DISSENSO ADOLESCENTE IN UNA SCUOLA AGUZZINA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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DISSENSO ADOLESCENTE IN UNA SCUOLA AGUZZINA da IL MANIFESTO

Dissenso adolescente in una scuola aguzzina

Scaffale «Non siamo capolavori» di Marco Rovelli, pubblicato da Laterza

Roberto Ciccarelli  11/07/2025

In Non siamo capolavori. Il disagio e il dissenso degli adolescenti (Laterza, pp. 200, euro 15) di Marco Rovelli c’è un progetto: creare un conflitto contro la scuola che educa all’obbedienza del merito, della prestazione e della depressione per non essere «eccellenti», o «capolavori», la nuova ingiunzione coniata dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara. L’idea è emersa tra gli studenti ed è stata ripresa nelle inchieste che lo scrittore-insegnante-musicista (Rovelli è un intellettuale poliedrico) ha condotto nelle scuole, dopo la pandemia e la chiusura degli istituti che hanno aumentato a dismisura l’alienazione, e la sofferenza, tra gli studenti.

QUESTA SITUAZIONE, descritta nel libro di Rovelli, ha aggravato gli effetti prodotti dalla triade neoliberale: just do it, nothing is impossibletutto intorno a te. Sono tre idiotismi pubblicitari, elevati a comandamenti morali e considerati norme di comportamento non solo dagli adolescenti, ma dalla «società performativa degli individui». La scuola oggi, evidenzia l’autore, è un mondo che impone la violenza sociale della competizione e dell’adattamento. Intesa come istituzione la scuola non sembra essere in grado di costruire antidoti e diffonderli tra gli studenti e tra i docenti. È la scuola in cui il voto è l’unico valore, scopo e senso. Risulta impossibile aiutare l’adolescente a sviluppare un’autonomia. E gli educatori sono a loro volta formati a diventare «aguzzini prestazionali».

Questi fattori sono stati organizzati in un’economia dell’«infelicità» e creano un desiderio tossico. Su queste basi altri interpreti critici della scuola neoliberale, come Lea Melandri e il collettivo Cattive Maestre nel libro Dietro la cattedra, sotto il banco (Prospero, il manifesto del 12 novembre 2024)*, hanno ricostruito la formazione di un desiderio di dominio, a cominciare da quello maschile, e di un assoggettamento, a cominciare da quello femminile.
L’esplorazione di Rovelli è interessante perché si mette alla ricerca degli strumenti collettivi per organizzare il «dissenso» e usare politicamente il «disagio» forgiato nella scuola e a dispetto della scuola. La soluzione può arrivare dall’intelligenza collettiva che segue misteriose strade.

NELLE OCCUPAZIONI e nelle assemblee al liceo Manzoni o al Berchet a Milano, nei suoi dialoghi con studenti di Torino, o in Toscana, Rovelli ha dialogato con studenti e ha evidenziato la loro illuminante capacità di riflettere politicamente sulla condizione che, come loro, anche noi viviamo in una società neoliberale. Da una delle più classiche pratiche di lotta, l’occupazione di un istituto, oltre che dal confronto durante il tempo liberato creato dall’occupazione, è emersa l’idea di una «rivolta contro la nuova norma prestazionale che rende ciascuno responsabile di essere all’altezza degli standard richiesti». Non è un caso se il governo Meloni si è distinto in questi anni nella punizione di queste pratiche. La repressione mira sempre a eliminare le occasioni di incontro al di là della disciplina.

In questi conflitti si inserisce il libro di Rovelli in cui è possibile apprendere la nascita di un nuovo coraggio: sfidare il terrore del Giudizio, il non temere di fallire, di affrontare il proprio essere imperfetti. Al contrario si tratta di «rivendicare la relazione». Questo è, ad avviso dell’autore, «rivoluzionario», cioè «creare nuove forme di vita» a partire dalla scuola. Non bisogna rassegnarsi a un’idea della scuola, quella reale, cioè un’istituzione della disciplina e del controllo.

Si tratta invece di «boicottare la macchina». Rovelli cita il filosofo-psicoanalista Miguel Benasayag e parla dell’opposizione al «mondo del funzionamento senza intoppi». Così allarga la portata della sua critica alle forme più generali della cultura apocalittica che permea la sensibilità nichilista che si è fatta strada anche a «sinistra». Lo scrittore sostiene che bisogna sottrarsi al comandamento del «No future» e alla «gabbia del non c’è alternativa». Bisogna invece organizzarsi con chi «occupa le scuole», «crea pensiero critico», «agisce con il corpo e con la mente».

SI PUÒ RIPARTIRE dall’esplorazione del possibile nel presente, assumere un presente più profondo che ci permetta di agire, di avere desideri. «Non possiamo consentirci il lusso del pessimismo, che è il lusso del ricco, un lusso aristocratico, di chi gode dicendo: «Io sono l’ultimo Uomo», scriveva Benasayag.
Si può ricominciare dalla scuola. Lì dove si coltivano potenze che attraversano e sono ignote fino a quando non sono scoperte e messe in pratica, a cominciare dagli studenti, nella loro relazione con il mondo, quello che si sperimenta nell’aria che si respira, nelle prassi da inventare.

*

Scrittura d’esperienza per una nuova scuola plurale e femminista

Educazione di genere «Dietro la cattedra, sotto il banco» di Lea Melandri e Cattive Maestre raccoglie riflessioni sulla scuola, in un libro nato da una collaborazione fra l’autrice e il collettivo insegnanti romane

Roberto Ciccarelli  11/07/2025

Molto si sta muovendo sull’educazione di genere nelle scuole. Almeno un’ora a settimana di educazione alle relazioni dovrebbe essere fatta in tutte le classi, sostengono i movimenti transfemministi. La stessa esigenza è stata rilanciata da Gino Cecchettin, padre di Giulia, tra le attività della fondazione che porta il nome di sua figlia.

Addirittura il ministro in carica Valditara ha colto l’urgenza davanti al moltiplicarsi apparentemente inarrestabile dei femminicidi. La sua proposta è stata giudicata insufficiente perché non prevede una formazione specifica, l’attivazione dei percorsi non è strutturale e dipende dalla volontà dei singoli collegi docenti. Resiste l’idea che la scuola non si occupi in maniera sistematica di educazione sessuale e affettiva. Il Vaticano e la montante reazione conservatrice ultracattolica sul modello Usa combattono la loro battaglia. Lo spauracchio dell’«ideologia gender» è usato per rafforzare una società repressiva.

ORA C’È UNO STRUMENTO in più per affrontare quella che è una lotta politica di primo piano. È il libro Dietro la cattedra, sotto il banco. Il corpo a scuola (Prospero, pp. 244, euro 18) che Lea Melandri ha scritto con il collettivo di insegnanti romane «Cattive Maestre», composto da Elisa Amato, Elisabetta Careri, Valeria De Paoli, Serena Orazi, Giuliana Visco e Valeria Zecchini. Dialogo a più voci, il libro raccoglie alcuni testi fondamentali sulla scuola scritti da una potente pensatrice femminista e li mette in dialogo con quelli scritti da chi partecipa al movimento transfemminista «Non una di meno».

Il libro entra nel dibattito sull’educazione sesso-affettiva e spariglia le carte. Non è un testo accademico ma un invito a essere radicali nel senso marxiano, cioè a cogliere le cose alla radice, mettendo in discussione l’impianto complessivo del sapere, la sua scissione dal corpo, il rapporto tra potere e sapere in classe e fuori, il ruolo delle insegnanti. Si propone una pratica – la scrittura d’esperienza elaborata da Lea Melandri – che stimola a interrogare i propri vissuti, gli stereotipi e i ruoli che abbiamo interiorizzato, il potere che ci viene concesso, il modo in cui con quel potere ci identifichiamo per disciplinare bambini e ragazzi, i metodi e l’uso del linguaggio, oltre che i fondamenti epistemologici delle varie discipline che sono insegnate nelle scuole italiane.

È un patrimonio ricchissimo di culture e di pratiche che sono messe all’opera. Per questo il libro serve come un fuoco nella notte.

Il bel titolo del libro va spiegato. Per «sottobanco» le autrici intendono il parlare degli studenti della propria vita, dei desideri, della sessualità, della famiglia, dei cambiamenti di un corpo, del giudizio sociale e di quello dei propri compagni, della difficoltà di essere considerati poveri, della vita parallela e clandestina sui social. Sono tutte urgenze che un insegnante riscontra ogni giorno tra i suoi studenti. La scuola però intende riportare l’ordine e spinge chi «sta dietro la cattedra» a cementare un muro e a fermare soggetti che dovrebbero diventare persone dotate di coscienza critica e autoconsapevolezza.

La scrittura d’esperienza è l’attività che Melandri ha strutturato in questi anni in laboratori di scrittura in tutta Italia. Questa pratica è radicata nella storia del femminismo, è un esempio del «partire da sé», fatta nei gruppi di autocoscienza. Melandri l’ha sperimentata nelle scuole di Affori, a Milano, già negli anni Settanta durante i corsi che servirono alle casalinghe per ottenere il diploma di scuola media. Un film straordinario di Adriana Monti, Scuola senza fine, testimonia il potenziale rivoluzionario di questo tipo di pratiche. Melandri gli dedicherà un altro libro.

QUESTA PRATICA serve all’insegnante consapevole a partire dal corpo che è alienato nella scuola disciplinare neoliberale. Si tratterebbe di sperimentare un nesso con le teorie femministe che rappresentano una prassi rivoluzionaria opposta a questa visione del mondo e della conoscenza. Pongono al centro le soggettività incarnate – di genere, razza e classe – e producono un sapere in cui il corpo diventa il punto di partenza per interrogare e cambiare le condizioni di potere in cui viviamo. La classe, e la scuola, sono i luoghi dove è possibile modificare il potere sociale che la scuola stessa riproduce, a partire dal corpo delle donne, in maggioranza insegnanti. La scrittura è una di quelle pratiche che possono portare a superare la cesura tra corpo e sapere sulla quale è costruita l’idea disciplinare di scuola. E, in più, può recuperare la «parola contaminata» data dall’intreccio tra vita e politica, sentimenti, ragione, inconscio e coscienza. Interrogare le discipline «per quello che non dicono, che hanno cancellato o deformato, partendo dal vissuto di ognuno».

La vita è fuori tema ripete spesso Lea Melandri. Questa è la condizione a partire dalla quale si può iniziare a innescare un divenire rivoluzionario.

Il libro sarà presentato giovedì 14 nell’aula Verra dell’Università Roma 3, in via Ostiense 234 alle 17:00.

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