LA FEROCE GUERRA DI TRUMP&CO. AL NEMICO INTERNO da PROSSO
· La feroce guerra di Trump&Co. al “nemico interno” (1)
PROSSO 11 Ott , 2025
Sulla guerra di Trump e della sua gang di filo-fascisti al “nemico interno” c’è in Italia un incredibile silenzio, come se la cosa non ci riguardasse da vicino, molto da vicino. Proviamo a romperlo descrivendo tre momenti-chiave di questa guerra: il funerale di Charlie Kirk a Glendale in Arizona (21 settembre), l’adunata di generali e ammiragli nella base dei marines di Quantico in Virginia (30 settembre), la “tavola rotonda” alla Casa Bianca sul movimento “antifa” (8 ottobre). Un vero e proprio crescendo.
Il funerale di Charlie Kirk
Il funerale di Kirk, capo politico del vasto movimento giovanile Turning Point USA (oltre 200.000 aderenti) caratterizzato da un violento razzismo contro gli immigrati, specie se islamici, e contro gli afro-americani, e da un aggressivo machismo contro le donne, e contro omosessuali e transgender, si è trasformato in un’adunata militante di fan del suprematismo bianco. L’ha dominata l’infuocata retorica di Stephen Miller, quello che viene indicato come “il cervello di Trump” o, almeno, il suo consigliere n. 1, il vero “capo del governo”. Ascoltiamolo attentamente perché dice, senza filtri, ciò che la banda trumpiana pensa di sé, e ciò che prepara per la maggioranza proletaria degli Stati Uniti d’America:
“Ciao Patrioti. Ciao al nostro impavido Presidente, Donald J. Trump. E ciao a milioni di americani in tutto il Paese che si sono riuniti con tristezza e dolore per piangere Charlie Kirk, ma anche per dedicarsi a portare a termine la sua missione e ottenere la vittoria nel suo nome. (…) i nostri nemici non possono comprendere la nostra forza, la nostra determinazione, la nostra risolutezza, la nostra passione. La nostra ascendenza e la nostra eredità risalgono ad Atene, a Roma, a Filadelfia, a Monticello. I nostri antenati hanno costruito le città. Hanno prodotto l’arte e l’architettura. Hanno costruito l’industria. Erika [è la moglie di Kirk, imprenditrice, sospettata di traffico di minori in Romania con la sua immancabile opera di beneficenza – n.] poggia sulle spalle di migliaia di anni di donne guerriere che hanno creato famiglie, città, industria, civiltà, che ci hanno tirato fuori dalle caverne e dall’oscurità per condurci alla luce.
“La luce sconfiggerà l’oscurità. Prevarremo sulle forze della malvagità e del male. Non possono immaginare cosa hanno risvegliato. Non possono concepire l’esercito che hanno suscitato in tutti noi. Perché noi rappresentiamo ciò che è buono, ciò che è virtuoso, ciò che è nobile. E a coloro che cercano di incitare alla violenza contro di noi, a coloro che cercano di fomentare l’odio contro di noi, cosa avete? Non avete niente. Non siete niente. Siete malvagità. Siete gelosia. Siete invidia. Siete odio. Non siete niente. Non potete costruire nulla. Non potete produrre nulla. Non potete creare nulla. Siamo noi che costruiamo. Siamo noi che creiamo. Siamo noi che eleviamo l’umanità. (…) Non avete idea di quanto saremo determinati a salvare questa civiltà, a salvare l’Occidente, a salvare questa repubblica. (…) Noi abbiamo la bellezza. Abbiamo la luce. Abbiamo la bontà. Abbiamo la determinazione. Abbiamo la visione. Abbiamo la forza. Abbiamo costruito il mondo in cui viviamo ora, generazione dopo generazione. E difenderemo questo mondo. Difenderemo la bontà. Difenderemo la luce. Difenderemo la virtù. Non potete terrorizzarci. Non potete spaventarci. Non potete minacciarci. Perché noi siamo dalla parte del bene. Noi siamo dalla parte di Dio. (…) Dio benedica Turning Point [l’organizzazione politica di Kirk, di matrice fascio-suprematista]. Dio benedica i nostri eroi. Dio benedica gli Stati Uniti d’America.” (1)
E’ il linguaggio esaltato fino al delirio dei profeti dell’Impero amerikano, sicuro che “Dio” (o la “Provvidenza”) abbiano scelto gli Stati Uniti come “la città posta sulla collina” a indicare la strada al mondo intero attribuendo ad essi, per sempre, il divino diritto-dovere di imperare sul mondo. Ma i “nostri nemici”, che per Miller sono l’incarnazione dell’oscurità, del nulla, del male, sono anche i nemici interni – tutti coloro che si frappongono al “Make America Great Again”, a questo feroce, funesto, demente suprematismo nazional-razziale.
La maxi-adunata di generale e ammiragli a Quantico
Passano pochi giorni e il “nostro impavido Presidente” dai capelli giallo-arancione a riporto – dopo aver cambiato nome al Dipartimento (ministero) della difesa in Dipartimento della guerra – convoca nella base di Quantico in Virginia, insieme al suo fido Hegseth, centinaia di generali e ammiragli per trasmettere loro questo messaggio:
“Da questo momento in poi, l’unica missione del Pentagono è la guerra. (…) Benvenuti al Dipartimento della Guerra, l’era del Dipartimento della Difesa è finita”. E’ necessario che gli Stati Uniti si preparino a risalire la china riconquistando “l’ethos del guerriero” dopo “decenni di decadenza” nei quali “l’esercito è stato costretto da politici stolti e sconsiderati a concentrarsi sulle cose sbagliate”. Per questa ragione il Pentagono abbandonerà l’approccio “woke”, non ammetterà più “ragazzi vestiti da donna”, o gente che “adora il cambiamento climatico”; non perderà più il suo tempo con le “questioni di genere” (la denuncia frequente degli abusi sessuali) o i reclami per razzismo: “Come abbiamo già detto, e ripetiamo: abbiamo finito con tutta questa merda”. Niente donne che non hanno la potenza fisica necessaria, niente barbuti, niente obesi. Su queste nuove basi le sole cose che contano sono il merito e la preparazione della vittoria nelle guerre future. Poi, “se i nostri nemici saranno così stolti da sfidarci; saranno schiacciati dalla violenza, dalla precisione e ferocia del Dipartimento di Guerra”. [Ci vengono alla mente le brucianti sconfitte subite da questa (in)vincibile armata in Vietnam, Afghanistan, Somalia, contro popoli dai mezzi bellici infinitamente inferiori ai suoi, e le mezze sconfitte in Corea e in Iraq… ma in questa retorica del rilancio dell’imperialismo yankee questi sgraditi “particolari” vanno cancellati.]
Fin qui Hegseth. Trump, a sua volta, si è impegnato a spendere oltre 1.000 miliardi per le forze armate già nel 2026, “la cifra più alta nella storia del nostro Paese” (in questo non mente) – un titolo decisivo per ambire al Nobel per la pace. “Insieme, nei prossimi anni, renderemo il nostro esercito più forte, più resistente, più veloce, più feroce e più potente di quanto non sia mai stato prima”. E ha promesso: “Non saremo politicamente corretti quando si tratterà di difendere la libertà americana, saremo una macchina da guerra” – non dubitiamo, è l’ultima carta che vi resta. Noioso seguire passo passo il suo interminabile e ondivagante sproloquio, con le lodi sperticate degli Stati Uniti super-power, dell’esercito yankee, dei suoi sottomarini che sono 25 anni in avanti rispetto a quelli di Russia e Cina, o dei B-2 che hanno colpito l’Iran, e simili.
L’aspetto più rilevante del suo discorso è stata l’identificazione (parziale) del nemico interno: sembrerebbero le grandi città americane governate dai democratici, ma questa è solo la superficie. Il bersaglio diventa più preciso quando Trump afferma: il mese scorso “ho firmato un ordine esecutivo per fornire addestramento a una forza di reazione rapida che possa contribuire a sedare i disordini civili. Sarà una cosa importante per le persone presenti in questa sala, perché il nemico viene dall’interno e dobbiamo gestirlo prima che sfugga al controllo“. Ecco: i “disordini civili”, cioè le lotte, i movimenti di lotta. Affronteremo le situazioni di queste città “una per una”, “e questo sarà un aspetto fondamentale per alcune delle persone presenti in questa sala”. Dopotutto, “anche questa è una guerra. È una guerra all’interno“.
Il dispiegamento della Guardia nazionale e dei marines a Los Angeles. L’occupazione di Washington da parte di agenti federali pesantemente armati e truppe della Guardia Nazionale provenienti da una mezza dozzina di stati controllati dai Repubblicani. Il nuovo impiego di forze federali a Portland, in Oregon. Le promesse di trattamento analogo a Memphis, Chicago, San Francisco e New York – quali che siano le decisioni contrarie dei giudici e le norme costituzionali che lo potrebbero impedire. “Ho detto a Pete [Hegseth, il capo del Dipartimento della guerra] che dovremmo usare alcune di queste città come campi di addestramento per i nostri militari: Guardia Nazionale, militari”. Di quale “addestramento” si tratti, è chiaro: lo schiacciamento delle proteste di massa e delle forme di resistenza alle politiche della sua amministrazione (ce ne sono state molte finora, anche se non oceaniche). E una nuova importante giornata di lotta si annuncia per il 18 ottobre all’insegna dello slogan “No Kings”.
La guerra agli immigrati “clandestini”, cioè privi di permesso di soggiorno a causa della normativa che gli rende difficile l’accesso ad esso, è stata soltanto il primo atto di questa guerra interna non alle minoranze – come sostengono tanti miopi critici della sinistra democratica – ma alla maggioranza della popolazione statunitense, fatta di operai/e, proletarie/e, salariati/e di tanti colori e nazionalità. Non a caso l’adunata di Quantico è stata fatta alla vigilia del government shutdown – la chiusura temporanea delle attività governative che si verifica quando il Congresso non approva il bilancio. Trump ne sta approfittando per licenziare, secondo il piano apprestato da Musk, centinaia di migliaia di pubblici dipendenti nei settori dell’istruzione, sanità e servizi sociali gettando così altra benzina sul fuoco della protesta sociale che si fa sentire quotidianamente in piccoli, ma diffusi, episodi di resistenza alle brutali azioni delle pattuglie anti-immigrati. Guerra interna agli immigrati (al ritmo di 3.000 fermi e sequestri al giorno), ai “disordini civili”, ai movimenti di lotta, ma anche ai singoli oppositori, perfino blandi oppositori, la cui “resistenza” istituzionale può innescarne di assai più pericolose.
La “tavola rotonda” contro il movimento “Antifa”
Un altro fondamentale tassello per la definizione del nemico interno è stato indicato nella singolare “tavola rotonda” organizzata pochi giorni fa (8 ottobre) alla Casa Bianca per illustrare chi sono gli “Antifa” e perché vanno distrutti sul modello Gaza. Si tratta, notoriamente, di un movimento non troppo organizzato, ma Trump e i suoi l’hanno inquadrato come organizzazione terroristica da stroncare con ogni mezzo. Questo versante più apertamente politico della guerra interna è stato aperto dalla campagna scatenata contro gli attivisti per la Palestina, la loro espulsione o sospensione dalle università, il taglio dei fondi agli Atenei che non si allineano all’indirizzo rigidamente filo-sionista dell’amministrazione Trump. Ora il bersaglio si allarga di molto, all’intera opposizione politica, anche quella decisamente moderata e quasi del tutto silente, come i DSA di Sanders e Ocasio Cortes.
In questa adunata di propagandisti del maccartismo, diversi dei quali dalle chiare simpatie nazi-fasciste, l’anti-fascismo, e perfino la semplice opposizione alle misure contro gli immigrati, sono stati tacciati di “terrorismo” in modo da poter giustificare il ricorso a mezzi eccezionali per stroncarne l’attività (3).
Trump ha dichiarato trionfante: “ci siamo sbarazzati della libertà di parola“, e ha liquidato le pacifiche proteste di piazza degli scorsi mesi come il risultato di un piano ordito da una non meglio specificata “rete terroristica di sinistra”, non si capisce bene se identificata o meno con Antifa, di sicuro da stroncare. E con il parallelo avviso ai complici o difensori di questa presunta rete: “state in campana, perché altrimenti tocca a voi”, non vi salverete da arresti e destituzioni – che Trump ha già cominciato a chiedere per sindaci, governatori, magistrati, etc. che vorrebbero frenare questa politica.
Noem, la Segretaria alla sicurezza interna incaricata di perseguitare gli immigrati, ha descritto la “rete antifa” come qualcosa di “sofisticato quanto l’ISIS o Hezbollah”, mentre la Procuratrice Generale (ministro della giustizia) Pam Bondi ha assicurato: li “smantelleremo mattone dopo mattone”, “distruggeremo l’intera organizzazione da cima a fondo” in quanto “organizzazione terroristica straniera“. Il nemico interno come agente del nemico esterno – a pagamento s’intende. Questa lurida masnada di servi del capitale non sa concepire attività che non sia prezzolata, il solo loro ideale essendo accumulare denari e difendere con ogni forma di violenza e di frode chi ne ha accumulati di più. Se i nemici esterni, nel caso osassero sfidare il dominio amerikano, sarebbero “schiacciati dalla violenza, dalla precisione e ferocia del Dipartimento di Guerra” – parola di Hegseth -, cosa devono aspettarsi i nemici interni?
Fermiamoci qui – nella prossima puntata ragioneremo sulle cause e le conseguenze di queste politiche che designano, nel declino storico della superpotenza statunitense, il cammino ad una nuova guerra civile.
(3) https://thehill.com/video-clips/5545538-watch-live-trump-white-house-roundtable-antifa
La feroce guerra di Trump&Co. al “nemico interno”
2. In cammino verso la guerra civile…
PROSSO 21 Ottobre 2025
1. In un suo recente commento (La Stampa, 12 set. 2025), Alan Friedman dà una lettura dell’attentato Kirk come evento polarizzante in un’atmosfera surriscaldata, e quindi come catalizzatore dello scontro politico e sociale. Con la prospettiva dell’establishement democratico, insieme conservatrice e lungimirante, l’articolo dà il polso della situazione negli Stati Uniti in termini complessivi, politici.
Friedman vede un rischio per la “democrazia e la società civile” statunitensi, cioè per lo Stato e l’ordine sociale, ordine di classe, razzista e sessista.
Teme lo scoppio di una “guerra civile”, un’esplosione della conflittualità (seppur “a bassa intensità e sporadica”, fatta di attentati, assassini politici, sparatorie). L’innesco è ravvisato nell’azione della destra trumpiana, di cui Kirk era una figura-cardine.
E’ bene anzitutto dire di Charlie Kirk. Fin dal primo mandato Kirk apparteneva alla cerchia ristretta del presidente gangster dal ciuffo arancione: ospite fisso alla Casa Bianca, era insieme “cheerleader, guardiano e factotum politico”. Procacciava dollari e consensi, specie tra i giovani; garantiva a Trump “un canale di energia giovanile”. Turning Point USA, la sua macchina della propaganda, diviene rapidamente un impero, passando da 4 a 92 milioni di entrate tra il 2016 e il 2023.
In Fiesta di Hemingway un personaggio dice di aver fatto bancarotta “in due modi. Poco alla volta e all’improvviso”. La vicenda statunitense avrebbe assunto tali proporzioni da poter precipitare, facendo un salto di qualità.
Kirk era tra gli artefici dell’azione violenta e improntata alla paura condotta dalla destra trumpiana. Fu un fautore del tentativo insurrezionale del 6 gennaio 2021, significativo dell’istinto eversivo della nuova destra (Kirk rivendicava di aver organizzato “più di 80 pullman di patrioti diretti a Washington per combattere per questo presidente”). Soprattutto, sparse a piene mani veleno razzista e sessista. Secondo Kirk, “gli afro-americani stavano meglio sotto la schiavitù”. E’ una legittimazione del potere razzista e dello sfruttamento differenziale, cioè bestiale, delle comunità afroamericane ed immigrate – politica funzionale alla divisione interna e dunque alla spremitura della working class tutta, per fare l’Amerika capitalistica great again. Kirk, la destra MAGA, come espressione estrema, scoperta, del razzismo di Stato. Con altrettanta violenza Kirk propugnava la sottomissione della donna. “Ad un forum pubblico – ricorda Friedman – gli chiesero se la sua ipotetica figlia di dieci anni, violentata e rimasta incinta, potesse abortire: E’ terribilmente crudo. Ma la riposta è no, il bambino verrebbe partorito“. Già il linguaggio è rivelatore, la forma passiva che esclude il soggetto reale, la madre: “verrebbe partorito”. La donna è rappresentata e si vuole che sia un essere privo di ogni dignità: un organismo utile alla procreazione e alla cura della prole e del ‘focolare’, oltre che – ancora a proposito di sfruttamento differenziale – una lavoratrice vulnerabile e ricattabile, tanto più se si tratta di donne immigrate o afroamericane. E’ il duplice giogo della riproduzione sociale e della produzione spinta di valore.
Le parole di Kirk – apostolo cristiano-nazionalista della “dottrina MAGA” con schiere di seguaci digitali, ed ora martire – esprimono la durezza dell’attacco sferrato dalla corporate America trumpiana alla massa della popolazione mediante in particolare le armi del razzismo e del sessismo. Un simile, crescente livello di oppressione – “un’accelerazione reazionaria” già in corso (L. Celada, Il manifesto, 23 set. 2025), e che ora, a seguito dell’attentato, può ambire al salto di qualità – può d’altra parte suscitare una risposta conflittuale; questo il cruccio di Friedman. Egli richiama un altro aspetto della retorica di Kirk da ricondurre alla situazione esplosiva della società statunitense. Sollecitato circa le cataste di morti da armi da fuoco, Kirk rispose: “sfortunatamente è il prezzo che paghiamo per la libertà” (“fredda constatazione [che] suona come un epitaffio”, nota Friedman). Libertà che, con 500 milioni di gingilli in mano a 50 milioni di pistoleri (M. Bryant, direttore del Gun Violence Archive, La Stampa, 13 set. 2025), si traduce nella licenza di scannarsi a vicenda: nella interminabile serie di manifestazioni sanguinose dello stato di avanzata disgregazione della società amerikana. E ciò va bene, ai repubblicani come ai democratici, finché si tratta di un suicidio collettivo al rallentatore, ma preoccupa se malessere e rabbia si aprono alla dimensione sociale e, sia pur embrionalmente, si politicizzano.
Per argomentare come l’omicidio-Kirk possa essere l’”evento polarizzante” che, incoraggiando altra violenza, ossia anzitutto un’escalation repressiva, darà la stura ad una “guerra civile”, Friedman addita la sequenza di attentati verificatisi a partire dalla primavera scorsa.
- Giugno, Minneapolis. L’assassinio della speaker democratica M. Hortman e del marito, e il ferimento di un senatore locale e della moglie, per mano di V. Boelter – un fervente cristiano evangelico responsabile dei rassicuranti Praetorian guard security services, nonché tifoso dello Stato di Israele, il quale, come missionario a Gaza e in Cisgiordania durante la Seconda Intifada, aveva “cercato gli islamisti militanti per condividere il Vangelo e spiegare che la violenza non era la risposta” (Wired, 16 giugno 2025).
- Giugno, Boulder (Colorado). M. Soliman – cittadino egiziano fedele alla causa della rivoluzione stroncata da Al-Sisi con gran sollievo dell’Occidente democratico, e di recente precarissimamente “integratosi” negli Stati Uniti con la famiglia – al grido di “Palestina libera” si scaglia armato di un lanciafiamme artigianale contro un sit-in della locale comunità ebraica per la liberazione dei prigionieri israeliani. La sua famiglia verrà presto deportata (CNN, 2 giu. 2025; ABC News, 2 luglio 2025).
- Aprile, Pennsylvania. La residenza del governatore democratico J. Shapiro viene incendiata da C. A. Balmer – ex-riservista disoccupato, indebitato, con un matrimonio a pezzi, che pesta la moglie e i figli, è esacerbato dal caro-vita (“Can’t pay rent? Sell your fuckin’ organs! No more organs? Fuckin’ die then this is America be grateful for the opportunity you had.“), odia sia Biden che Trump, santifica la molotov (“Be the light you want to see in the world.“) (ABC News, 15 aprile 2025).
Friedman parla di guerra civile “sporadica”, “a bassa densità”. In effetti, in questi eventi spicca la figura del lone gunman (pistolero solitario) alla Taxi Driver, senza una realtà organizzata alle spalle, e va ammessa una componente di malessere interiore. D’altra parte, Friedman a ragione insiste sulla qualità generale del fenomeno quando precisa che “non sono atti isolati”. Essi sembrano infatti esprimere l’acuto livello di abiezione, disperazione e agitazione della società statunitense – una società, inoltre, infetta dal virus della brutalità imperialista che ha esportato a piene mani. Vi è un fermento diffuso che, in forma magari confusa, tende a politicizzarsi con radicalità.
Ne è esempio la vicenda di T. Robinson, l’attentatore di Kirk. Un ragazzo “normale”, uno studente capace, scrivono i giornali. Cresce sereno in una famiglia conservatrice tradizionale tra gite in Alaska e a Disney World. Conduce un’”esistenza tranquilla” condita dall’uso di armi da fuoco: il fucile ai tempi delle elementari, la prova con la M2 Browning da giovanotto. Tranquillamente, da adolescente si frigge il cervello con l’ameno Helldivers, insieme realistico sparatutto e “fantasia di potere”, adatto a chi senta il bisogno di “far saltare tutto in aria” (Forum in Reddit, 17 set. 2025). Si tiene alla larga dalla politica ufficiale e dal seggio elettorale. Tuttavia, di recente diventa “irascibile, pronto alla discussione e assai motivato”; si era “radicalizzato politicamente”, spiegano i familiari. Si è accesa una fiamma, che brucia articolando discorsi generali, politici, e trova un bersaglio ideale in Kirk (La Stampa, 13 set. 2025).
Se questa storia esprime probabilmente l’inesorabile discesa del ceto medio statunitense, è significativo che Friedman dia un taglio sociale, di classe, alla lettura della situazione. Come visto, egli si sofferma infatti sulla politica aggressiva della destra trumpiana, mediante in particolare l’arma del razzismo, e lo fa perché la interpreta come la benzina gettata sul fuoco d’una sofferenza e di una rabbia che dunque – a ciò guarda l’establishement – sono quelle del proletariato, e anzitutto della sua componente afroamericana e immigrata. Con l’espressione “guerra civile”, Friedman sembra voglia intendere, al di sotto della sanguinosa sequenza degli attentati, la possibilità di un’esplosione di classe a fronte dell’attacco brutale e privo di mascherature “democratiche” sferrato dalla cricca del gangster dal ciuffo arancione. Certo, scrive infatti, l’Amerika è intrisa della “cultura delle armi”, ma sarebbe errato cullarsi in una simile lettura dei recenti attentati, impolitica e rassicurante, perché “Trump ha strappato il cerotto del razzismo, ha ammiccato al suprematismo bianco con il compiacimento maligno di un complice”.
2. Al commento di Friedman fa eco un’analisi dello storico direttore dell’Economist, B. Emmot, il quale alza lo sguardo alla prospettiva politica di medio-termine (La Stampa, 13 set. 2025). D’accordo con Friedman, Emmot considera le ripercussioni dell’attentato Kirk e paventa che, dati anche l’inclinazione yankee alla violenza e un arsenale civile imponente, Trump e soci vogliano enfatizzare la spaccatura politica, finendo con il mettere così a rischio la “stabilità della democrazia americana”, la tenuta dello Stato. La previsione colpisce per la sua drammaticità e si riassume nelle parole “dittatura” e “guerra civile”, ossia, rispettivamente: “la possibilità che il governo ricorra alla forza militare per assumere il controllo” e la “possibilità – solo accennata da Friedman – che la violenza politica si diffonda in una popolazione ben armata”, conducendo così a un conflitto ‘ad alta densità’. In un contesto di radicalizzazione e crescente disponibilità alla violenza politica (secondo un recente sondaggio, un quarto della popolazione è favorevole alla violenza politica, e lo è ben il 41% dell’elettorato trumpiano (Pew Research Center, 2024)), l’”istinto” del governo Trump di ricorrere alla forza per estendere il potere può alimentare una “spirale di violenza e l’intervento dello Stato” – così Emmot.
Sulla falsariga di Friedman, ma più apertamente, Emmot ravvisa la possibilità di un’esplosione dei conflitti sociali e politici e, malgrado il debole argomento dell’”istinto” dittatoriale di Donald, sembra ritenere una prospettiva realistica la torsione autoritaria dello Stato. Friedman concludeva allusivamente il suo pezzo ricordando il cruento programma presidenziale per le celebrazioni della prossima festa dell’indipendenza: un cage fight UFC collocato nel giardino della Casa Bianca, “con ottagono, laser, fuochi d’artificio e sangue nell’erba del South Lawn” – “metafora perversamente perfetta dell’America di Trump”.
Emmot svolge la metafora. Nota come la destra trumpiana, Musk in testa, abbia ovviamente strumentalizzato lo shock prodotto dall’attentato-Kirk per denigrare la “sinistra radicale”, e lo stesso dicasi per le dichiarazioni seguite al recente attacco al centro ICE di Dallas. Soprattutto, Emmot evidenzia come la tendenza ‘dittatoriale’ fosse già consolidata, soffermandosi sull’impiego discrezionale della Guardia Nazionale e dell’ICE (espansione dell’Immigration and Customs Enforcement Agency, istituita dopo l’11/9 per incarcerare all’insegna del puro arbitrio i ‘soggetti pericolosi’ e organizzare rimpatri forzati), cioè sul ricorso sistematico e politico alla forza in aree urbane amministrate dal Partito democratico; laddove quel che conta, oltre ai colpi bassi assestati ai democratici, è la normalizzazione di una gestione militare del dissenso e di una politica del terrore nei confronti delle comunità immigrate.
Emmot afferma che l’”espansione sistematica del ruolo dell’esercito negli Stati Uniti e dell’ICE negli interventi di ordine pubblico”, che rischia di fare un salto di qualità dopo l’attentato-Kirk ed il fatto di Dallas, potrà causare un deterioramento della “democrazia” e della “legalità” così rapido e profondo da far rimpiangere il pur cupo scenario di “violenza politica a bassa intensità” delineato da Friedman. Trump, si rammarica Emmot, ha adottato una “forma tribale di politica”, facendosi cioè interprete della tendenza della corporate America a forzare il quadro liberal-democratico. Il cruccio, per gli Emmot, è la possibile conseguenza, il rischio di “scatenare un tribalismo simile a sinistra”, o, in altre parole, una conflittualità che ignori le forme della mediazione democratico-istituzionale assumendo un profilo più autonomo e di classe.
Comunque, Emmot ritiene che gli Stati Uniti abbiano imboccato la via autoritaria, tendendo ogni giorno di più ad una gestione brutale del potere di classe. Sicché, scrive, un evento come il delitto Kirk, o un altro analogo, potrà essere facilmente preso a pretesto per dichiarare l’emergenza nazionale, introdurre la legge marziale su ampia scala, perseguitare il dissenso sospendendo le libertà fondamentali, ed altre amenità, con un rinvio ad libitum delle elezioni. Malgrado il suo commento abbia il significato di un attacco allarmistico alla destra trumpiana, Emmot sembra convinto di un simile scenario; si interroga addirittura sul possibile ruolo dell’esercito nell’eventualità di una svolta reazionaria e stabilisce un confronto con la vicenda di Bolsonaro, sulla quale d’altronde è intervenuto Trump a gamba tesa deprecando la condanna del suo simile per tentato golpe. In Fiesta di Hemingway, ricorda Emmot, un personaggio dice di aver fatto bancarotta “in due modi. Poco alla volta e all’improvviso”. Ovvero, la vicenda statunitense avrebbe assunto tali proporzioni da poter precipitare, facendo un salto di qualità.
3. “I martiri sacralizzano la violenza. Vengono usati per rovesciare l’ordine morale. La depravazione diventa moralità. Le atrocità eroismo. Il crimine giustizia. L’odio virtù. […] La guerra è l’estetica finale. Questo è ciò che sta arrivando.” All’indomani del delitto-Kirk, celebrato come martire dalla destra MAGA, il commentatore radicale C. Hedges scrive un pezzo angosciato, privo della visione dei Friedman e degli Emmot, ma utile per toccare con mano l’accelerazione di quel che Hedges vede senz’altro come fascistizzazione del discorso politico statunitense.
L’alto papavero Bannon invita dalla sua War Room ad avere una “risoluzione ferrea” perché Kirk è una “vittima di guerra. Siamo in guerra in questo paese”. Gli fa eco Musk: “se non ci lasceranno in pace, allora la nostra scelta è combattere o morire”. Il commentatore e autore M. Walsh dà un volto al nemico, le “forze democratiche provenienti dall’inferno”. Il deputato C. Higgins stila un piano di guerra: minaccia di ricorrere al Congresso e alle piattaforme digitali per stanare chiunque abbia “sminuito [c.n.] l’assassinio di Charlie Kirk”, revocare quindi licenze commerciali e patenti di guida, inserire “aggressivamente” le attività dei traditori nella lista nera, cacciarli dalle scuole – in breve, “I’m basically going to cancel with extreme prejudice these evil, sick animals.” (Intendo eliminare senza mezzi termini questi animali malvagi, malati). Higgins onora così la pia opera di san Kirk, che aveva tra l’altro fondato la Professor Watchlist e la School Board Watchlist allo scopo di epurare i docenti della “sinistra radicale”. Infine il giovane e influente paperone J. Lonsdale – appassionato di “riparazione di industrie e governi dissestati” (sito personale Joelonsdale.com, consultato il 9 ott. 2025) – incolpa dell’omicidio Kirk l’”alleanza rosso-verde” dei “comunisti islamisti” che insidiano la “civiltà occidentale”. Anche qui un degno omaggio a Kirk, campione di islamofobia, promotore di campagne d’odio contro le popolazioni arabo-islamiche: “L’Islam è la spada che la sinistra sta usando per tagliare la gola all’America”, predicava il buon Charlie.
Le citazioni raccolte da Hedges sono importanti perché mostrano che il linguaggio bellicista e imperniato sulla disumanizzazione del nemico, che da un trentennio accompagna il fallimentare ma devastante rilancio dell’azione imperialista occidentale a guida U.S.A – dall’Iraq all’Afghanistan, fino all’inferno scatenato contro la resistenza palestinese – quel linguaggio è ora moneta corrente, ha finito con il dominare la politica interna statunitense. Guerra è la parola, l’idea chiave. Dalla guerra esterna alla guerra interna. Sulla bocca di Kirk e adesso, possibilmente ancora di più, dei suoi seguaci. Ma guerra a chi? E’ importante capire il senso sociale, di classe, di questo linguaggio – ci sono due aspetti, già accennati:
- Il primo riguarda la dimensione “strutturale” a cui va riferita l’ideologia mobilitante MAGA; riguarda il razzismo ed il sessismo senza veli come strumenti di sfruttamento differenziale e divisione della classe lavoratrice, e dunque come perno dell’oppressione (delle parabole di Kirk va pure ricordata l’immagine dei “neri in agguato” pronti ad assalire il probo viso pallido “per divertimento”, o il giudizio secondo cui Black Lives Matter vuol “distruggere il tessuto della nostra società”, e riguardo al sessismo l’esaltazione di Trump come “gigantesco dito medio a tutti gli squittenti controllori di corridoio che hanno attaccato i giovani uomini solo per il fatto di esistere”).
- Il secondo aspetto è l’attacco al processo di politicizzazione radicale dell’altra America, dell’America proletaria, e ciò senza farsi scrupolo alcuno per la violazione del diritto liberale, a cominciare dalla libertà di parola. Questo è il senso, lo scopo della demonizzazione di ogni soggetto in odore di “sinistra radicale”: soffocare nella culla ogni orizzonte attivizzante di emancipazione collettiva. Ciò vale in particolare per la guerra senza quartiere dichiarata contro il “comunismo islamista”. Nel mirino vi è la solidarietà diffusa e militante, ben viva negli U.S.A, con la causa della popolazione palestinese, avanguardia della resistenza delle masse arabo-islamiche all’imperialismo nel Medio-Oriente. Quel che con crescente brutalità vogliono schiacciare è l’identificazione dell’altra America – identificazione di stomaco magari, ma a livello di massa – con la causa della Palestina come “patria degli oppressi”, ben al di là della questione nazionale. Il che mostra, inoltre, il legame tra la guerra esterna, imperialista, genocidiaria, condotta contro la resistenza palestinese da Israele, con il cruciale supporto di Stati Uniti e Unione europea, e la guerra interna dichiarata dai vari Kirk al movimento ProPal come catalizzatore di una pressione conflittuale – Kirk, a proposito, viene compianto da B. Gantz come un “voracious defender of Judeo-Christian values, America and the State of Israel“; del resto, malgrado qualche balletto, egli negava ogni realtà all’affamamento di Gaza e plaudiva alla repressione del movimento universitario delle acampadas, nonché alla deportazione dell’attivista Mahmoud Khalil (Al Jazeera, 11 set. 2025).
Hedges da una parte vede, come Friedman ed Emmot, la tempesta che arriva; ha il polso della pancia MAGA, avverte una diffusa, messianica “esaltazione per l’imminente carneficina”. Denuncia, citando il comico dell’Alt-Right S. Hyde, il rischio della svolta autoritaria. Dopo l’omicidio Kirk, ha scritto Hyde rivolgendosi a Trump e taggando membri del governo e appaltatori militari privati: “è ora di fare il tuo cazzo di lavoro e prendere il potere [c.n.] … se vuoi essere più di una nota a pié di pagina nel capitolo “Collasso americano” dei futuri libri di storia, ora o mai più”. Hedges, d’altra parte, a differenza degli Emmot e dei Friedman, dà un’interpretazione riduttiva della tendenza fascistica amerikana, ché esclude la categoria e la realtà del conflitto – di classe, di “razza”, di genere. Si concentra sul processso di medio-periodo di espropriazione causata dalla deindustrializzazione, con ben 30 milioni di operai gettati in strada; scrive della disperazione e della rabbia montanti, di una condizione di alienazione su cui attecchisce il pensiero magico – dimentica tuttavia che il pensiero magico viene instillato, fatto colare dall’alto, sembra ignorare l’esistenza di una politica organica di abbrutimento culturale. Hedges sembra dire solo questo riguardo alle masse oppresse, vede solo questa folla di disgraziati in preda al fanatismo, inclini alla “celebrazione della violenza come un purgativo per il decadimento”. Egli argomenta come il delitto-Kirk dia ora modo alla nuova destra di tradurre in realtà il “fascismo cristiano”, scagliando quella massa di manovra contro le minoranze, perché solo così si può intendere l’elenco delle vittime stilato da Hedges: “dissidenti, artisti, gay, intellettuali, i poveri, i vulnerabili, le persone di colore, quelle senza documenti”. Ecco le “vittime sacrificali” destinate a esser sgozzate da un’orda di bianchi diseredati e rabbiosi sull’altare della palingenesi morale, della riconquista della “gloria e prosperità perdute”.
La mobilitazione nazionalista e fascistica del proletariato bianco è una questione vera. Hedges, tuttavia, non vede affatto le classi sociali. A differenza di un Emmot, sembra non capire che Trump, consapevole del crack della società statunitense, ha preso di mira la possibile mobilitazione, organizzazione e politicizzazione radicale a livello di massa, che conferirebbe alla temuta esplosione un profilo di classe – è questo, come visto, il versante della “guerra civile” che impensierisce l’intellighenzia democratica, spaventata dai contraccolpi conflittuali del carroarmato trumpiano. Di conseguenza, Hedges non dà una spiegazione della torsione autoritaria. Scimmiotta, seppur criticamente, il tema ideologico del “rinnovamento morale”, del Make America Great Again. Non vede che, in concreto, si tratta di una guerra sociale e politica preventiva volta a impedire brutalmente un salto qualitativo, in senso anticapitalistico, della conflitto sociale e politico. Sicché la lettura di Hedges, oltre che essenzialmente errata, è politicamente suicida. Questa voce della democrazia radicale s’è fasciata la testa prima di essersela rotta, vede solo nero, non vede le contraddizioni, la conflittualità cioè, che è la ragion d’essere della ‘guerra interna’ scatenata da Trump; né quindi dà alcuna indicazione strategica, organizzativa, che sarebbe invece necessaria poiché il conflitto sociale da sé non basta.
4. Le cupe previsioni circa l’accelerazione autoritaria hanno iniziato presto ad avverarsi. Dopo nemmeno una settimana dall’omicidio Kirk, il Guardian documentava il lancio di una vasta campagna di persecuzione delle voci fuori dal coro, critiche o semplicemente scettiche nei confronti del martire MAGA (Holmes, 16 set. 2025). E’ una caccia alle streghe. Diffamazione, messa alla berlina e un orwelliano invito alla denuncia dei dissenzienti ai datori di lavoro, con conseguenti licenziamenti (in un attimo il sito dedicato Expose Charlie’s Murders ha raccolto 63.000 delazioni). In Florida, Oklahoma e Texas degli insegnanti rei di aver espresso pensieri ‘inappropriati’ sono andati incontro a procedimenti a dir poco inquisitori, e così diversi militari. Ma, nota giustamente il Guardian, l’obbiettivo di questa “draconiana repressione della libertà di parola” sono le organizzazioni e i movimenti di opposizione, definite da S. Miller, eminenza grigia dell’amministrazione Trump, una “vasta rete terroristica interna”: “Con Dio testimone – promette solennemente Miller -, useremo ogni nostra risorsa a disposizione presso il Dipartimento di Giustizia, la sicurezza interna e in tutto il governo per identificare, interrompere, smantellare e distruggere queste reti, e rendere l’America di nuovo sicura per il popolo americano“.
Le cose nell’America di Trump sono andate da così a peggio nei giorni successivi. La cerimonia funebre per C. Kirk, l’adunata dei vertici dell’esercito a Quantico, la tavola rotonda alla Casa Bianca centrata sulla repressione del movimento Antifa sono altrettante tappe di un rapidissimo crescendo della guerra al ‘nemico interno’ (Il pungolo rosso, 11 ott. 2025). Ma è bene tornare al tempo sospeso immediatamente successivo al delitto-Kirk per notare un ultimo aspetto, forse ovvio, ma cruciale. In quei giorni Radio 3 Mondo osservava come, oltre alla stretta repressiva giustificata da questo evento-spartiacque – cioè la messa a tacere delle voci critiche, peraltro già avviata in grande stile con il taglio dei finanziamenti alle università -, vi sia l’accondiscendenza o comunque l’acquiescenza dei colossi della comunicazione, dalla Disney al L.A. Times di J. Bezos, passando per la CNN, per non dire – aggiungevano – del supporto della Corporate America. Contro la rappresentazione del trumpismo come un bubbone pustoloso su di un corpo di per sé sano, bisogna aver presente, invece, che Donald Trump è la degna faccia escrementizia dell’Amerika dei boss (Radio 3 Mondo, 19 set. 2025).
Per capire meglio quel che bolle in pentola per il prossimo futuro, è infine opportuno fare un ulteriore passo indietro e mettere meglio a fuoco le questioni del conflitto e dell’accelerazione autoritaria con un articolo uscito sul Pungolo rosso un istante prima dell’assassinio di Kirk (Il pungolo rosso, 10 set. 2025). L’articolo dava conto della prosecuzione delle proteste a Washington DC e Chicago contro il dispiegamento della Guardia Nazionale, ricordando l’avvio delle contestazioni, specialmente in California, ancora a marzo scorso. La mobilitazione, rivolta contro la guerra agli immigrati condotta da Trump mediante l’ICE, ha conosciuto un acuto a giugno, ma è poi rientrata, mentre è proseguita a tamburo battente la campagna governativa: deportazioni di massa, famiglie smembrate, la creazione di un clima di paura finalizzato a ridurre la forza-lavoro immigrata ad una massa inerme di servi. Quest’azione brutale – si notava anticipando ciò che Friedman e Emmott avrebbero detto tra le righe – determina “un ribollio nella società e nella classe lavoratrice americana che prepara nuove esplosioni [c.n.]”. Ne darebbe parziale conferma appunto lo scoppio delle proteste a Washington DC e Chicago ad agosto. Parziale perché le pur consistenti masse scese in piazza erano organizzate dalle associazioni per i diritti civili, stavano sul binario legalitario, con il Partito Democratico a fare da vagone di testa. D’altra parte, si osserva nell’articolo, già l’estate scorsa le pacifiche sfilate all’ombra delle associazioni in difesa della Costituzione e della democrazia hanno visto una rapida metamorfosi in termini di composizione e attitudine conflittuale; inoltre, gli episodi di contrasto attivo alle squadracce dell’ICE sembrano denotare un risveglio di coscienza proletaria.
[Qui un video sulla giornata di ieri a Chicago – guerriglia urbana contro le squadracce]
L’establishment democratico vede aggirarsi questo spettro e ha buon gioco a rappresentare la politica interna di Trump come una follia. La rottura del quadro liberal-democratico – sembra essere l’argomento – finirà col far tracimare la conflittualità, spingerla fuori dall’alveo istituzionale, e allora si salvi chi può. Tale preoccupazione è realistica e genuina, ma vi è probabilmente dell’altro. Trump potrebbe star scommettendo proprio sullo scoppio di ‘disordini’ per legittimare una svolta eversiva, dittatoriale, che annichilirebbe il polo democrat del potere; se è piuttosto palese l’uso in questo senso politico del dispiegamento della Guardia Nazionale in Stati e metropoli democratiche, gesti come il manifesto che ritrae Trump nei panni del tenente-colonnello Kilgore in Apocalypse Now mentre recita I love the smell of deportations [Amo l’odore delle deportazioni] sembrano avere davvero il valore di una provocazione. L’elemento di fondo, ad ogni modo, è che a dispetto della polemica politica dei Friedman e degli Emmot l’accelerazione autoritaria ha una sua razionalità. La cricca trumpiana si fa interprete della necessità ineluttabile, in una prospettiva di sistema ben presente alla Corporate America, di comprimere e deteriorare all’estremo bisogni e condizioni di vita della massa della popolazione proletaria, cercando così di risalire la china di un declino inesorabile. Ciò genera inevitabilmente, come dev’essere chiaro a Trump e al suo lugubre seguito, un’estensione e una radicalizzazione dei conflitti sociali e politici; sicché il trattamento brutale fin qui riservato alle popolazioni del Sud globale viene ora rivolto anche contro il “nemico interno”, in funzione preventiva, e in modo quanto mai aggressivo se la politicizzazione radicale può condurre alla solidarietà militante con le masse oppresse del Sud del mondo. Del resto, in quest’epoca di crisi sistemica, la violenza statuale interna è in crescita ovunque, ed è limitante identificarla con il trumpismo. Basti pensare al decreto-sicurezza firmato Meloni-Mattarella, o alla persecuzione del movimento Palestine Action da parte del governo laburista inglese, o ancora, tornando oltreoceano, alla violenta repressione delle acampadas ancora ai tempi di Genocide Joe. Il trumpismo è un’interpretazione conseguente di una tendenza strutturale del capitalismo globale, in particolare di quello statunitense e occidentale.
- A. Friedman, Il mio paese rischia una guerra civile, La stampa, 12 set. 2025
- Intervista a M. Bryant, La stampa, 13 set. 2025
- L. Celada, Per Kirk, con Kirk e in Kirk, Il manifesto, 23 set. 2025
- Evy Kwong, Vance Boelter, Wired, 16 giu. 2025
- What we know about Colorado suspect’s life leading up to antisemitic attack, CNN, 2 giu. 2025
- Family of man charged in deadly Boulder Molotov cocktail attack can be deported, ABC News, 2 lug. 2025
- Who is Cody Allen Balmer? Suspect accused of arson attack on Gov. Shapiro’s home, ABC News, 15 apr. 2025
- Forum in Reddit, 17 set. 2025 [https://shorturl.at/TKomP]
- Tyler, il killer della porta accanto, La stampa, 13 set. 2025
- B. Emmot, Violenza, Usa senza più anticorpi, La stampa, 13 set. 2025
- Chris Hedges, The Martyrdom of Charlie Kirk, Counterpunch, 12 set. 2025
- Ali Harb, Israeli Leaders heap praise on Charlie Kirk as a staunch ally of Israel, Al Jazeera, 11 set. 2025
- O. Holmes, J.D. Vance backs mass ‘doxing’ campaign to find and harass Charlie Kirk critics, The Guardian, 16 set. 2025
- La feroce guerra di Trump&Co. al “nemico interno” (1), Il pungolo rosso, 11 ott. 2025
- Radio 3 Mondo, La libertà perde la sua voce negli USA, 19 set. 2025
- A Washington e Chicago continuano le proteste contro l’impiego della Guardia Nazionale voluto da Trump, Il pungolo rosso, 10 set. 2025.
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