PROGRESSISTI, ALLA LARGA DALLE PREDICHE CENTRISTE da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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PROGRESSISTI, ALLA LARGA DALLE PREDICHE CENTRISTE da IL FATTO e IL MANIFESTO

Progressisti, alla larga dalle prediche centriste

gian Giacomo Migone  15 Ottobre 2025

In questi giorni festeggiamo il cessate il fuoco a Gaza, la liberazione di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, l’invio di aiuti medici e alimentari, nella speranza che non vengano meno i diritti del popolo della Palestina riconosciuti a livello internazionale.

Tuttavia, molti anni fa, Tip O’Neill, allora presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, spiegava che la politica, quella elettorale, è sempre locale, anche quando chiama in causa equilibri e valori universali.

Anche in questi giorni, così densi di eventi almeno apparentemente storici, protagonisti quali Trump e Netanyahu lo ricordano, mentre altri, per esempio i loro colleghi europei, lo dimenticano a loro rischio e pericolo.

La spiegazione è semplice. In Italia come negli Stati Uniti. Dal momento in cui la maggioranza, relativa o assoluta (come, ad esempio in Calabria e, ora, in Toscana) non va a votare perché indifferente all’esito elettorale, cambia la politica. Non vince più chi conquista il voto di incerti, moderati e centristi, bensì chi motiva al voto il maggior numero di tendenziali astensionisti, i quali ritengono che oggi la partita non tocca i loro interessi e/o valori. Insomma, lo scontro politico si radicalizza. Chi lo intuisce vince, chi non è capace, non può o non vuole capirlo, resta con il cerino in mano.

Negli Stati Uniti vince Trump perché, al di là dei suoi successi di fronte allo Knesset e a Sharm el Sheikh, motiva al voto il maggior numero di persone, alla destra del suo partito, quello repubblicano, che altrimenti non andrebbe a votare.

Hillary Clinton e Kamala Harris perdono perché non votano coloro che sono e restano poveri, o diventano sempre meno ricchi, in un mondo dove la ricchezza è detenuta dall’1 per cento della popolazione, così come non si recano alle urne nemmeno coloro che s’indignano per la politica estera di un impero in declino. Il tifo dei grandi media, come il controllo moderato del Partito democratico, ottiene il risultato opposto a quello asserito, né sono sufficienti i voti dei fedelissimi alla bandiera di partito.

Per fortuna esistono degli antidoti al disegno di Trump di eliminare quanto esiste di democratico nel suo paese. Giudici, Internet, una piccolissima parte della stampa, Mamdani, Bernie Sanders. Forse un giorno i bianchi poveri, oggi sedotti dalla retorica fascitoide di Trump, si accorgeranno che si tratta dell’ennesimo riccone che fa i propri interessi. Ma ciò avverrà soltanto quando candidati e argomenti acconci spingeranno altri astensionisti al voto.

In Italia è uguale o quasi. Finché è soprattutto la destra, per quanto litigiosa al proprio interno, a pescare voti nella marea degli astensionisti (il 56,9 per cento in Calabria, il 52,2 in Toscana), in continuo aumento, Schlein, o chi per essa, non caverà un ragno dal buco. L’appello all’unità di Pd, Movimento 5 Stelle e Avs è sacrosanto, ma non è sufficiente. Né basteranno i fedelissimi delle ditte, ora in Toscana, Emilia Romagna, Puglia a sconfiggere i fascistoidi di casa nostra, né tantomeno i Graziano Delrio che addirittura invocano i nostalgici di De Gasperi.

La stessa segretaria del Pd Elly Schlein, come il suo predecessore Enrico Letta, continua a preoccuparsi dell’unità del partito esistente, non rendendosi conto che alcuni addii porterebbero voti.

I Guerini, Picierno, Quartapelle e altri (ex) renziani hanno diritto di esistere, in democrazia, ci mancherebbe. Ma per proprio conto, perché quanto sostengono costituisce un ostacolo non indifferente alla partecipazione al voto di buona parte di milioni di manifestanti e tanti altri che chiedono pane, pace e libertà. E che domandano eletti con il chiaro intento di spostare ricchezza dai più ai meno abbienti, salvaguardare la sanità pubblica per tutti (dando retta a Rosy Bindi), non incrementare la spesa militare secondo ricette Trump-Von der Leyen, riscoprire l’Europa, ma quella di Ventotene (un grazie a Meloni che ce l’ha ricordata).

In altre parole, per vincere occorre prescindere dalle prediche interessate sul superamento della differenza tra destra e sinistra. Perché quest’ultima vinca deve rammentare la lezione di Norberto Bobbio: eguaglianza come prima condizione di libertà.

Con un ultimo suggerimento agli anziani che ancora comprano i giornaloni: leggere sempre i Panebianco, i Galli della Loggia, i Folli, per poi fare il contrario. Sempre per motivare al voto.

Un paese in povertà: 5 milioni di famiglie faticano a mangiare

I dati Istat e di Caritas – Migrantes Aumentano minori e stranieri in difficoltà. Tra le cause principali spese per l’affitto e sfratti

Luciana Cimino  15/10/2025

La povertà in Italia è diventata strutturale. E ci sono scivolati dentro operai, bambini, persone di origine straniera e donne. Non c’è nessun miglioramento nei dati dell’apposito rapporto Istat usciti ieri, al contrario c’è la certificazione di una condizione critica per 5 milioni di famiglie che hanno difficoltà ad affrontare il quotidiano. Di queste 2,2 sono in povertà assoluta (la condizione di chi non può permettersi una spesa mensile sufficiente per acquistare beni e servizi essenziali, come cibo, vestiti e alloggio) per un totale di 5,7 milioni di individui, 2,8 milioni di famiglie sono in povertà relativa (mancanza di risorse necessarie a mantenere lo standard di vita medio della società in cui si vive e in cui basta una spesa imprevista per mandare all’aria il bilancio familiare). L’Istat certifica anche le differenze territoriali: l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si mantiene più alta nel Mezzogiorno (dove coinvolge oltre 886 mila famiglie, 10,5%) anche se le percentuali sono in salita anche al Nord-ovest (8,1%) e Nord-est (7,6%).

I NUMERI DEL 2024 sono sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente, a conferma di una situazione ormai strutturata, che non ha avuto il minimo sollievo dagli strumenti messi in atto dal governo Meloni come l’assegno di inclusione. Visti nel dettaglio, però, i dati Istat rivelano anche che ad essere aumentate sono le quote relative alle famiglie di origine straniera o con minori. Sono 1,283 milioni i bambini e adolescenti in povertà, il dato assoluto più alto da quando sono iniziate queste rilevazioni, nel 2014.

I DATI RILEVANO anche un paese in cui chi arriva è destinato alla marginalità: l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è pari al 30,4% e sale al 35,2% nelle famiglie composte esclusivamente da stranieri, mentre scende al 6,2% per le famiglie composte solamente da italiani. Il rapporto della Caritas e della fondazione Migrantes, presentato ieri, conferma questo quadro: gli stranieri hanno occupazioni meno pagate, più precarie e sono più a rischio di sfruttamento lavorativo degli italiani, soprattutto in alcuni settori come l’edilizia e l’agricoltura. «Investire in strategie di inclusione e in percorsi legali – ha detto Carlo Maria Redaelli, presidente di Caritas Italiana – non è un favore, ma un atto di responsabilità verso il futuro delle nostre comunità: si può e si deve fare meglio di quanto fatto finora».

L’ISTAT CERTIFICA ANCHE che la condizione di indigenza non è più legata alla disoccupazione: aumenta al 9,5% nella fascia dell’età produttiva, è cioè in quella degli adulti tra i 35 e i 64 anni ed è al 15,6% per le famiglie con un operaio o assimilato come persona di riferimento (contro il 2,9% delle famiglie che fanno capo a un dirigente, quadro o impiegato).

A GIOCARE UN RUOLO fondamentale in queste cifre sono le spese per l’abitazione: il 32,3% delle famiglie in affitto è sotto la soglia di povertà assoluta, contro il 6,1% di quelle che hanno una casa di proprietà. Le persone senza casa sono 96 mila, principalmente nelle grandi città. Anche Caritas e Migrantes sottolineano le «forti discriminazioni e barriere di accesso alla casa per le famiglie straniere». «La povertà economica spesso si unisce a malattia, difficoltà scolastiche ed emergenza abitativa – ha commentato Massimiliano Signifredi della comunità di Sant’Egidio – In Italia la povertà abitativa è quella più allarmante l’aumento gli sfratti in tutto il paese è drammatico».

«LA POVERTÀ ASSOLUTA è diventata ormai una condizione diffusa e sempre più strutturale e certifica le pesanti e crescenti disuguaglianze nel nostro Paese. Ma il governo – ha commentato la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi – ha cancellato il reddito di cittadinanza e introdotto uno strumento profondamente ingiusto, l’assegno d’inclusione e ha azzerato le risorse per il disagio abitativo: serve un ripensamento delle politiche di contrasto della povertà, a partire dalla legge di bilancio». Incalza il governo anche l’opposizione, chiedendo misure urgenti per adeguare gli stipendi all’inflazione, di aumentare l’assegno unico e di introdurre del salario minimo. «Il paese reale è molto diverso da quello raccontato da Meloni», ha affermato Peppe De Cristofaro di Avs.

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