NELLA LIBERTÀ DELLA PALESTINA IN GIOCO ANCHE LA NOSTRA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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NELLA LIBERTÀ DELLA PALESTINA IN GIOCO ANCHE LA NOSTRA da IL MANIFESTO

Nella libertà della Palestina in gioco anche la nostra

Opinione L’entusiasmo con cui è seguita la missione della flottiglia che ha tentato di forzare il blocco navale di Gaza esprime la reazione morale a un senso di impotenza dilaniante. I progetti tecnocratici e oligarchici per il futuro della Striscia ci dicono che non si tratta solo della liberazione di un popolo, ma del futuro stesso della democrazia. E ci riguarda

Mario Ricciardi  04/10/2025

«Ciò che definì la nostra rivolta fu la scelta dei compagni». Con queste parole, Ignazio Silone spiegava, nel 1954, la sua adesione al socialismo. Non era stata «la meditazione filosofica o la persuasione scientifica» a spingerlo ad aderire, diciassettenne, al partito che difendeva le istanze di emancipazione della classe operaia, ma una consapevolezza, maturata sin dai primi anni dell’adolescenza. Quella delle condizioni umilianti in cui erano costretti a vivere i braccianti della valle del Fucino.

Oggi viviamo in un mondo molto diverso da quello in cui era cresciuto Silone. Per i ragazzi e le ragazze che ieri hanno riempito le strade e le piazze italiane Gaza è dentro l’orizzonte di una comunità umana i cui confini non sono quelli del borgo o della città in cui vivono. L’accesso alle immagini, e la conoscenza delle lingue, ha reso le generazioni nate nel nuovo secolo capaci di estendere la propria simpatia umana oltre i limiti della comunità nazionale di origine.

AD ANIMARE il moto spontaneo che ha portato tanti giovani a manifestare la propria solidarietà al popolo palestinese e ai disobbedienti non violenti che hanno messo i propri corpi sulla linea del fuoco per forzare il blocco navale imposto dalla marina israeliana non è stata una teoria o un’ideologia politica, ma la semplice capacità di riconoscere la comune umanità nei volti di persone martoriate da una guerra spietata. La disponibilità che essi hanno mostrato negli ultimi mesi a sfidare il giudizio dei cinici e la repressione voluta dai governi ha messo in moto una valanga di indignazione e di protesta che ieri ha scosso anche moltissimi che fino a ora si erano tenuti in disparte evitando di prendere posizione.

La manifestazione di ieri ha reso evidente il solco sempre più profondo che il massacro in corso a Gaza sta scavando tra una parte consistente della popolazione, non solo nel nostro paese, e le classi dirigenti asfittiche di democrazie in crisi profonda. La stizza con cui tanti – i partiti e i vertici di governo, la stampa che li fiancheggia, e l’opinione pubblica che li sostiene – hanno reagito al successo senza precedenti di uno sciopero generale organizzato in poche ore è il sintomo lampante di uno scollamento che sta diventando una vera e propria crisi di rappresentanza. L’entusiasmo con cui nei giorni scorsi è stata seguita la missione della flottiglia che ha tentato di forzare il blocco navale di Gaza è stato la reazione morale a un senso di impotenza dilaniante. Un collettivo sospiro di sollievo ha gonfiato le vele dei disobbedienti accompagnando le imbarcazioni nel tratto finale del viaggio. La mobilitazione non si ferma. Ci saranno nuove manifestazioni, e altre spedizioni di disobbedienti si preparano a salpare per portare la propria testimonianza in Palestina.

LA SFIDA POLITICA, che non riguarda solo partiti di opposizione e sindacati, ma chiunque sia in grado di dare il proprio contributo, piccolo o grande che sia, per alimentare la corrente della solidarietà, è quella di dare sempre maggiore stabilità e robustezza organizzativa al movimento che sta nascendo. Aiutando una generazione che è a digiuno di politica a darsi un metodo e degli obiettivi, e dando una scossa a chi è intorpidito da decenni di egemonia di una visione della società che ha fiaccato il senso di solidarietà e l’immaginazione di un futuro più equo.

Quello che sta accadendo in molti paesi europei e negli Stati uniti porta alla luce l’influenza che grandi interessi economici organizzati hanno sui maggiori partiti politici, non solo a destra, e su buona parte del sistema dell’informazione e della comunicazione.

UN FENOMENO che ormai ha i tratti della cattura dei regimi democratici da parte di oligarchi che stanno progressivamente ricavando per sé, e per i propri cortigiani, uno spazio di privilegio che li mette al riparo dalle obbligazioni e dai doveri cui sono sottoposti i comuni cittadini. In una società «capitalistica selvaggia», come scriveva Norberto Bobbio, «la sovranità del cittadino è limitata dal fatto che le grandi decisioni che riguardano lo sviluppo economico o non arrivano agli organi rappresentativi o se arrivano vi arrivano prese in altra sede, in una sede in cui la stragrande maggioranza dei cittadini sovrani non ha voce in capitolo».

Ciò che sta venendo alla luce riguardo ai progetti per il futuro di Gaza conferma l’osservazione di Bobbio, e spiega perché le manifestazioni di questi giorni hanno tanti nemici e detrattori. Ciò che è in gioco in Palestina non è soltanto la libertà di un popolo, ma è il futuro stesso della democrazia anche in quei paesi, come l’Italia, dove essa ancora, a fatica, sopravvive.

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