CHE COSA CI ASPETTIAMO DAL CAPITALISMO? da DICIOTTOBRUMAIOBLOG
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CHE COSA CI ASPETTIAMO DAL CAPITALISMO? da DICIOTTOBRUMAIOBLOG

Che cosa ci aspettiamo dal capitalismo?

 Olympe de Gouges   22 dicembre 2025

Ieri sera ho visto in tv una parte della puntata di Report (Raitre), quella dove si parla della carne scaduta, anche da anni, che viene riciclata e rimessa in commercio. La puntata sulla carne mi pare faccia seguito di un precedente analogo servizio che non ho veduto. Ebbene, a un certo punto una voce fuori campo, quella di un operaio addetto alla macellazione, dice: ma che cosa vi aspettate da un prodotto di carne, impanata, farcita di verdure e venduta a 4,5 euro? Esatto, che cosa ci aspettiamo da un olio di oliva detto extravergine venduto a meno di dieci euro il litro? Da vino venduto a 2 o 3 euro il litro? E via di seguito.

Perchè stupirsi che quella carne putrefatta finisca in scatola di marchi prestigiosi (prestigiosi perchè molto pubblicizzati) e in vasetti di ragù venduti a un prezzo vile, ma anche a caro prezzo? Che finisca nella ristorazione delle navi da crociera o nella refezione delle scuole? Se la spazzatura venduta per cibo destinato all’alimentazione umana provoca problemi di salute, tanto meglio. Si chiama diversificazione degli investimenti.

Già Marx, en passant, si era occupato dell’adulterazione del pane (I, 3 sez., cap. 8), rilevando come “il capitale è indifferente di fronte al carattere tecnico del processo di lavoro del quale si impadronisce”. Il capitalista non ha alcun interesse e riguardo su che cosa viene prodotto e come avviene la produzione. Per esempio, se al posto delle macchine ci sono degli schiavi, se invece di persone adulte vengono impiegati dei bambini.

Dunque, che cosa ci aspettiamo dal capitalismo? Il capitalismo è questa roba qua: non c’è alcuna differenza tra produrre portaerei o navi da crociera, antibiotici o gas nervino, vino grand cru o all’etanolo, oppure panettoni con margarina e tuorli d’uovo israeliani o cinesi in barile. Ciò che conta, per il produttore, per gli azionisti, è la competizione sul mercato, alias i margini di profitto.

Si denuncia, quando accade e cioè molto raramente, la carenza di controlli. Si attribuisce la responsabilità della situazione al singolo produttore, quindi all’individuo colpito, il quale deve impegnarsi a migliorare la propria dieta per prevenire problemi di salute (il budget alimentare non viene preso in considerazione). Ma, immersi come siamo nell’ideologia di mercato, chi pone la questione che si tratta di una forma strutturale di violenza? Chi mette più in discussione il capitalismo?

Alla radice degli squilibri agricoli e alimentari, dei danni alla salute fisica e mentale delle persone, c’è il modo di produzione capitalistico, che genera varie forme di violenza: la filiera alimentare globalizzata si basa su una storia di sfruttamento coloniale e su rapporti di potere ineguali tra i paesi. Le materie prime agricole sono soggette a speculazione come qualsiasi altra sui mercati finanziari. Inoltre, l’immagine dell’agricoltore e allevatore indipendente e libero è un mito. La stragrande maggioranza della popolazione acquista attraverso la grande distribuzione, che è controllata da pochi grandi gruppi.

Ricordiamoci che la frode e la falsificazione sono strumenti comuni dell’azione economica capitalistica.

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