LE FALLACI PROMESSE DELL’ECONOMIA POLITICA DELLO SFRUTTAMENTO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LE FALLACI PROMESSE DELL’ECONOMIA POLITICA DELLO SFRUTTAMENTO da IL MANIFESTO

Le fallaci promesse dell’economia politica dello sfruttamento

Scaffale Pierre-Yves Gomez, «L’astuzia del capitalismo. Comprendere la crisi di domani», per Città Nuova. Una lucida diagnosi della perdita di senso di strutture e linguaggio del capitale

Marco Pacioni  03/10/2025

L’economia al rischio del realismo, intervista a Pierre-Yves Gomez, nel cui titolo risuona Realismo capitalista di Fisher, può aiutarci a comprendere la logica controintuitiva dell’ultimo libro tradotto in italiano dello stesso Gomez, L’astuzia del capitalismo. Comprendere la crisi di domani (a cura di R. Rezzesi e F. Patrone, Città Nuova, pp. 213, euro 22). Protagonista di questo libro è quello che Gomez chiama «capitalismo speculativo», la cui prestazione principale è quella ideologica di dotare di «senso di realtà» l’avvenire. Non solo la possibilità nel futuro di riformare ciò che oggi, soprattutto a causa della distruzione ambientale, sembra irreparabile, ma persino di rivoluzionare in opportunità trasformatrice post-umana ciò che appare come il rischio di estinzione dell’umanità.

L’ASTUZIA DEL CAPITALISMO speculativo è quella di continuare a fornire «realismo» alla logica economica della «distruzione creatrice» – i cui più recenti rappresentanti politici possono forse essere considerati Milei e, per certi versi, Trump. Evitare che la distruttività derivante dal succedersi delle crisi di sistema, come quelle sperimentate in questo primo quarto di secolo, non venga percepita come punto di non ritorno, tale da rendere non credibile il rilancio e la scommessa nell’avvenire. L’astuzia di impedire che la «distruzione creatrice» si riveli essere nient’altro che «creazione distruttrice». L’idea che nella distruttività del processo capitalistico vi sia un più profondo creativo «senso di realtà» foriero di un futuro di magnifiche sorti e progressive che ci chiede di credere persino oltre il limite «reale» dell’umano, da cui l’enfasi sulle miracolistiche capacità della tecnocrazia, della rivoluzione digitale, dell’intelligenza artificiale.

Richiesta di fede che dovrebbe apparire più realistica anche a chi non riesce a immaginare attraverso quale contropartita gli possa essere venduto il domani e che però finisce per accettare quella che comunque gli viene presentata come unica offerta plausibile, quella del capitalismo speculativo appunto, suscettibile almeno di sollecitare l’egoismo identitario, se non il benessere generale della società.

Proprio una speciale vendita di futuro è quella che Gomez rintraccia alle origini del capitalismo speculativo. Si tratta dell’Employee Retirement Income Security Act promulgato dal presidente americano Ford nel 1974 che stabiliva autonomia di investimento per le casse pensione delle imprese la cui garanzia, da quel momento, non dipendeva più esclusivamente dall’andamento produttivo reale delle aziende, ma soprattutto dalle aspettative finanziarie del mercato degli investimenti, dove erano stati riversati i risparmi che le stesse aziende prima custodivano.

I PENSIONATI e poi anche gli altri soggetti del mercato del lavoro, da allora, vengono sempre più trasformati in «microcapitalisti» che non solo partecipano al rischio della loro impresa, ma più in generale al rischio dell’intero sistema capitalistico. Al vertice di tale nuovo sistema non stanno più le imprese, ma i top manager che decidono quale direzione di investimento far prendere alla massa di capitali fornita dal risparmio pensionistico e lavorativo, sempre più costretto a interagire direttamente, oltre che con le oscillazioni del rischio di più imprese, anche con le speculazioni del mercato finanziario.
Al centro del capitalismo speculativo, che ha nell’economia finanziaria il suo cuore pulsante, sta dunque paradossalmente il «senso di realtà» di una scommessa, dal sapore pascaliano pervertito, sul credere nel futuro, il cui guadagno si baserebbe sulla certezza che non perderemo, comunque vada, niente, perché tale niente avrà avuto almeno un significato in grado di costruire un discorso credibile, tal da poter essere rilanciato eventualmente in un ulteriore futuro, se quello prossimo tradisse le aspettative.

IN RISPOSTA A QUESTA LOGICA implacabilmente fideistica, che già Benjamin considerava degna di un «capitalismo come religione», Gomez ci suggerisce di volgerci a ciò che contesta il «senso di realtà», verso ciò che limita la spinta ai significati capaci di ordinare il discorso giustificativo della scommessa nella fede della promessa di futuro.

Ciò che controverte il «senso di realtà» non può che essere l’«insensatezza del reale», nel quale la distruttività non è una più astuta e avveniristica creazione di valore, ma una soglia invalicabile al senso di qualsivoglia realistica teoria o narrazione valoriale. Soglia dalla quale non si accede a nessun significato, ma soltanto al piacere e dolore delle vite, appunto reali, dei corpi delle persone. Contro il «senso di realtà» delle promesse del capitalismo speculativo, che è riuscito a monopolizzare anche il sol dell’avvenire della rivoluzione, Gomez ci suggerisce l’«insensato del reale», ma non per questo insensibile al grado di felicità e bene dei quali tenere conto per destituire, più che sperare di costruire o decostruire, il nostro modo di vivere insieme.

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