ALASKA, I DUE SOGNI E L’INCUBO NATO da il FATTO e IL MANIFESTO
Alaska, i due sogni e l’incubo Nato
Barbara Spinelli 15 Agosto 2025
Trump cerca un risultato immediato che gli dia lustro e Putin uno di lungo periodo per eliminare la minaccia occidentale. Europa e Zelensky non vogliono passare da sconfitti: ma per questo è troppo tardi
“Dormono nello stesso letto ma hanno sogni diversi”: l’antico proverbio cinese sembra adattarsi perfettamente al vertice fra Putin e Trump, oggi in Alaska.
Si adatta anche alle consultazioni preparatorie che il Presidente ha avuto mercoledì in video-conferenza con Zelensky e i Volonterosi europei (Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Polonia, Finlandia, Commissione Ue). Trump sogna di essere beatificato come costruttore di pace. Gli europei e Zelensky sognano una tregua seguita da ritirata russa, e soldati occidentali in Ucraina che mantengano la pace. Putin sogna la fine dell’aggressività Nato ai propri confini. Dietro questo guazzabuglio di sogni la dura realtà dei fatti, indigesta per gli Occidentali: la Nato ha perduto questa guerra europea, e ora tocca gestire la disfatta fingendo che non sia tale.
Fino all’ultimo i governi europei hanno provato a sabotare l’incontro, anche se ieri si sono detti molto soddisfatti e rassicurati da Trump. Ma le idee che si fanno della fine della guerra sono incoerenti e non coincidono con le realtà militari. Nel comunicato del 9 agosto, la Coalizione dei Volonterosi afferma che il negoziato dovrà svolgersi “a partire dalla linea di contatto” fra i due eserciti. Dunque dovrà tener conto dell’avanzata russa nel Sud-Est ucraino, e del controllo di Mosca sulle quattro province annesse dalla Federazione russa. Nelle grandi linee è il cavilloso compromesso suggerito il 10 agosto da Mark Rutte, segretario generale della Nato: alcuni territori resteranno legalmente ucraini, ma sotto il controllo di Mosca. Rutte ha precisato che l’accordo potrebbe includere il “riconoscimento effettivo” delle annessioni, ma “non il loro riconoscimento politico e giuridico”. Steve Witkoff, inviato diplomatico di Trump, crede di aver capito che Putin vuole tenere il Donbass – gli oblast Luhansk e Doneck – ma potrebbe negoziare lo statuto delle due altre province incamerate (Zaporižžja e Kherson). Mosca per ora non conferma.
Per confondere ancora più le acque e accentuare il divario tra sogni, cavilli e realtà, i governi Ue e i sei Volonterosi non esitano a contraddirsi. Bisogna tener conto della linea di contatto militare (cioè delle vittorie russe) ma i confini prebellici non si toccano. È quanto sostengono i leader Ue nella dichiarazione del 12 agosto: urge fornire ancora armi all’Ucraina, e piegare la Russia con misure restrittive sempre più pesanti (il 18° pacchetto di sanzioni risale al 17 luglio). Quindi è piuttosto insensato affermare che si negozia “a partire dalla linea di contatto”. Nel sogno di Zelensky l’Ucraina non deve apparire perdente: come se la guerra non fosse avvenuta o addirittura Kiev l’avesse vinta.
Solo l’ungherese Viktor Orbán si oppone all’esercizio illusionista dell’Unione europea: “Stiamo parlando come se la situazione fosse aperta. Non lo è. Gli Ucraini hanno perso questa guerra e la Russia l’ha vinta”. E ancora: “Se non siete al tavolo dei negoziati vuol dire che sarete mangiati”. Sembra ci sia solo Orbán, a dire come effettivamente stiano le cose. “Un parere molto interessante”, lo ha elogiato Trump. Alla vigilia del vertice, l’esercito russo ha sfondato la linea del fronte nel Donbass.
Sicuro dell’appoggio apparentemente incondizionato degli Europei, anche Zelensky ha cercato di sabotare l’incontro di Anchorage. Ha ribadito che mai potrà rinunciare ai territori, non fosse altro perché la costituzione glielo vieta. Ha ripetuto che la Russia va punita con sanzioni e l’Ucraina remunerata con armi più efficaci. Ancora di recente, ha detto che Kiev insisterà nel chiedere l’adesione non solo all’Unione europea ma anche alla Nato. Cosa che neanche i Volenterosi dicono più di volere, e che Trump ha da tempo escluso.
Le ragioni di Zelensky si possono capire: perdere una guerra è terribile, soprattutto se si tiene a mente che fu lui a negoziare con Mosca un accordo che ancora non includeva cessioni di territori, poche settimane dopo l’Operazione Speciale di Putin, e che furono i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna a opporre il veto a qualsiasi trattativa e a imporre il proseguimento della guerra.
Zelensky nel frattempo non ha più il paese alle spalle e neanche soldati a sufficienza. Un sondaggio Gallup degli inizi di luglio dice che il 69% degli Ucraini chiede “la fine alla guerra al più presto”, e il 24% preferisce la sua continuazione “fino alla vittoria”. All’inizio della guerra, il 73% voleva la guerra fino alla vittoria.
Il problema ora è di vedere se Trump e Putin escogiteranno qualche intesa iniziale. L’incontro è già un progresso, visto che Putin era trattato da Biden come criminale e macellaio. Ma c’è da dubitare che sia decisivo, e Trump stesso parla prudentemente di un “test”.
Se lo scopo sognato dai due leader fosse identico, accordarsi sarebbe difficilissimo – toccherà a un certo punto ottenere l’assenso di Kiev – ma non impossibile. I confini in Europa sono stati già illegalmente cambiati per volontà occidentale, nella guerra in Jugoslavia.
Ma gli scopi restano diversi. Trump punta a un accordo di breve periodo, basato su “scambi di territori” che sanciscano l’appartenenza alla Russia del Donbass separatista (Luhansk e Donetsk) e della Crimea annessa nel 2014. Putin è interessato al lungo periodo: non si limita a rivendicare territori, ma esige la fine delle sanzioni, accordi sull’Artico, la rinuncia ucraina a entrare nella Nato. E non si accontenterà di dichiarazioni: occorre che Kiev cancelli dalla propria costituzione gli emendamenti che nel 2019 hanno reso vincolante l’impegno a entrare nell’Alleanza Atlantica. Sarà tutt’altro che semplice, ma son quasi trent’anni che Mosca teme i fortilizi Nato alle porte di casa.
Nel febbraio 2022 il Cremlino ha iniziato la guerra perché gli Occidentali hanno ignorato i suoi interessi di sicurezza, violando le promesse fatte in passato a Gorbachev. Lo stesso Stoltenberg, ex segretario generale della Nato, lo ammise il 7 settembre 2023 : “Nell’autunno 2021 Putin inviò alla Nato una bozza di trattato in cui dovevamo promettere di cessare gli allargamenti dell’Alleanza, come precondizione per non invadere l’Ucraina. Naturalmente non firmammo. Per questo Putin andò in guerra: per evitare la Nato ai propri confini. Ottenne l’esatto contrario”.
Rifiutando “naturalmente” di firmare la bozza, l’Occidente ha mandato a morire decine di migliaia di Ucraini, per ritrovarsi ora catapultato indietro nel tempo, quando gli fu chiesto di abbandonare l’espansionismo Nato. Mosca non ha ottenuto l’“esatto contrario”, ma sta ottenendo quel che voleva. Ha conquistato quattro province e l’Ucraina è ora uno Stato fallito. Kiev è perdente non malgrado il sostegno euro-americano, ma a causa di esso.
Trump non lo ammetterà mai ma è alle prese con il declino della supremazia globale americana. “Trump non è l’uomo della pace – scrive Orsini su questo giornale – è l’uomo che gestisce la sconfitta strategica della Nato in Ucraina per mano della Russia”. Di qui i dazi usati come arma ricattatoria nei confronti di Brasile, India, Sud Africa, per frenare l’ascesa del gruppo Brics che include Russia e Cina. Perdere l’India è un’immane disfatta. Di qui il profondo disprezzo per l’Europa. Di qui l’appoggio scriteriato a Netanyahu e alla liquidazione finale dei palestinesi, che mina la credibilità Usa nel mondo. Intervistato a giugno da The Atlantic Trump s’è pavoneggiato: “Governo l’America e il mondo”. Ecco il sogno d’onnipotenza con cui Putin farà oggi i conti.
Tutte le insidie del passaggio a Nord Ovest
Il vertice Una tregua in Ucraina è più nel campo delle possibilità che delle probabilità: questo vertice in Alaska è il gelido passaggio a Nord Ovest di una guerra che dura da tre anni e mezzo e che non finisce domani
Alberto Negri 15/08/2025
Una tregua in Ucraina è più nel campo delle possibilità che delle probabilità: questo vertice in Alaska è il gelido passaggio a Nord Ovest di una guerra che dura da tre anni e mezzo e che non finisce domani. Donald Trump e Vladimir Putin si incontrano oggi.
Ed è la prima volta dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’appuntamento è in una base militare americana, faranno al termine una conferenza stampa congiunta. Ma nessun documento finale.
A Trump piace giocare in casa: il summit con Ursula von der Leyen sui dazi si è svolto in una sua proprietà privata in Scozia ed è stato siglato sotto la minaccia di ritirare l’ombrello protettivo americano dell’Europa. L’incontro di Anchorage in terra americana (un tempo Russia zarista) è stato preceduto da quello a Mosca tra il suo inviato speciale, l’immobiliarista Witkoff e il russo Kirili Dmitriev, capo del fondo per gli investimenti esteri.
La dottrina Trump la conosciamo: prima di tutto gli affari, a beneficio degli Usa ma anche personale. Al punto da consentire a Netanyahu il genocidio e la deportazione dei palestinesi a Gaza pur di realizzare il suo demenziale progetto “Riviera”. C’è da chiedersi se a Zelensky e agli europei qualche volta non fischino le orecchie. Trump, inoltre, evoca sempre lo scambio di territori: ma l’Ucraina cosa ha da scambiare?
La posta in gioco è alta. Quale potrà essere l’esito? Kiev e i suoi alleati europei sono scettici. E hanno delle ragioni per esserlo. Nella videoconferenza di giovedì Trump avrebbe accolto le due richieste di Zelensky e dei leader europei. Primo: saranno gli ucraini a decidere sul destino dei loro territori occupati. Secondo: gli americani sono disponibili a fornire, insieme agli europei, le garanzie di sicurezza per mettere l’Ucraina al riparo da attacchi futuri. Principi validi ma tutti da verificare nei fatti.
Trump è attendista, anche se minaccia Mosca di «severe conseguenze» che per il momento non nomina: in occasione del vertice ha spostato più avanti le sanzioni minacciate a Mosca, lasciando che i funzionari russi in Alaska usino liberamente le loro carte di credito «per fare acquisti da noi». Putin, alla vigilia, è stato inflessibile e la sua diplomazia non ha lasciato spiragli sulla rinuncia alla conquista del 20% del territorio ucraino ma ieri si pronunciato elogiando Trump «per i suoi sforzi energici» e parlando di possibili nuovi accordi sul controllo delle armi strategiche nucleari, che potrebbero garantire «la pace in tutto il mondo».
Lo zar ha diversi motivi per rallegrarsi di questo vertice, il primo con gli Usa dal 2018. Esce dall’isolamento diplomatico in cui lo aveva confinato il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, come del resto l’israeliano Netanyahu. Per altro Usa, Russia e Israele non riconoscono la Corte: altro esempio negativo di diritto internazionale alla deriva.
Putin dunque viene trattato come il leader di una grande potenza, alla pari con gli Stati uniti. È riuscito – per ora – a tenere alla larga il presidente ucraino, Zelensky, che ha incontrato una sola volta nel 2019 a Parigi e di cui conserva un pessimo ricordo. E se anche ci sarà una tregua somiglierà al congelamento di una linea del fronte in stile coreano, che dal 1953 separa le due Coree senza un trattato di pace definitivo.
Comunque vadano le cose, i due leader cercheranno di mostrarsi soddisfatti, anche se sono molte le incognite di questo summit per formulare previsioni affidabili. Ciascuno dei due porta a casa una sorta di vittoria simbolica. Putin è soddisfatto, almeno per ora, della gestione bilaterale, russo-americana, della crisi ucraina e vede riconosciuto lo status di presunta grande potenza della Russia. Trump ostenterà come sempre il suo ruolo di mediatore e leader indispensabile, relegando sia gli europei che Zelensky in seconda fila. Un risultato lo ha già ottenuto mettendo sotto pressione gli europei per aumentare il loro impegno a sostegno di Kiev: ormai l’Europa ha decisamente sorpassato gli Usa nello stanziamento di fondi militari e civili a Kiev. Quanto a Zelensky, che ieri ha incontrato Starmer a Londra, è confinato al ruolo di un questuante che, a partire dall’accordo sullo sfruttamento delle risorse minerarie, è costretto a cedere a tutte le richieste americane.
Come pro memoria è utile ricordare che affrontando la questione ucraina il giorno dopo la sua elezione, il presidente americano ha fatto significative concessioni a Mosca, come l’abbandono dei piani di integrazione dell’Ucraina nella Nato e il riconoscimento formale della Crimea come territorio russo. Otto mesi dopo il Cremlino mantiene le sue rivendicazioni territoriali su cinque regioni del suo vicino e intende ancora imporre restrizioni a Kiev in termini di garanzie di sicurezza. E intanto i due parleranno anche di affari, delle spartizione dell’Artico, dell’accordo tra Usa, Armenia e Azerbaijan in Caucaso, della Cina ovviamente, che a Mosca ha sostituito l’Europa come partner commerciale, di un mondo che vede in questo summit un’opportunità ma forse anche una trappola. Il passaggio a Nord Ovest è sempre stato pieno di insidie.
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