LA GUERRA È MERDA, DOLORE E AFFARI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA GUERRA È MERDA, DOLORE E AFFARI da IL FATTO

La guerra è merda, dolore e affari

Pino Corrias  16 Ottobre 2025

“Ogni cannone fabbricato, ogni nave da guerra, ogni razzo, equivale a un furto ai danni di chi ha fame e non viene nutrito, di chi ha freddo e non viene vestito”

Per quarant’anni, Jacques Charmelot – francese nell’altro secolo, romano d’adozione in questo – si è portato la vita in spalla dentro a tutte le guerre del mondo per raccontarle con l’inchiostro del reporter.

Ha scoperto due cose nel suo viaggio al termine della nostra notte, passando dall’Africa ai Balcani, dall’Afghanistan al Medio Oriente: che la guerra è una sola, sempre la stessa. Cataste di morte, spavento, rovina, pianto. E che è sempre identico anche il suo odore nauseabondo dei corpi vivi e di quelli macellati nelle trincee, nelle buche delle esplosioni, sui campi di battaglia, e lungo le baracche e le latrine nelle retrovie infestate dalle malattie dei corpi e quelle dell’anima. Ed è nauseante pure il cinismo con cui le guerre vengono maneggiate dalle élite degli eserciti, dai titolari del potere, delle ideologie, dei fatturati, dei media, mettendo in campo un dio e una bandiera contro il dio e la bandiera di un nemico, la menzogna di un torto o quella di una vendetta, ma sempre per spartirsi, alla fine del massacro, il potere della vittoria e gli affari della ricostruzione, perpetuando il diritto di uccidersi fino all’ultimo uomo sul campo, all’ultimo ideale da imbracciare.

La propaganda racconta le marce colorate delle belle uniformi in fila, le fanfare, il patriottismo, le vittorie. Ma non è l’eroismo la trama di cui è fatta la guerra, ma il brulicare dei parassiti sui combattenti e sui civili in fuga, la nausea, il vomito, la diarrea che colpiscono i soldati, le spaventose infezioni che li sfigurano. E poi l’odore.

La rivelazione, per Jacques Charmelot che è stato corrispondente di guerra di France Press, l’agenzia che ancora oggi ha sedi e redazioni in 150 Paesi nel mondo, è iniziata tanto tempo fa, nel 1983, un ospedale senza luce di notte, pieno di spazzatura e topi e lamenti e singhiozzi umani, costruito nel cuore nero dell’Africa, in Ciad, proprio sopra il proprio specchio capovolto: la fossa che raccoglie il sangue e la merda dei feriti, gli scarti dei corpi, i liquami. L’odore è densità d’aria che brucia gli occhi e la gola. Ma è anche il lampo di una scoperta che si accende, quella che i vivi e i morti, dentro a una guerra, galleggiano insieme su un mare di escrementi, compresi quelli della retorica, degli inganni, delle promesse. L’ospedale, gli spiega uno dei chirurghi militari, nella pausa tra un’amputazione e l’altra, l’hanno costruito in fretta e malamente, non c’è stato il tempo di separarlo dalla sua discarica. Dunque l’uno sull’altra. “Questa immagine non mi ha mai più abbandonato”, scrive Charmelot in questo libro pieno di verità, finalmente, a cominciare dal titolo La guerra è merda, che arriva nel momento più utile (e drammatico) per fare un po’ di chiarezza dentro al buio in cui stiamo precipitando, 52 guerre in corso nel pianeta, il riamo di tutti contro tutti, l’incubo nucleare non più così lontano a minacciare il mondo, le macerie di Gaza a soffocarci con le sue fosse comuni, le macerie dell’Ucraina che crollano di notte in notte, i fuochi che a ondate divorano il Medio Oriente, i suoi forzieri, i suoi arsenali allineanti e pronti a divorare l’ultima tregua che è sempre la penultima. Specialmente oggi nel pieno disordine, anche mentale, della nuova era intitolata a Donald Trump e alla sua America marziale che assedia lo Stato di diritto e in fin dei conti la democrazia residua d’Occidente, con l’invenzione suprematista del nemico interno, l’alibi ossessivo della sicurezza nazionale, la clamorosa crescita delle spese militari, che gli Stati Uniti hanno raddoppiato dai 531 miliardi di dollari del 2000 ai 1.060 miliardi di oggi.

Una corsa al riarmo che è diventata infezione virale anche in Europa, enfatizzando gli allarmi, inventandoli se occorre, per moltiplicare gli investimenti di una difesa che mai come adesso si prepara alla guerra. Le armi, annota Charmelot, “non si moltiplicano solo nei discorsi pubblici, anche nel cemento e nell’acciaio”. Nel solo comparto delle munizioni, la produzione annuale europea è passata in tre anni da 300 mila a 2 milioni di pezzi. E le aree occupate dalle fabbriche di armi – misurate confrontando migliaia di foto satellitari – sono triplicate nello stesso arco di tempo.

Il libro è storia di conflitti e insieme biografia dell’autore. Dopo l’Africa, nel 1985, gli è toccata la sede di Teheran, negli anni finali di Khomeini ma non del khomeinismo, in tempo per raccontare i massacri della guerra con l’Iraq di Saddam Hussein, le ondate dei giovani volontari mandati lungo le sponde dello Shatt el-Arab a sminare i campi coi loro corpi per proteggere il successivo passaggio dei carri armati. Ha incontrato i volontari della rivoluzione islamica, giovani soldati sfigurati, amputati, ciechi, che ancora non avevano perso la fede nella santa guerra. E solo vent’anni dopo gli è toccato registrare la disillusione dei veterani, come in ogni altro teatro di guerra che ha visitato: Beirut, Kabul, Baghdad. Ma specialmente nell’America della Never Ending War dove i veterani sono addirittura 18 milioni, reduci dai Balcani, dalle guerre del Golfo, dalla Libia, dall’Afghanistan, dalla Somalia. Uomini e donne che al 96 per cento – secondo i report medici – soffrono della sindrome da stress post traumatico, depressione, afasia, incubi. Senza contare il prezzo imposto a mogli, mariti, figli, famiglie intere, imprigionate anche loro, come danni collaterali. Perché la guerra è una malattia che non passa. È una droga che dà assuefazione. Ti riempie la vita quando sei al fronte. Te la svuota quando torni ai silenzi di quella civile. Al punto che ti serve altra droga o alcol o psicofarmaci per renderla abitabile.

La guerra è la macchina della follia umana. L’eroismo è l’alibi della crudeltà. L’onore una menzogna. Il resto lo ha detto il vecchio presidente statunitense Dwight D. Eisenhower: “Ogni cannone fabbricato, ogni nave da guerra, ogni razzo, significa un furto ai danni di chi ha fame e non viene nutrito, di chi ha freddo e non viene vestito”. Era il 1953, in piena Guerra fredda. “Questa è l’unica verità plausibile – scrive Charmelot – Farcela dimenticare è il lavoro dei guerrafondai. Ricordarlo è il nostro”.

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