ATTUALITÀ DEL SOCIALISMO da VOLERELALUNA
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ATTUALITÀ DEL SOCIALISMO da VOLERELALUNA

Attualità del socialismo

19-11-2025 – di: Gaetano Lamanna

Meritoriamente Piero Bevilacqua cerca di riannodare i fili di una discussione sulla crisi della sinistra e ricondurla alle sue cause di fondo, individuate da lui nella concomitanza di tre fattori: la globalizzazione capitalisticail crollo dell’Unione Sovieticala forza dirompente del pensiero liberista (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/11/04/le-condizioni-per-tornare-a-parlare-di-socialismo/ ).

Non c’è dubbio che il neoliberalismo, conquistando circoli accademici e leader politici di ogni tendenza, abbia avuto un peso nel grave indebolimento della sinistra italiana ed europea. C’è da aggiungere che l’impatto del liberismo sul funzionamento della democrazia, sui rapporti sociali e sul sistema dei valori, per quanto ci riguarda, sarebbe stato certamente meno devastante se gli epigoni del Pci, accecati dal nuovo verbo sulla via di Damasco, non avessero operato un taglio netto con il proprio passato, con il pensiero marxista e con il patrimonio di idee e di lotta del movimento operaio italiano.

Per quanto riguarda il “socialismo reale” e gli effetti della sua caduta sui rapporti di forza tra Occidente e Oriente, su cui giustamente riflette Bevilacqua, si è preferito chiudere la pratica gettando via il bambino con l’acqua sporca. Della Rivoluzione del 1917, la prima a porsi l’obiettivo della transizione dal capitalismo al socialismo, è rimasto solo un cumulo di errori e di misfatti da cui prendere le distanze. Sono stati dimenticati il sostegno politico e organizzativo al movimento operaio internazionale e l’impulso alla lotta di liberazione dei popoli dal colonialismo. La vicenda storica del “socialismo in un solo paese” e le speranze di un cambiamento radicale, suscitate in tutto il mondo, sono state liquidate alla stregua di una cosa di cui vergognarsi. C’era fretta di separare il proprio destino da quello che i media occidentali presentavano come un clamoroso fallimento. Le cause vere della crisi in cui ci dibattiamo derivano, dunque, in grande misura, dal pensiero unico liberista in economia e dal concomitante declino politico-organizzativo dell’intellettuale collettivo, come Gramsci definiva il partito. Ansioso di entrare nella “stanza dei bottoni”, il gruppo dirigente dell’ex Pci ne ha cambiato nome e fisionomia, decretando la “fine delle ideologie”, salvo abbracciare acriticamente l’unica rimasta su piazza: l’ideologia liberista.

La forza più rappresentativa della sinistra si è ritagliata la modesta funzione di limitare e correggere gli eccessi o i fallimenti del capitalismo. La riflessione dovrebbe ripartire da qui. Dalla svolta della Bolognina in poi abbiamo assistito al progressivo smarrimento della prospettiva socialista. La parola stessa «socialismo» è diventato un tabù (https://volerelaluna.it/che-fare/2025/11/11/non-si-supera-il-capitalismo-senza-un-progetto-di-governo-del-sistema-economico/). D’emblée i comunisti italiani sono diventati di «sinistra… ma liberali» per poi raggiungere rapidamente la sponda dei «liberali… ma di sinistra». Da allora il liberalismo è diventato così egemonico da far suonare la sua musica a molti ex dirigenti del Pci, alcuni dei quali hanno cambiato casacca o sono sbarcati nel mondo degli affari e dello spettacolo. Lo scivolamento ideologico verso il pensiero liberale ha indotto alla conclusione (fallace) che – a differenza del socialismo reale – il capitalismo fosse riformabile sul piano sociale e desse maggiori garanzie sul piano della democrazia e della libertà. Da quel momento la tendenza di fondo è stata quella di relegare, quanto più possibile, le problematiche dell’uomo che pensa e agisce insieme agli altri per migliorare la propria condizione di vita a questioni attinenti alla sfera del singolo individuo. Le vertenze collettive (sulla casa, per esempio) sono regredite a problemi, spesso a drammi, individuali. Perché stupirsi che una sinistra autoreferenziale, convertitasi all’economia di mercato capitalista, favorevole ad abbassare le imposte sul reddito d’impresa, senza un progetto di cambiamento credibile, non sia stata attrattiva e anzi abbia collezionato una serie di sconfitte?

La crisi della globalizzazione è palese nel governo dell’economia e nel rapporto tra gli Stati. Quello che avviene nell’America di Trump – la caccia ai migranti e la loro deportazione, l’attacco alla libertà d’insegnamento, di ricerca e d’informazione, la repressione del dissenso e l’assalto allo Stato di diritto – o quello che succede a Gaza e in Cisgiordania, con la “soluzione finale” di un intero popolo, interrogano la coscienza europea, mettono in evidenza l’impotenza politica dell’Ue, inducono gli altri popoli a diffidare della cosiddetta “civiltà occidentale”. Forse c’è da chiedersi allora se l’alternativa allo stato delle cose non vada costruita andando alla radice dei problemi, ripartendo dalle cause strutturali della crisi globale. La posta in gioco dei teatri di guerra è il dominio commerciale e tecnologico. Diventa sempre più aspro lo scontro tra le grandi potenze (Usa, Cina, Russia) per l’accaparramento di materie prime e terre rare e per il controllo delle risorse naturali nascoste nei sottosuoli e nella profondità degli oceani. La competizione tra i paesi e tra le diverse aree del mondo avviene su questo terreno.

Le élite al potere rendono espliciti, giorno dopo giorno, una politica e un linguaggio autoritari e guerrafondai. E, comunque, nei loro paesi non hanno altre ricette da proporre che non siano le politiche liberiste, presentate come la panacea di tutti mali, sebbene abbiano creato più problemi di quanti ne abbiano risolti. Nessuna presa di coscienza sul fatto che l’aumento della ricchezza globale, spinta dalla tecnologia, anziché attenuare, abbia accresciuto le disparità sociali e i divari territoriali, spargendo benzina sulle controversie etniche, razziali e religiose. L’ordine globale capitalista si sta rovesciando nel suo contrario, in un caos globale. Così, nell’illusione di deglobalizzare l’economia e riportare le industrie sul territorio nazionale, si ritorna alla politica dei dazi e si alimentano tensioni e conflitti. Una cosa è certa: la libera iniziativa economica e il libero scambio, due pilastri dell’ideologia liberale dell’ultimo mezzo secolo, hanno dichiarato forfait e investimenti per centinaia di miliardi di euro in armamenti vengono decisi in sede Nato, agitando l’emergenza del nemico alle porte dell’Europa. Se l’economia globale è nel caos e, ogni giorno che passa, il rischio di una guerra mondiale diventa concreto, forse l’errore consiste nel parlare genericamente di economia, di finanza, di tecnologia, non di capitalismo. Sarebbe il caso allora di uscire da una bolla ideologica che ci impedisce di comprendere la realtà che ci circonda e ci fa vivere nell’illusione che regolare i conti con la Russia o con la Cina e la crescita economica siano sufficienti a vincere le grandi sfide del nostro tempo. Il punto è che il pensiero liberista – incardinato saldamente alla “la legge del più forte” – impedisce alla politica di allungare lo sguardo oltre i confini dell’attuale modello di sviluppo: nasconde il rapporto diretto, di causa-effetto, tra sviluppo capitalistico e le emergenze che ci affliggono; fa da schermo alla crisi di civiltà che ci investe; dissimula la distanza che separa le promesse di prosperità e di benessere da un’azione di governo a senso unico, pro-impresa, pro-ricchi.

A questo punto è necessario che la sinistra italiana superi quel blocco psicologico e politico che le impedisce di pronunciare le parole socialismo e comunismo, rimosse dal suo vocabolario. L’alternativa politica si costruisce anche riscoprendo l’attualità di parole che mantengono un significato profondo e che, nell’Ottocento e nel Novecento, hanno segnato l’identità di milioni di persone, convinte che valesse la pena impegnare la vita per ideali di libertà e di giustizia sociale. La dissociazione tra libertà e uguaglianza può essere superata affilando le armi della critica al modello sociale capitalistico. E per fermare la china autoritaria e antidemocratica, l’ascesa dei nazionalismi, il degrado della democrazia, il ritorno dell’odio razziale, serve una sinistra che superi le divisioni interne e recuperi capacità strategica e tattica. Debolezza e ritardi culturali e politici della sinistra sono parte fondamentale del problema perché spingono al disimpegno e alla sfiducia le fasce sociali deboli. E regalano alla destra l’agio di ergersi a paladina della sicurezza dei ceti piccolo-borghesi, timorosi di perdere il loro status, nonché l’opportunità di farsi interprete di un neofascismo che, a seconda delle convenienze, fa un uso spregiudicato sia della legalità che dell’illegalità, per nulla impacciata da principi morali e da incoerenze politiche.

Riabilitare l’idea del socialismo, in questo contesto, significa dare la giusta considerazione ai bisogni e alle aspirazioni delle classi più disagiate e sfruttate; significa anche garantire gli interessi privati (e patrimoniali) di imprenditori e cittadini, ma dentro un quadro democratico-istituzionale in cui sia impossibile, come ora, prevaricare l’interesse collettivo e il bene comune. Il socialismo è prima di tutto una visione del mondo (Weltanschauung), che si concentra sulla rimozione degli ostacoli che si frappongono al progresso umano e individuale. Come sottolinea David Harvey, «Marx evidenzia sempre che è il libero sviluppo dell’individuo a dover essere il punto di arrivo di ciò verso cui si indirizza l’azione collettiva. […] Marx vuole la mobilitazione collettiva per ottenere la libertà individuale». (D. Harvey, Cronache anticapitaliste, Milano, 2018, p. 213).

A differenza del liberalismo, che si limita a proclamare il diritto alla felicità dell’individuo, lasciandolo in pratica in balìa del mercato e quindi appannaggio di pochi, il marxismo pone i problemi della libertà e della felicità individuale in una dimensione collettiva, che richiede organizzazioneformazionecostruzione del consensolotte, movimenti di massa finalizzati al raggiungimento degli obiettivi sociali e civili. Una cosa è affermare che è possibile vivere diversamente, magari rimandando il momento al “regno dei cieli”, altra cosa è dire come fare nelle condizioni date, in che modo, qui e ora, mobilitare e organizzare le persone per conquistare un maggiore benessere. Il socialismo si concentra appunto sulle condizioni migliori da creare per soddisfare i bisogni di tutti, consentendo a ognuno di esprimere le proprie capacità e realizzare le proprie aspirazioni. Solo col conflitto sociale e di classe gli ideali scendono dal cielo dell’utopia, si calano nella realtà e trovano le gambe per camminare.

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