LA DERIVA DEL SISTEMA ECONOMICO E I SUOI COSTI PER L’UMANITÀ INTERA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA DERIVA DEL SISTEMA ECONOMICO E I SUOI COSTI PER L’UMANITÀ INTERA da IL MANIFESTO

La marcia resistente dei 90 Paesi antifossili

Marinella Correggia  27/11/2025

Cop30 La coalizione per la liberazione dei fossili darà seguito all’Accordo di Parigi. Prossima tappa in Colombia. Le altre alleanze nate a Belém per la giustizia climatica

A Belém il multilateralismo è sopravvissuto a stento, nell’attuale clima geopolitico frammentato. Ma proprio in reazione a compromessi, silenzi e misure a metà è emersa, spinta dalla società civile, un’ampia coalizione volontaria fra paesi. Che andrà avanti, insieme alle alleanze tematiche nate negli ultimi anni di negoziati per il clima. Il presidente della Cop30 André Corrêa do Lago ha dichiarato in conclusione: «Questo momento deve essere ricordato non come la fine di una conferenza ma come l’inizio di un decennio di svolta». Certamente, merito di alcuni governi.

LA COLOMBIA, con il ruolo determinante dei piccoli Stati insulari, ha guidato decine di paesi ad aderire alla «Dichiarazione di Belém per l’eliminazione programmata dei combustibili fossili», e ospiterà nell’aprile 2026 la prima conferenza mondiale dedicata a questo obiettivo. Fra i primi firmatari della dichiarazione: Australia, Austria, Belgio, Cambogia, Cile, Colombia, Costa Rica, Danimarca, Figi, Finlandia, Giamaica, Irlanda, Isole Marshall, Kenya, Lussemburgo, Messico, Micronesia, Nepal, Paesi bassi, Panama, Regno unito, Slovenia, Spagna, Vanuatu e Tuvalu.

L’importante percorso attinge all’iniziativa per un «Trattato vincolante di non proliferazione delle fonti fossili», avviata nel 2015 e sostenuta da 17 Stati pionieri, da migliaia di organizzazioni della società civile, da scienziati e da oltre un milione di persone. Per vietare nuovi progetti di estrazione e promuovere una transizione energetica rapida e giusta, in linea con 1,5°C.

DEL RESTO, DI FRONTE ALL’IMPASSE negoziale, a Belém 90 governi di Africa, Asia, America latina ed Europa hanno aderito all’accordo volontario per una tabella di marcia al di fuori del processo Onu, verso l’abbandono dei fossili (Transitioning Away From Fossil Fuels Roadmap – Taff). Il piano comprenderà dialoghi ad alto livello fra governi, società civile, industria; per riferire alla Cop31, in Turchia. La conferenza in Colombia sarà la prima tappa.

ANDRA’ AVANTI in modo volontario anche un piano concreto di azione (Forest and Climate Roadmap) volto a fermare e invertire la deforestazione entro il 2030, obiettivo anch’esso assente nella decisione politica finale, il Mutirão, malgrado la «presenza» dell’Amazzonia e la voce dei popoli indigeni. Il sito della Cop30, inoltre, annuncia che per accelerare l’attuazione dell’accordo di Parigi del 2015, le presidenze di Cop30 e Cop31 sosterranno i paesi anche nel Global Implementation Accelerator, un’iniziativa volontaria relativa all’applicazione dei Piani nazionali di riduzione delle emissioni e dei piani nazionali di adattamento.

NON VA DIMENTICATO IL LAVORO della High Ambition Coalition (Hac). Coordinata dalla Repubblica delle isole Marshall, è nata alla Cop21 (e ricordiamo che anche nel relativo e storico Accordo di Parigi, i combustibili fossili non erano nominati). In questi dieci anni la Hac si è impegnata per il rispetto del limite degli 1,5°C, per la finanza climatica per i paesi del Sud, per seri impegni nazionali di riduzione delle emissioni. E per uscire dai fossili.

LDC E AOSIS: il Gruppo dei 44 paesi meno sviluppati e l’Alleanza dei piccoli Stati insulari, spesso insieme ai G77+Cina, hanno portato avanti alle Cop anche la necessità di moltiplicare le risorse per la finanza e giustizia climatica. E a Belém, insieme al mondo delle Ong, hanno bollato come insufficiente l’impegno ad almeno triplicare i fondi per l’adattamento nei paesi vulnerabili entro il 2035 (fondi che oltretutto rientrano fra i 300 miliardi già decisi alla Cop29). Anche il «Fondo per le perdite e i danni», a favore dei paesi e delle comunità danneggiati da eventi estremi, reso operativo, è però scarsamente finanziato. E rimane un miraggio la Baku to Belém Roadmap to 1.3T, iniziativa per mobilitare 1300 miliardi di dollari l’anno per i paesi in via di sviluppo entro il 2035.

Occorre poi trovare le somme necessarie per il Meccanismo di azione di Belém (Just Transition Mechanism, Jtm), un piano per la transizione energetica all’insegna dell’equità e della protezione dei diritti delle popolazioni, compresi quelli dei lavoratori, delle donne e dei popoli indigeni. Dove attingere dunque, in nome della giustizia climatica e sociale?

TASSE DI SOLIDARIETÀ per tenere insieme azioni per il clima e lo sviluppo: le propone la Global Solidarity Levies Task Force, lanciata due anni fa con la presidenza di Barbados, Francia e Kenya e l’adesione di Stati isola, paesi africani, europei e latinoamericani. Settori da tassare, secondo il rapporto Untapped Potential of Solidarity Levies: A Practical Guide for Governments: combustibili fossili, transazioni finanziarie, criptovalute, trasporto aereo e marittimo. In tale quadro, la Premium Flyers Solidarity Coalition propone una tassa di solidarietà sui passeggeri premium e sui viaggi in jet privati. Aderiscono Benin, Gibuti, Francia, Kenya, Nigeria, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Spagna: osservatori Antigua e Barbuda, Brasile, Fiji e Vanuatu.

RIUNISCE 17 PAESI LA «COFFIS» («Coalizione per l’eliminazione degli incentivi ai fossili»), lanciata alla Cop28 di Dubai per ridirezionare i fondi pubblici. Aderenti: Antigua e Barbuda, Austria, Belgio, Canada, Colombia, Costa Rica, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Repubblica delle isole Marshall, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Paesi bassi (presidenza), Spagna, Svizzera, Regno unito. La Coffis prende in considerazione: la necessità di proteggere le famiglie a basso reddito, la sicurezza energetica nazionale, la disciplina di bilancio, la trasparenza.

SAREBBE UNA STRATEGIA efficace anche il Global Methane Pledge, lanciato alla Cop26 (Glasgow), impegno non vincolante a tagliare del 30% entro il 2030 le emissioni di metano (da attività estrattive, agricoltura, allevamento e rifiuti). Sono 160 i paesi partecipanti fra cui l’Ue. Fuori invece Australia, Cina, India e Russia che ritengono l’obiettivo troppo pesante per le loro economie. Questa strategia efficace va però a rilento, lamenta il Global Methane Status Report 2025 dell’Unep: di questo passo fra 5 anni si arriverà a una riduzione dell’8%.


La deriva del sistema economico e i suoi costi per l’umanità intera

Daniela Passeri  27/11/2025

Documentario È rimasto senza risposta il grido dei Fridays for Future risuonato nelle piazze di mezzo mondo. Ora, tra quei giovani che non hanno smesso di interrogarsi e allarmarsi per la crisi climatica che è al tempo stesso sociale e ambientale, c’è chi è approdato alla domanda più radicale: per chi stiamo facendo crescere quest’economia?

The cost of Growth (Il costo della crescita)

Anuna de Waver e Lena Hartog

È rimasto senza risposta il grido dei Fridays for Future risuonato nelle piazze di mezzo mondo. Ora, tra quei giovani che non hanno smesso di interrogarsi e allarmarsi per la crisi climatica che è al tempo stesso sociale e ambientale, c’è chi è approdato alla domanda più radicale: per chi stiamo facendo crescere quest’economia? E qual è il costo per l’umanità? Sono i quesiti che ritornano come un mantra nel documentario The cost of Growth (Il costo della crescita), firmato da due giovani donne, Anuna de Waver, fiamminga, che è stata tra le leader delle piazze FFF in Belgio, e Lena Hartog, olandese, attivista e dottoranda sulla politica prefigurativa dei movimenti, co-prodotto da Voice Over Foundation, collettivo indipendente italiano che lavora su nuove pratiche, immaginari e linguaggi nel giornalismo, nell’arte e nell’attivismo.

È LA RINCORSA OSSESSIVA della crescita economica, necessaria per la sopravvivenza del capitalismo, la causa profonda delle policrisi, secondo le autrici. Non esistono soluzioni possibili se non riusciamo a smascherare le bugie che ci raccontano sull’ineluttabilità della crescita infinita, quelle che giustificano estrattivismo, land grabbing, genocidi, corsa al riarmo, sfruttamento e alienazione del lavoro, migrazioni forzate ecc.

NELLA NARRAZIONE di Hartog e de Waver altre storie sono possibili là dove ci si sottrae ai diktat della crescita infinita, quando si comincia ad immaginare un mondo che va «oltre la crescita», ovvero, nel perimetro della decrescita. Sono storie che esplorano forme di solidarietà, amore e rispetto per la natura, che sperimentano la democrazia economica quando le persone prendono coscienza dei limiti del pianeta e cominciano a chiedersi davvero: che cosa produciamo? Perché? Per chi? A quale costo?

SUCCEDE IN NORVEGIA nelle terre dei Sapmi che combattono contro il land grabbing subito per far spazio ai campi eolici, in Serbia dove si lotta per sventare la devastazione delle miniere di litio della multinazionale Rio Tinto e alle porte di Firenze contro la delocalizzazione selvaggia di un’industria sana come era la GKN che da quattro anni si batte per nuove forme di organizzazione del lavoro e democrazia produttiva. Un fil rouge che collega situazioni tanto diverse c’è, ed è quel Green Deal che due volte vediamo annunciato da Von der Leyden come «strumento di crescita».

NEL DOCUMENTARIO i legami tra le lotte vengono intrecciati alle riflessioni teoriche di autori come Brototi Roy, economista ecologica indiana, co-direttrice di Research&Degrowth, che non manca di sottolineare aspetti di critica postcoloniale; come Jason Hickel, autore di Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia può salvare il pianeta che vediamo anche in alcuni frame durante il suo intervento al Parlamento europeo nel 2023 alla conferenza Beyond Growth a rimarcare il paradosso della scarsità artificiale (di risorse, tempo, denaro) imposto dalla crescita. Tra gli attivisti intervistati figura anche Greta Thunberg, presente alla prima nazionale del documentario di martedì scorso a Firenze, che si augura «un futuro nel quale non dobbiamo più discutere quali sono i costi della crescita». Greta aveva partecipato nell’ottobre del 2024 ad un’assemblea dell’ex-GKN per saldare l’asse clima-lavoro, che ad Hartog e Waver non è sfuggito.

UN DOCUMENTARIO denso di voci, ricco di empatia, serrato nel ritmo, dal quale emergono alcune risposte che suscitano però altre domande e che si pone un obiettivo: la solidarietà e convergenza tra i movimenti.

Le prossime proiezioni sono previste sabato 29 novembre a Roma al Nuovo Cinema Aquila (ingresso libero con prenotazione) con Dario Salvetti, ex-GKN, Viola Carofalo, filosofa e Emanuele Genovese, Fridays for Future; il 2 dicembre ancora a Firenze allo Spazio Alfieri e a Bologna allo spazio autogestito Vag61. Per organizzare proiezioni, www.voiceoverfoundation.org.

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