COP30 AL VIA SUL CLIMA CHE BRUCIA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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COP30 AL VIA SUL CLIMA CHE BRUCIA da IL MANIFESTO

Cop30 al via sul clima che brucia

Francesco Bilotta  06/11/2025

Clima Dopo le ultime tre Conferenze Onu sul clima ospitate dai paesi petroliferi, quella che si apre lunedì in Amazzonia ha un valore altamente simbolico. Voluta dal presidente brasiliano Lula, cade a 10 anni dall’Accordo di Parigi, a ridosso del 2024 anno più caldo di sempre e in pieno negazionismo degli Usa di Trump

Con la Cop30 si ritorna in Brasile dove tutto era cominciato nel 1992 con la Conferenza di Rio de Janeiro, quando per la prima volta vennero affrontati in modo globale i temi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolge a Belém dal 10 al 21 novembre, ha il difficile compito di rilanciare la concertazione internazionale sulla politica ambientale.

LA SCELTA DELLA CITTÀ AMAZZONICA come sede della Conferenza ha un elevato valore simbolico ed è stata fortemente voluta dal presidente Lula da Silva con lo scopo di rilanciare il protagonismo del Brasile nella lotta al cambiamento climatico. Gli ultimi tre appuntamenti (Cop27 in Egitto, Cop28 negli Emirati Arabi, Cop29 in Azerbaijan), in tre Stati che basano la loro economia in gran parte sui combustibili fossili, si sono conclusi con risultati deludenti, senza che fossero varate misure efficaci e impegni vincolanti in grado di contrastare l’aumento di temperatura del pianeta. Siamo arrivati al paradosso di vedere aziende che hanno i loro maggiori interessi nella produzione di petrolio e gas candidarsi alla guida della transizione energetica. Le Conferenze per il clima sono, tuttavia, uno strumento importante per individuare azioni che impegnino gli Stati a contrastare il cambiamento climatico i cui effetti sono più evidenti nei paesi del Sud del mondo che hanno meno responsabilità nelle emissioni.

COSA CI SI PUÒ RAGIONEVOLMENTE attendere dalla Cop30? A dieci anni dall’Accordo di Parigi del 2015, che era stato firmato da 177 paesi e ha rappresentato il momento più alto nella concertazione globale sul clima, ci troviamo di fronte a una crisi della politica multilaterale. Tutti i settori sono stati coinvolti, dal campo commerciale con la guerra dei dazi alla gestione dei conflitti armati. Il 2025 segna anche la crisi del multilateralismo climatico con l’uscita dall’Accordo di Parigi degli Stati Uniti, il paese che in questi decenni ha maggiormente contribuito alla produzione di gas serra e al riscaldamento globale.

IL NEGAZIONISMO E IL DISIMPEGNO climatico dell’amministrazione Trump sono destinati a pesare in modo drammatico sul breve e sul lungo periodo, mettendo in discussione tutti gli obiettivi in campo climatico. Anche la marcia indietro dell’Unione europea in campo ambientale è destinata a incidere negativamente sugli accordi internazionali per fermare il riscaldamento e sulle misure necessarie per limitare gli effetti dell’aumento della temperatura. Il presidente della Cop30, il brasiliano Andrè Correa do Lago, ha dichiarato di puntare a un compromesso che impegni i paesi a definire nuovi piani climatici e a varare iniziative concrete per ridurre le emissioni entro il 2035, passando dalla fase negoziale a quella a quella attuativa degli obiettivi. La domanda che scienziati e ambientalisti si pongono è sempre la stessa: si continuerà a fissare obiettivi che poi non vengono raggiunti e ad annunciare misure che rimangono sulla carta?

L’ACCORDO DI PARIGI FISSAVA DI CONTENERE l’aumento della temperatura entro 1,5°C rispetto al periodo preindustriale. Sta di fatto che negli ultimi anni la crisi climatica ha subito una accelerazione che ha sorpreso gli stessi studiosi. Secondo l’IPCC, Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, il riscaldamento del pianeta sta avvenendo ad una velocità superiore a quanto ci si potesse aspettare. Se nel 2021 si riteneva che la soglia di 1,5 °C sarebbe stata raggiunta nel 2040, due anni dopo si indicava nel 2030 l’anno del superamento. Ma l’Organizzazione meteorologica mondiale ha certificato che il 2024 è stato l’anno più caldo finora registrato e l’aumento della temperatura media globale è stata di 1,6°C.

GLI SCIENZIATI NON VOGLIONO TRARRE considerazioni affrettate, perché è necessario valutare se quello del 2024 è un valore isolato, ma se il dato dovesse confermarsi anche nel 2025 e negli anni a venire, saremmo di fronte agli effetti di un vero e proprio «collasso climatico». In ogni caso, per rimanere entro la soglia fissata dall’Accordo di Parigi sarebbe necessario tagliare le emissioni di gas serra del 65% entro il 2035, un taglio sei volte maggiore di quanto previsto finora. Quasi tutti i paesi, compresa l’Unione europea, sono in grave ritardo per quanto riguarda i piani nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici e questo rende difficile una ulteriore accelerazione nel taglio delle emissioni. Nel frattempo la corsa al riarmo che si è scatenata in Europa e negli altri paesi è destinata ad assorbire ingenti risorse finanziarie, sottraendole in gran parte ai settori che dovrebbero operare per mitigare gli effetti della crisi climatica.

LA FINANZA PER IL CLIMA È UNO DEI TEMI CENTRALI della Cop30, perché da essa passa l’adozione di misure per una giustizia climatica che i paesi del Sud del mondo continuano ad invocare. Dalla Cop29 di Baku era uscita la proposta di stanziare 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per finanziare le misure di adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi a basso reddito. Come questo potrà avvenire e in base a quali criteri dovranno essere destinate queste risorse è tutto da stabilire.

L’ALTRO TEMA CHE SCOTTA È QUELLO DELLO STOP dei sussidi ai combustibili fossili che vengono erogati in forma diretta e indiretta e che, secondo il Fondo monetario internazionale, ha raggiunto nel 2022 il valore di 7 mila miliardi di dollari. Tutti i paesi del G20, responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra, continuano a sovvenzionare largamente il settore fossile, con in testa Cina, Stati Uniti, Russia, Unione europea e India. In nessuna delle Conferenze precedenti è stata indicata una data entro cui porre fine a questa forma di finanziamento. Vedremo se la Cop30 farà qualche passo in avanti in questa direzione.

I COMBUSTIBILI FOSSILI SONO LA PRINCIPALE CAUSA dei cambiamenti climatici, incidendo per il 70% sulle emissioni globali, ma si continua a puntare sull’espansione del settore petrolifero.

Si moltiplicano in tutto il mondo i progetti di nuove attività estrattive. E’ quello che sta avvenendo in Brasile, dove sono state concesse nuove licenze per l’esplorazione nel bacino amazzonico a 175 chilometri dalla costa, con l’obiettivo di aumentare la produzione petrolifera. Siamo di fronte alla più lacerante contraddizione nella politica ambientalista del presidente Lula da Silva, perché ogni nuovo piano estrattivo è incompatibile con l’obiettivo di contenere il cambiamento climatico. L’impegno di uscire dai combustibili fossili, comparso per la prima volta nella relazione finale della Cop28 di Dubai, è solo una dichiarazione d’intenti, senza aver fissato i tempi di questa uscita. In questi mesi, tuttavia, c’è una iniziativa che sta guadagnando consenso e che potrebbe entrare in discussione nella Conferenza: la proposta di un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili.

Vedremo se comparirà nelle relazione finale. Ma a Belém è pronta a scattare la «trappola» dei biocarburanti, che vengono proposti come una soluzione ecologica per la decarbonizzazione dei trasporti.

GLI INTERESSI DEL BRASILE NEL CAMPO dei biocarburanti porterà alla ribalta questi combustibili. Tra le proposte ci sarà quella di quadruplicare la produzione a livello mondiale entro il 2035, inserendo nella relazione finale questo obiettivo. Sarebbe, invece, necessario fermare la loro espansione perché siamo di fronte a una strategia climatica fallimentare: il 90% di essi deriva da coltivazioni che entrano in competizione con la produzione di cibo e, se si considera il loro intero ciclo di vita (dalla coltivazione alla trasformazione e combustione), risulta che generano il 16% di emissioni in più dei combustibili fossili (come dimostra il report della Ong Transport & Environment).

LE COMUNITÀ INDIGENE BRASILIANE, che lottano per difendere la foresta amazzonica e la loro vita, vogliono avere un ruolo attivo in questa Conferenza, riaffermando che «non esistono soluzioni climatiche senza i popoli e i territori indigeni». Da qui nasce una proposta che dovrebbe essere presentata per la prima volta con il sostegno del Brasile: l’istituzione di un Fondo per le foreste tropicali per sempre da 125 miliardi di dollari per finanziare i paesi che salvaguardano il loro patrimonio forestale.

Flessibile e poco ambizioso, l’Ue firma l’accordo sul clima

Andrea Valdambrini  06/11/2025

Target climatici Frenata sul Green Deal pur mantenendo gli obiettivi finali di decarbonizzazione al 2040

«Pronti per Belém! Appena arrivati alla Cop30 con buone notizie». Così la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen saluta l’accordo europeo sui target climatici 2040. I ministri dell’Ambiente dei 27 paesi Ue, riuniti in consiglio a Bruxelles, sono arrivati a un compromesso dopo quasi un giorno interno di vertice fiume, e solo grazie alle numerose concessioni alle posizioni clima-scettiche, come quella italiana. Nonostante Von der Leyen parli di «pietra miliare nel nostro percorso verso la neutralità climatica in Ue nel 2050», il compromesso è al ribasso, anche rispetto alla proposta originaria della Commissione, che prevedeva il 3% di crediti internazionali, portati ora al 5% per rendere meno oneroso agli occhi dei governi il taglio della CO2 in Europa. Il testo finale approvato a maggioranza dai ministri (con voto contrario di Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, astensione di Bulgaria e Belgio) prevede anche la valutazione biennale per monitorare i progressi verso gli obiettivi intermedi, e in caso ridefinirli. Inoltre, la clausola di revisione viene addirittura rafforzata: dovrà tenere in conto «sfide e opportunità emergenti per migliorare la competitività globale delle industrie europee».

ALTRO GRANDE FRENO alla transizione ecologica inserito nell’accordo finale, il rinvio di un anno, dal 2027 al 2028, dell’entrata in vigore del sistema Ets2, ovvero il meccanismo di scambio delle quote di emissione Ue per edifici e trasporti su strada. Hanno prevalso le preoccupazioni di diversi paesi, prima fra tutte la Polonia, per i possibili rincari dei prezzi dell’energia.

PUR CON TUTTI GLI «SCONTI», l’Ue salva però la faccia, mantenendo in vita almeno formalmente i target climatici. Non solo resta la riduzione delle emissioni inquinanti del 90% entro il 2040, ma l’ impegno di riduzione nazionale dei gas climalteranti (il cosiddetto Ndc) dovrà attestarsi entro il 2035 in una forchetta tra il 66,25% e il 72,5%. Per il commissario europeo al clima Wopke Hoekstra il mandato uscito dal Consiglio è «eccezionalmente forte», e l’Ndc europeo non è «secondo a nessuno» nel mondo. In effetti sono numeri fondamentali per presentarsi alla Cop30 di Belém, dove l’inizio dei lavori è fissato a lunedì prossimo, ma preceduto dal vertice preparatorio dei leader che si tiene oggi e domani, sempre nella capitale dello stato brasiliano del Parà, alle porte dell’Amazzonia. Solo che la Cop30 di leader rischia di vederne pochi. Saranno assenti quelli delle due superpotenze mondiali, l’americano Donald Trump e il cinese Xi Jinping, mentre hanno assicurato la loro partecipazione il presidente francese Macron e il premier britannico Starmer, oltre ai vertici Ue Von der Leyen e Costa. La presidente del Consiglio Meloni darà forfait e sarà rappresentata dal ministro degli Esteri Tajani.

Soddisfatto per l’accordo sugli obiettivi climatici il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin. L’Italia vede infatti riconosciute diverse sue richieste, compresa l’apertura sui biocarburanti nel quadro della discussione, prevista per dicembre, in merito alla decarbonizzazione dei trasporti. L’utilizzo di questi combustibili – di origine organica ma comunque responsabili di emissioni serra – è da tempo una pressante richiesta italiana. Lo scopo è quello di proporre un’alternativa al divieto Ue di produzione di motore endotermico al partire dal 2035, che Roma (e non solo) vorrebbe scongiurare.

CRITICO VERSO IL RUOLO giocato dall’Italia Luca Bergamaschi, direttore del think tank italiano per il clima Ecco, che sottolinea come il governo ha spinto per l’introduzione della clausola di revisione biennale degli obiettivi, con il risultato di «indebolirne la credibilità e creare incertezza per gli investimenti». Il Wwf mette in luce il «gioco di prestigio» per cui gli obiettivi di riduzione degli inquinanti del 90% diventano dell’85%, al netto delle scappatoie previste, mentre l’adozione di una forchetta per l’Ndc favorisce il raggiungimento del limite basso del target, cioè il 66,25%. La Cgil esprime preoccupazione per il netto arretramento europeo nell’azione climatica. «Le decisioni dei ministri dell’Ambiente», si legge in una nota del principale sindacato italiano, «confermano la volontà di smantellare il Green deal, a partire dalla legge per il clima, cedendo alle rivendicazioni dei governi negazionisti fra cui l’Italia».

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