“FACTA MANENT, VERBA VOLANT” da EMEGENCY e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“FACTA MANENT, VERBA VOLANT” da EMEGENCY e IL MANIFESTO

Emergency si unirà in mare alla Global Sumud Flotilla offrendo loro supporto medico e logistico, oltre che di osservatore e testimone


Emergency, storica ONG italiana fondata da Gino Strada, ha annunciato ufficialmente che prenderà parte alla missione della Global Sumud Flotilla, la flottiglia internazionale diretta verso Gaza, offrendo supporto medico, logistico e svolgendo il ruolo di osservatore e testimone.

03/09/2025

In un comunicato diffuso questa mattina, Emergency ha dichiarato il proprio impegno a bordo di una delle imbarcazioni della flottiglia civile, organizzata da una coalizione internazionale di attivisti, ONG, medici, artisti e parlamentari provenienti da diversi Paesi. La Global Sumud Flotilla – il cui nome richiama il concetto arabo di “resilienza” o “ferma resistenza” – ha l’obiettivo dichiarato di rompere simbolicamente il blocco navale su Gaza, denunciando la crisi umanitaria in corso nel territorio palestinese.

Emergency parteciperà alla missione non con finalità politiche, ma per ribadire la propria vocazione umanitaria. “Siamo medici, infermieri e operatori impegnati da trent’anni nei luoghi più colpiti dalla guerra e dalle disuguaglianze – si legge nel comunicato –. Oggi, come sempre, scegliamo di stare accanto alle vittime, ovunque si trovino.”

Il contributo di Emergency sarà duplice. Da una parte, fornirà supporto medico a bordo, mettendo a disposizione personale sanitario e kit di primo soccorso per eventuali emergenze durante la navigazione. Dall’altra, garantirà una presenza di osservazione indipendente, documentando eventuali violazioni del diritto internazionale e assicurando che la missione venga condotta nel rispetto della legalità e dei diritti umani.

La presenza di Emergency aggiunge peso e credibilità alla missione, in un contesto di grande tensione internazionale. In passato, iniziative simili sono state spesso oggetto di interventi militari da parte delle autorità israeliane, che considerano il blocco navale su Gaza una misura di sicurezza. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani, invece, lo ritengono una punizione collettiva che aggrava le condizioni di vita di oltre due milioni di persone.

Secondo fonti vicine all’organizzazione, la decisione di salire a bordo della flottiglia è in linea con la storia di Emergency, che ha operato in zone di guerra come l’Afghanistan, il Sudan, la Sierra Leone e, più recentemente, ha fornito supporto ai civili colpiti dal conflitto in Ucraina e in Medio Oriente.

“Non possiamo restare a guardare mentre un’intera popolazione viene privata dei mezzi essenziali per vivere. La nostra presenza vuole essere una voce contro l’indifferenza e contro ogni forma di guerra e violenza”, ha dichiarato uno dei responsabili della missione.

La partenza della Global Sumud Flotilla è prevista nelle prossime settimane da un porto del Mediterraneo ancora tenuto riservato per motivi di sicurezza. Diverse personalità pubbliche internazionali si sono già espresse a favore della missione, mentre non mancano le critiche da parte di governi che vedono l’iniziativa come una provocazione.

Emergency, dal canto suo, ribadisce la neutralità della propria azione: “Il nostro unico schieramento è con chi soffre. Saremo in mare per curare, per assistere e per raccontare ciò che vedremo.”


La partecipazione di Emergency alla Global Sumud Flotilla segna un nuovo capitolo nell’impegno civile e umanitario dell’organizzazione italiana. In un mondo sempre più polarizzato, la sua scelta rappresenta un richiamo alla responsabilità collettiva verso i più vulnerabili, e una testimonianza viva del valore della solidarietà oltre i confini.

Violata la convenzione sul genocidio, al via il processo di Amsterdam

Medio Oriente La causa intentata da 10 ong palestinesi e olandesi. L’accusa è «complicità burocratica» dei Paesi Bassi con Tel Aviv

Massimiliano Sfregola  03/09/2025

Il Belgio è da oggi il terzo Paese, dopo Irlanda e Slovenia, ad aver adottato unilateralmente misure contro Israele come forma di protesta per il massacro in corso a Gaza. Nonostante gli annunci solenni e la grande eco mediatica, si tratta in realtà di sanzioni limitate e soprattutto simboliche: stop all’importazione di prodotti provenienti dagli insediamenti illegali in Cisgiordania (ma non dei vini delle alture del Golan), divieto d’ingresso per la dirigenza di Hamas, alcuni ministri israeliani e coloni violenti, limitazioni alla tutela consolare per i coloni con passaporto belga e, soprattutto, il riconoscimento della Palestina, ma solo a condizione che gli ostaggi vengano liberati e Hamas smilitarizzato.

MENTRE IL MINISTRO federale degli Esteri Maxime Prévot esultava per quello che a suo dire è un grande risultato, le opposizioni di sinistra fiamminga e francofona lo hanno riportato con i piedi per terra: «Troppo poco e troppo tardi», ha commentato la sinistra radicale del Ptb/Pvda, mentre il leader socialista francofono Paul Magnette ha sottolineato che «un riconoscimento con condizioni non è un riconoscimento». Secondo i Verdi fiamminghi di Groen, un mini-accordo pieno di compromessi come questo serviva più a salvare la coalizione federale “Arizona”, messa a rischio proprio dal tema delle sanzioni a Israele, che a incidere realmente sulla situazione a Gaza.

Chi ha imparato a non fidarsi degli annunci politici sono invece gli attivisti olandesi: domani, ad Amsterdam, si terrà la prima udienza d’appello di un procedimento intentato da dieci organizzazioni non governative, olandesi e palestinesi, contro il governo dei Paesi Bassi per la violazione della Convenzione sul genocidio del 1948, di cui l’Olanda è firmataria. In primo grado, lo scorso anno, il giudice aveva in larga parte dato ragione agli attivisti pro-Palestina, pur senza imporre misure concrete al governo. Ora l’obiettivo è superare la strategia dilatoria delle autorità sulla questione di Gaza: «Si resta fermi alle dichiarazioni politiche e a puntare il dito verso l’Ue, ma il governo non prende vere misure», ha dichiarato alla stampa olandese Minke Gommer, avvocata delle associazioni. «È incomprensibile, soprattutto perché dal punto di vista del diritto internazionale sarebbero necessarie azioni aggiuntive. La Convenzione sul genocidio stabilisce che uno Stato deve fare tutto il possibile per prevenirlo, e questo ora non sta accadendo».

A GUIDARE il gruppo è l’OngSomo, un think tank le cui ricerche sono spesso citate dalla relatrice Onu Francesca Albanese. L’organizzazione punta a rompere quella che definisce la «complicità burocratica» dei Paesi Bassi con Israele, che trarrebbe benefici diretti dall’economia del genocidio. In concreto, le associazioni chiedono lo stop all’export di armi e cani verso Israele, oltre al divieto di commercio con le colonie israeliane illegali in Cisgiordania. Ma soprattutto, ed è questo il punto chiave del procedimento, l’Olanda deve interrompere i flussi di capitali israeliani che sfruttano il suo generoso sistema da paradiso fiscale per ridurre al minimo la tassazione.

SECONDO una recente pubblicazione di Somo, i Paesi Bassi sarebbero il primo Paese in Europa per volume di investimenti israeliani, pari a 47 miliardi di euro, in larga parte grazie ai capitali veicolati attraverso le migliaia di multinazionali insediate a Zuidas, il quartiere finanziario di Amsterdam: circa due terzi degli investimenti israeliani in Europa. L’obiettivo delle Ong, quindi, è tutt’altro che simbolico: se questa rotta finanziaria venisse davvero fermata, il danno potenziale per Israele, sostengono da Somo, sarebbe incalcolabile.

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