AUTONOMIA: L’ULTIMO BLITZ CONTRO LA SANITÀ DI TUTTI da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
22266
wp-singular,post-template-default,single,single-post,postid-22266,single-format-standard,wp-theme-stockholm,wp-child-theme-stockholm-child,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.6,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.13,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-8.2,vc_responsive

AUTONOMIA: L’ULTIMO BLITZ CONTRO LA SANITÀ DI TUTTI da IL FATTO e IL MANIFESTO

Autonomia: l’ultimo blitz contro la sanità di tutti 

 Gianfranco Viesti  20 Novembre 2025

Nonostante la sentenza della Corte costituzionale, le forza politiche di maggioranza non demordono dal perseguire l’autonomia regionale differenziata, cioè la secessione dei ricchi. Un progetto che renderebbe l’Italia un paese arlecchino, con la nascita di regioni-Stato (secessione) e che accrescerebbe le sue disuguaglianze interne (dei ricchi). Il breve intervento in Parlamento di Calderoli lo scorso 12 novembre lo mostra limpidamente.

Non mutano le tattiche utilizzate: azioni il più nascoste possibili agli occhi dell’opinione pubblica, ruolo centrale di istituzioni tecniche, marginalizzazione del Parlamento, retoriche comunicative che sollevano ampie cortine di fumo. Nell’ambito del progetto d’insieme, invece, sembrano mutare un po’ gli obiettivi prioritari. Ora ne appaiono due in particolare: la definizione dei Lep anche per le funzioni già svolte dalle Regioni in modo da giustificare le disparità esistenti; la concentrazione delle richieste sulla sanità (forse da sempre il vero potere da conquistare). La sentenza della Corte e la scadenza di uno dei traguardi da rendicontare per il PNR impongono di definire i Lep (cioè i “livelli essenziali delle prestazioni”). Questione centrale sin dalla riforma costituzionale del 2001: Lep significa definire quali sono i diritti, precisamente misurabili, da garantire a tutti gli Italiani ovunque vivano. Questione colpevolmente ignorata per un quarto di secolo dall’intero schieramento politico. Ora il punto è tecnicamente assai complesso ma politicamente chiaro. Se fisso livelli ragionevoli dei diritti e quindi dei servizi pubblici necessari per soddisfarli, scopro che principalmente al Sud essi non sono garantiti. Dovrei quindi stanziare nuove risorse di riequilibrio. Anche se non lo faccio, scopro il fianco a richieste, per il futuro, costituzionalmente fondate. Quindi, l’idea geniale del ministro Calderoli e dei tanti tecnici interessati che si prodigano per aiutarlo: stabiliamo che i Lep corrispondono all’attuale livello dei servizi. Ma questo livello è palesemente diverso da regione a regione, da città a città! E allora troviamo un escamotage: la commissione Cassese (con il contributo di diversi “esperti” anche meridionali) suggeriva di tirare in ballo il costo della vita; se sosteniamo che vivere al Sud costa meno, possiamo pagare meno i dipendenti pubblici: quindi ci facciamo bastare le attuali risorse. Con la legge di Bilancio, nella quale sono state incongruamente inserite disposizioni sui Lep, si batte un’altra strada: i servizi da garantire sono quelli che sono oggi forniti agli “effettivi beneficiari”. Dove non ci sono, vuol dire che non servono.

“A volte ritornano”: già ai tempi del governo Renzi fu stabilito che, se in una città come Reggio Calabria non c’erano asili nido, significava che il fabbisogno era zero: le donne calabresi potevano tranquillamente stare a casa a badare ai figli e a cucinare. Quali che siano i parametri, la Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard, ora presieduta da una docente già consulente di Zaia proprio per la secessione dei ricchi, è pronta a trasformarli in numeri e in fabbisogni finanziari.

Veniamo alla sanità. Il governo sostiene che i Lep ci sono già. Corrispondono ai Lea (i “livelli essenziali di assistenza”), che esistono da tempo. Peccato che in molte regioni, non solo al Sud, non siano garantiti: per cui, ad esempio, si muore di più di tumore perché non si fanno sufficienti screening. E peccato che da sempre non esista alcuno strumento finanziario che possa, destinando risorse aggiuntive mirate, consentire di raggiungerli. Sono teoria, non concreti diritti. Ma figurarsi se il governo Meloni può essere interessato a meccanismi perequativi per la sanità pubblica (d’altronde non interessavano neanche ai governi precedenti). Ma ora c’è molto di più: la destra italiana sta dando l’assalto finale al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), come si vede, da ultimo, dalle decisioni prese in Lombardia, commentate da Vittorio Agnoletto su queste colonne. Per salvare il Ssn occorrerebbe ricostruire una cornice normativa nazionale di fondo, proprio per evitare quanto sta succedendo. Invece, per affossarlo definitivamente basta mettere ogni potere, ancor più di quello di oggi, in mano alle Giunte regionali. Così il privato interno ed esterno ai servizi sanitari, e i colossali interessi economici che esso muove, potranno prosperare a danno della sanità pubblica senza più alcun limite. E si riuscirà finalmente a ricreare una sanità di classe: dove i più abbienti saranno coperti e i fastidiosi poveri si arrangeranno rinunciando alle cure. Per questo la secessione è dei ricchi: perché l’autonomia regionale differenziata è un potentissimo strumento aggiuntivo per scardinare, senza che i cittadini se ne accorgano troppo, l’universalismo dei servizi pubblici proclamato dalla Costituzione.

Fuori dalla manovra il potenziamento della Sanità pubblica

Chiara Giorgi  20/11/2025

La manovra Anche questa legge di bilancio lascia fuori dalle priorità di spesa il potenziamento della sanità pubblica

del Servizio sanitario nazionale

Anche questa legge di bilancio lascia fuori dalle priorità di spesa il potenziamento della sanità pubblica. E non solo perché la spesa in rapporto al Pil è insufficiente, ma anche perché le risorse continuano a essere destinate alla sanità privata, anziché aumentarle per una necessità come quella del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale (Ssn). 

In particolare, il disegno di legge di bilancio aumenta il tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da privati accreditati dell’1% con un costo pari a 123 milioni di euro. Considerando che il tetto di spesa per il 2026 era già stato aumentato dell’1,5% dalla scorsa legge di bilancio e del 4% da quella precedente con un costo complessivo dei tre provvedimenti di quasi 800 milioni, è innegabile la crescita delle risorse pubbliche destinate ai soggetti privati. 

Ma la manovra non si ferma qui. Aumentano le tariffe ospedaliere che il Servizio sanitario nazionale paga ai soggetti pubblici e privati sulla base del sistema dei DRG (Diagnosis Related Groups) e sono ridefinite le tariffe per la specialistica ambulatoriale fornita dalle strutture private accreditate. Per l’assistenza ospedaliera, che comprende anche le cliniche private, il disegno di legge conferma il miliardo di euro già previsto lo scorso anno, portandolo a 1350 milioni di euro a decorrere dal 2027. Per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per quella protesica si prevede un incremento di 100 milioni per il 2026 e 183 milioni annui dal 2027. 

Misure di questo tipo confermano l’ampliamento della sanità privata accreditata, peraltro sempre meno soggetta a controlli. Si aggrava la privatizzazione delle attività e dei servizi pubblici per la salute che da tempo ha aperto spazi ai meccanismi di mercato nella produzione, finanziamento e gestione dei servizi, riducendo la responsabilità pubblica, la fornitura di servizi da parte del Ssn e dirottando le risorse verso i privati. 

L’ambito delle imprese privata accreditate è molto composito e sta cambiando velocemente. Accanto a ospedali religiosi e strutture specializzate crescono infatti i grandi gruppi con una forte caratterizzazione finanziaria e internazionale, con fatturati in aumento tra accreditamento (ossia i trasferimenti dal Ssn alle strutture private), spesa privata diretta delle famiglie e spesa intermediata da fondi sanitari integrativi e assicurazioni private per le prestazioni fornite a chi ha coperture di questo tipo. Le attività della sanità privata accreditata in Italia vanno dall’assistenza territoriale residenziale e semiresidenziale, a quella riabilitativa, a quella specialistica ambulatoriale, all’assistenza ospedaliera, con percentuali che in molti ambiti superano di gran lunga quanto viene erogato dal pubblico. Gli ultimi dati Istat mostrano le grandi dimensioni della spesa sostenuta direttamente dalle famiglie, giunta nel 2024 a 41,3 miliardi, e la rapida crescita di quella intermediata, arrivata a 6,4 miliardi, in una realtà come quella italiana in cui i fondi sanitari, legati anche all’espansione del welfare aziendale, assumono ormai una natura sostitutiva del Ssn.

Il ddl di bilancio rafforza queste tendenze; la salute viene a configurarsi sempre meno come diritto fondamentale garantito dal servizio pubblico e sempre più come una merce in un mercato in cui le opportunità di profitto vengono assicurate anche dalle risorse pubbliche. Al posto di questi processi che favoriscono il privato, sono urgenti scelte politiche che riaffermino la priorità del servizio pubblico, finanziandolo con risorse adeguate, aumentando il personale, migliorando salari e condizioni di lavoro. Soltanto il Ssn universalmente accessibile può rendere effettivo ed esigibile il diritto fondamentale alla salute.

No Comments

Post a Comment

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.