POLITICA E CULTURA, UN DIALOGO DA RICOSTRUIRE DA il manifesto
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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POLITICA E CULTURA, UN DIALOGO DA RICOSTRUIRE DA il manifesto

Politica e cultura, un dialogo da ricostruire

L’appello Carlo Trigilia e Nadia Urbinati hanno inviato alla segretaria del Pd Elly Schlein una lettera aperta, ponendole una questione di non poco conto: «perché il suo impegno per il rinnovamento del Pd non si è accompagnato finora alla riattivazione del circuito tra politica e cultura?»

Antonio Floridia  28/06/2025

Gli eventi che stiamo vivendo mettono a dura prova gli schemi interpretativi che ci hanno a lungo accompagnato, e ce ne fanno percepire l’inadeguatezza: i processi reali ci sfuggono da tutte le parti e le categorie che usiamo si logorano nello spazio di un mattino. Ed è la politica, anche quella sorretta dalle migliori intenzioni, che sbanda paurosamente. Specie ora, quando ci troviamo in uno stato di emergenza, e limitandoci alla sinistra italiana, si comprendono i guasti profondi che sono derivati dalla dismissione di tutte le strutture e i canali che collegavano stabilmente elaborazione politica e produzione intellettuale. Per dire, i più giovani forse non lo sanno, ma il Pci aveva anche il Cespi (Centro di studi di politica internazionale): con i partiti di oggi, questa sembra una cosa inimmaginabile.

In compenso – per restare al tema – oggi proliferano think tank e Fondazioni, che nel migliore dei casi cercano di offrire elementi di analisi, ma che non sembra – almeno visto dall’esterno – stringano una qualche relazione stabile con la politica, creando sedi in cui la politica possa fermarsi a riflettere e a irrobustire il quadro teorico e conoscitivo che dovrebbe sorreggere il suo discorso: il mercato degli esperti è florido, ma la politica è in grado di discernere il grano dal loglio?

Più in generale, il tema del rapporto tra politica e cultura è uscito dai radar della politica, e anche per questo merita di essere ripresa, anche se caduta in un momento poco propizio, una lettera aperta che Carlo Trigilia e Nadia Urbinati hanno inviato alla segretaria del Pd Elly Schlein, ponendole una questione di non poco conto: «perché il suo impegno per il rinnovamento del Pd non si è accompagnato finora alla riattivazione del circuito tra politica e cultura?».

Trigilia e Urbinati segnalano un grave problema, che anche su queste colonne varie volte abbiamo sollevato: non basta una sequenza di obiettivi programmatici (in sé tutti meritori) a trasmettere il senso di un disegno complessivo ispirato ai principi di un “riformismo radicale”. Una serie di proposte e di temi programmatici ha bisogno di essere legata, come scrivono gli autori della lettera, ad «un quadro di analisi che metta meglio a fuoco le ragioni del declino della sinistra e dia il senso di una diversa concezione delle relazioni economiche e sociali e delle condizioni di serio pericolo nelle quali si trovano le democrazie».

Hanno ragione, e si potrebbero moltiplicare gli esempi: una visione d’assieme è necessaria anche ai fini dell’efficacia del messaggio su una singola proposta. Per poter essere efficace, una politica deve mobilitare gli interessi che ne possono beneficiare e circoscrivere gli interessi colpiti. Deve far vedere i benefici per i molti, e i costi per i pochi. Una singola proposta, se isolata, magari parla ad un segmento di società, ma rimane muta agli occhi di tutti gli altri, che non trovano ragioni per mobilitarsi. La nuova “promessa” di cui parlano Trigilia e Urbinati non può che essere allora quella di un discorso pubblico unitario e unificante, che indichi grandi obiettivi di riforma del nostro paese, per salvarlo da un declino da tempo già in corso.

E la “radicalità” della proposta può benissimo combinarsi con una solida proposta di governo, può essere presentata con tutto il corredo necessario di saperi scientifici, che non sono certo l’esclusiva di una tecnocrazia solo in apparenza “depoliticizzata”. E questo, per restare ai temi dell’oggi, vale anche per la politica internazionale.

Per tutto questo, per la creazione di quel “quadro di analisi” e di questa visione, un nuovo rapporto tra politica e cultura è essenziale; ma qui il terreno si fa scivoloso. Hanno ragione Trigilia e Urbinati: tutto un vasto mondo di competenze ed esperienze può e deve essere mobilitato per delineare questo progetto di rinnovamento della società italiana. Perché questo non accade e rischia di non accadere? Ovviamente non si rimedia attrezzando singole occasioni (convegni, seminari, o altro) in cui la “cultura” interloquisca con la “politica”. La questione è ben più complicata e richiama il tema dell’identità e della cultura politica del Pd, l’assenza in questo partito (e certo non da oggi, questo va sottolineato) di canali e strumenti di elaborazione intellettuale che lo aiutino a chiarirsi le idee su tutte le questioni più controverse e spinose che rimangono spesso irrisolte, e che sono poi quelle che quotidianamente offuscano la coerenza del partito agli occhi dell’opinione pubblica.

Per questo ritengo che la sacrosanta esigenza posta da Trigilia e Urbinati, riattivare il dialogo tra politica e cultura, possa avvenire solo all’interno di un percorso (lo si chiami come si vuole, ma concentrato sui temi programmatici più urgenti) che deve essere di rango e di portata congressuale, direi anche con la necessaria solennità. È solo dentro questo percorso che possono essere valorizzate competenze ed esperienze, saperi e conoscenze. E ci pare questo anche il solo modo, come scrivono Trigilia e Urbinati, per «uscire dalla logorante guerra di trincea interna al partito», una guerra che rischia di compromettere seriamente il ruolo che il Pd deve svolgere come asse di un’alternativa alla destra.

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