone alla scelta di colpire il Giappone, e calcola l’altezza alla quale la detonazione avrebbe avuto il massimo impatto – 580 metri. Suo fratello Frank, che lavorò a Los Alamos, descriverà questa inerzia come una «trappola tecnologica» da cui non riuscirono ad uscire: percepivano il bombardamento come il risultato logico, il coronamento dei loro sforzi.

Lo storico Andrew Ritter parla invece di una graduale erosione etica che era avvenuta durante i tre anni del progetto. Un’erosione che portò a vedere l’uso dell’atomica su una città giapponese come un passo ragionevole e in continuità con il passato. Dopotutto, il solo bombardamento di Tokyo della notte del 9 marzo 1945 aveva causato circa centomila vittime.

Oppenheimer non si oppose a colpire il Giappone e calcolò l’altezza per il massimo impatto della detonazione: 580 metri

Può sorprendere scoprire che, ai primi di agosto del 1945, i vertici militari e politici americani tendevano a considerare l’atomica un’arma tattica, non molto diversa dalle altre già in uso, solo più potente. Tanto che immaginavano di doverne usare diverse per piegare il Giappone. Fu solo gradualmente, nei giorni e settimane che seguirono la resa incondizionata, che emerse con chiarezza il significato strategico dell’atomica, un’arma che cambia, in forza della sua sola esistenza, il panorama geopolitico globale.

Ripercorrere la strada che porta a Hiroshima mostra come sia impossibile cogliere in anticipo tutte le implicazioni di una tecnologia radicalmente nuova. Mostra anche come nulla fosse predeterminato, e che altre scelte erano possibili. Quella che fu percepita dai protagonisti come mancanza di alternative fu in realtà un’incapacità di vederle e di coglierle: è un effetto dell’erosione etica di cui parla Ritter. Il livello di violenza considerato accettabile era slittato drammaticamente, e aveva finito col legittimare l’uso di una tecnologia dalle capacità distruttive senza precedenti.

I mesi che separarono la resa della Germania da Hiroshima furono segnati da discussioni molto accese tra Oppenheimer e alcuni suoi colleghi. A quel punto, quasi metà degli scienziati coinvolti si dichiararono a favore di usare la bomba solo a scopi dimostrativi, magari colpendo un’isola disabitata del Giappone. Ma continuarono a lavorare al progetto, e lo portarono a termine. Robert Wilson, che dirigeva la sezione ricerca a Los Alamos, disse in seguito: «Ancora oggi non capisco perché nessuno di noi se ne andò». Poi, cercando di darsi una risposta, aggiunse: «Eravamo programmati come automi per fare esattamente quella cosa».

www.resistenze.org – cultura e memoria resistenti – storia – 09-08-09 – n. 285

Hiroshima 6 agosto 1945: I perchè di una strage

di Domenico Moro  09/08/2009

Dove fanno il deserto lo chiamano pace

Tacito, Agricola

Il 6 agosto cade l’anniversario del primo bombardamento atomico della Storia. In un colpo solo 64 anni fa ad Hiroshima furono uccise 200mila persone. Il 9 agosto 1945 un’altra bomba fu sganciata su Nagasaki, provocando la morte di 80mila persone. Molti morirono tra atroci sofferenze e decine di migliaia continuarono a morire negli anni successivi a seguito delle lesioni riportate per l’esposizione alle radiazioni. Le conseguenze della scelta degli Stati Uniti di effettuare il bombardamento atomico hanno pesato e peseranno su di noi e sulle generazioni future per molto tempo. E pesano specialmente oggi, in una epoca di riarmo e di acutizzazione delle tensioni internazionali.

Per tale ragione, dobbiamo capire quali furono le ragioni di tale scelta, quale fu il senso di una scelta senza senso. Da sempre gli Usa hanno giustificato l’uso della bomba atomica con lo scopo di costringere alla resa un irriducibile Giappone, deciso a combattere fino all’ultimo uomo, e risparmiare così la vita di decine di migliaia di soldati americani. Fu veramente così? La ricerca storica ci dice che non fu così. Nella sua Storia della seconda guerra mondiale, quello che è forse il più importante storico militare (e non certo uno storico di sinistra o marxista), B. H. Liddell Hart, ci dice il contrario. Lo storico inglese cita le parole dell’allora premier britannico Churchill, uomo tutt’altro che restio a impiegare qualunque mezzo per raggiungere i suoi obiettivi, come provano i terribili bombardamenti britannici sulla Germania: “Sarebbe un errore supporre che il destino del Giappone sia stato segnato dalla bomba atomica. La sua sconfitta era certa prima che la prima bomba cadesse, e fu determinata dalla distruzione del suo potere marittimo. Questo solo aveva reso possibile conquistare basi nell’oceano dalle quali lanciare l’attacco finale e forzare il suo esercito metropolitano a capitolare senza colpo ferire. La sua flotta era stata distrutta.”

Infatti, da tempo il Giappone era sottoposto a imponenti bombardanti terroristici con l’uso di bombe al napalm che avevano distrutto diverse città giapponesi. A Tokio, il 9 marzo 1945, si registrarono 79mila morti nella più distruttrice singola azione della storia dei bombardamenti aerei, più di Dresda. I Giapponesi erano ormai decisi ad arrendersi. Tre settimane prima che la bomba fosse sganciata, alla conferenza di Potsdam, Stalin passò a Churchill un messaggio dell’ambasciatore giapponese a Mosca in cui si chiedeva la pace. Intanto, il governo Koiso era caduto ed era stato sostituito dal governo Suzuki, un esponente politico notoriamente favorevole alla pace. Fu lo stesso imperatore Hirohito a porre fine a qualunque residua esitazione giapponese, chiedendo ai suoi ministri di terminare le ostilità non appena possibile, e dando al negoziatore, principe Konoye, mandato di assicurare la pace ad ogni prezzo.

Asserire il rifiuto giapponese di una pace senza condizioni (cioè che non mettesse in discussione la figura dell’imperatore), come gli americani continuavano a richiedere (contro il parere di Stalin), è soltanto una foglia di fico dietro alla quale si nasconde la volontà statunitense di usare comunque la bomba. Del resto, dopo la fine della guerra né Hirohito né la carica di imperatore vennero toccati. Persino il capo di stato maggiore di Truman, ammiraglio Leahy, criticò l’inutilità militare della bomba: “L’uso di questa barbarica arma a Hiroshima e Nagasaki non fu di nessun aiuto nella nostra guerra contro il Giappone. I giapponesi erano già sconfitti e pronti ad arrendersi a causa del blocco marittimo e dei bombardamenti con armi convenzionali.”

Quale fu allora la ragione della volontà Usa di andare fino in fondo? Sentiamo ancora Liddell Hart: “Ma il presidente Truman e la maggioranza dei suoi principali consiglieri erano intenzionati ad usare la bomba per accelerare il collasso giapponese dal momento che Stalin stava per entrare in guerra contro il Giappone e garantirsi così una posizione vantaggiosa nell’Estremo Oriente.” Aggiungerei che l’uso della bomba non si limitava a considerazioni di ordine geostrategico relative all’area estremo orientale, ma mirava a mostrare, sulla pelle di qualche centinaio di migliaia di civili giapponesi, all’Urss (e anche agli altri alleati) le potenzialità distruttive senza uguali dell’arma di cui gli Usa, da soli, erano in possesso.

La ragione del massacro fu, dunque, la determinazione di affermare un nuovo ordine mondiale che ruotasse intorno agli Usa come nuova potenza imperialista egemone, invece che attorno alla Gran Bretagna e all’Europa come era stato fino allora. Gli Usa, dunque, non hanno neanche la giustificazione (ammesso e non concesso che l’impiego della bomba atomica sia giustificabile) di aver usato la bomba perché in procinto di essere sopraffatti dall’avversario o perché colpiti sanguinosamente nella loro popolazione, visto che il loro territorio che è stato l’unico tra quelli dei belligeranti a non essere investito dalla guerra, bensì per pura politica di potenza. La cosa, quindi, che lascia più interdetti è che l’unico Stato nella Storia che abbia usato la bomba atomica, e per le suddette ragioni, si erga come autorità morale nei confronti degli altri Stati, continuando a portare la guerra e la distruzione, chiamandola, diversamente dagli imperialisti romani, democrazia invece che pace.

Potenza della manipolazione mediatica: il trucco è dimostrare che il male, la forza, è necessaria per scongiurare un male maggiore. Si tratta di un meccanismo che gli Usa hanno sfruttato molte volte, anche in seguito, per giustificare uno sproporzionato uso della forza. L’ultimo esempio è quello dell’Iraq, un paese allo stremo delle forze, dopo un decennio di guerre e di embargo, e descritto pur tuttavia come una nuova Germania hitleriana in possesso, per di più, di pericolose armi di distruzione di massa, in effetti mai trovate. Oggi, mentre sulla testa dei civili afghani piovono bombe democratiche, è la volta dell’Iran essere messo sotto torchio perché starebbe preparando la bomba. Intanto gli Usa stipulano un accordo di assistenza nucleare con l’India, un paese che, oltre ad aver sviluppato un proprio arsenale atomico, non ha mai firmato il trattato di non proliferazione nucleare ed è perennemente in conflitto con il Pakistan, che, particolare non trascurabile, è un’altra potenza nucleare. Anche in questo caso quello che predomina nella strategia dei “portatori di democrazia” è la politica di potenza, visto che un’India più potente controbilancia la vera nuova bestia nera degli Usa, la Cina.

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