IL “PATTO TRUMP”, OVVERO LA MESCHINITÀ DEL MALE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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IL “PATTO TRUMP”, OVVERO LA MESCHINITÀ DEL MALE da IL MANIFESTO

Il “Patto Trump”, ovvero la meschinità del male

Occhi aperti sull’abisso Il punto 16 promette che “Israele non occuperà né annetterà Gaza”, ma due righe dopo specifica che manterrà “una presenza di perimetro di sicurezza finché Gaza non sarà adeguatamente protetta da qualsiasi minaccia terroristica”. In altre parole: per sempre

Roberta De Monticelli

Non so se ci siano stati altri momenti della storia umana segnati da una distanza così verticale, così abissale, fra il bene e il male. Voglio dire che sta troppo, troppo in basso il male che oggi pare prossimo alla vittoria, in Palestina e su tutta la terra. Il bene sconfitto, umiliato, calunniato e crocefisso oggi in Palestina non ha un avversario che sia pur minimamente alla sua altezza. Quello fra Antigone e Creonte, fra le ragioni dell’anima e la ragion di stato, è un conflitto tragico. Gli avversari sono all’altezza l’uno dell’altro. Fino alla fine ci sono ragioni da opporre, l’uno all’altra. Questo fra il popolo sterminato a Gaza e massacrato da ottant’anni in Palestina, e la potenza tribale che stermina e massacra, con l’aiuto dei partner d’affari americani, europei e arabi – no, non è tragico. È molto peggio.
È il confronto fra un’infinita sofferenza umana e la strisciante eppur violenta bassezza dei demoni meschini che si sono impadroniti delle leve del potere mondiale.

Forse è l’immaginazione umana che ha fatto il male grande come Lucifero, l’angelo caduto – forse il demonio è per essenza meschino, come l’iconografia dantesca lascia trapelare, facendo di Satana una specie di verme conficcato nel cuore gelato della terra, ornato di particolari semplicemente osceni. E forse oggi, soprattutto oggi, bisognerebbe tacere, in attesa come siamo, insieme con la nostra umanità sfigurata e la sofferenza senza fine delle vittime, della risposta che sarà data alla restituzione annunciata da Hamas degli ostaggi vivi e morti.

Nella flebile speranza che alla disponibilità di Hamas ad avviare immediatamente negoziati attraverso mediatori per discutere i dettagli del patto non si opponga una semplice intimazione di resa incondizionata. E nel timore che si attui senza residui il progetto, già da molto tempo pronto, di questi ladri di vita e terra e civiltà e memoria e umana dignità, che oscenamente si stringono le mani intorno al loro bottino di gas, petrolio, impunità penale e ricostruzioni miliardarie. Un Trump Nobel per la pace, un Blair ingozzato d’infamia e di profitti, un Bin Salman squartatore gentile, un avanzo di galera di nome Netanyahu, degno figlio di Benzion Netanyahu, che fu segretario di Žabotinskij, il più fascista e sanguinario fra gli interpreti del sionismo.

Tacere, forse. Ma non al punto da dimenticare l’ultimo omaggio al vero, dovuto a chi soffre, chi trema, chi muore senz’altra colpa che d’esser nato, chi resiste solo per il fatto di esistere, chi combatte con le parole del diritto universale, chi testimonia il vero con gli occhi logori propri e dei cellulari. C’è in rete (Consequenze Network) un’analisi perfetta della neolingua del “Patto Trump”, che aggiunge una bella dose di “bipensiero” alle classiche pagine di George Orwell. “Zona deradicalizzata” significa sorveglianza permanente. “Comitato apolitico” significa esclusione dei palestinesi dalle decisioni sulla loro terra. “Forza Internazionale di Stabilizzazione” significa militarizzazione a tempo indeterminato. Il punto 16 promette che “Israele non occuperà né annetterà Gaza”, ma due righe dopo specifica che manterrà “una presenza di perimetro di sicurezza finché Gaza non sarà adeguatamente protetta da qualsiasi minaccia terroristica”. In altre parole: per sempre, o fino a quando non lo decideremo noi.

Ricordiamocelo tutti, in attesa degli eventi. Non è poco che, perduta la giustizia e quindi, comunque, anche la pace, a noi resti il nitore degli enunciati veri, siano quelli delle grandi Corti, di giustizia e penali del mondo, siano quelli dell’intelligenza che illumina la pochezza degli imbrogli. La verità in definitiva è il cuore stesso della giustizia. Ma a noi chi? Aldo Capitini, il massimo filosofo del pacifismo, diede al suo capolavoro il titolo La compresenza dei morti e dei viventi (1966). Un grande poeta, Giuseppe Ungaretti, lo aveva preceduto nel 1928, con La pietà: “È nei vivi la strada dei defunti,/ siamo noi la fiumana d’ombre,/sono esse il grano che ci scoppia in sogno,/ loro è la lontananza che ci resta,/ e loro è l’ombra che dà peso ai nomi”.

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