LA DEMENZA DELLA STORIA, OVVERO LE VITTIME CHE PRODUCONO ALTRE VITTIME da VOLERE LA LUNA e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
21294
wp-singular,post-template-default,single,single-post,postid-21294,single-format-standard,wp-theme-stockholm,wp-child-theme-stockholm-child,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.6,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.13,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-8.2,vc_responsive

LA DEMENZA DELLA STORIA, OVVERO LE VITTIME CHE PRODUCONO ALTRE VITTIME da VOLERE LA LUNA e IL FATTO

La demenza della storia, ovvero le vittime che producono altre vittime

Franco Di Giorgi  13-08-2025  

Lo sfruttamento, la speculazione, il guadagno fine a se stesso, trattenuti a fatica fino a poco tempo fa all’ombra dei maneggi umani, perché considerati ingiusti come l’anima nera del liberismo e del capitalismo, oggi con la violenta imposizione dell’ingiustizia vengono portati alla luce del sole e affermati apertamente per legge come valori umani universali. Tutto quello che solo fino a ieri, in tutti i campi, veniva considerato come ingiusto, oggi viene imposto come assolutamente giusto. Più che di una transvalutazione si tratta di un nuovo sovvertimento valoriale, di un nuovo stravolgimento etico, analogo a quello che denunciava Hannah Arendt alla fine degli anni Quaranta nel suo saggio sulle Origini del totalitarismo. Come se nulla fosse stato, e in barba a ogni cultura della memoria, si ritorna stupidamente, indolentemente all’hobbesiano homo homini lupus, alla legge del più forte, per il quale non ci può essere scampo per le minoranze e per i più deboli. Rifacciamo di nuovo, insomma, l’esperienza dell’oscuramento dell’idea di democrazia.

Anche il tanto decantato progresso tecnologico oggi si rivela una pia illusione postumana, un tragico regresso, perché, nonostante tutte le promesse avanzate dai signori del tech, esso ci ha riportato alla foresta, alla caverna, alla guerra fra tribù. Proprio questi signori oggi vogliono farci credere che la democrazia è stata solo una breve parentesi, una noiosa avventura dello spirito, un errore, una deviazione, una semplice ramificazione del grande e unico fiume della vita animale e istintiva al quale ora volenti o nolenti, pur annaspando controcorrente, ci stiamo ricongiungendo. Vogliono convincerci insomma che si torna al vero, all’unica e autentica realtà pragmatica e che quanto la cultura umana aveva fin qui prodotto era solo un ludus, un sogno, un inganno. Da qui tutta l’idiosincrasia per ogni forma di istruzione e di cultura critica, intesa da quei tycoon più che altro come una semplice formalità burocratica, soprattutto come un ostacolo di cui occorre disfarsi al più presto, anche grazie all’intelligenza artificiale. Da qui conseguentemente il rifiuto delle idee di rispetto, di tolleranza, di diritto e del politically correct cresciute e maturate all’interno di quella ramificazione culturale. È in ogni caso presumibile che, proprio perché così tanto attratti dai simboli dell’ideologia nazista – come essi stessi hanno voluto a più riprese sottolineare durante la campagna elettorale per Trump – quei signori non avrebbero certo dubbi a mettersi contro Israele e gli ebrei nel momento in cui un nuovo governo israeliano decidesse di non comprare più armi dagli Stati Uniti. Non per niente nel suo recente rapporto sui territori palestinesi Francesca Albanese parla di corresponsabilità di una serie di aziende tecnologiche statunitensi nell’attuale massacro condotto dagli israeliani a Gaza. E ciò, naturalmente, non può non far pensare ai forti interessi e ai lauti introiti delle numerose imprese non solo tedesche che finanziarono, collaborarono e si resero responsabili del giudeicidio al tempo del Terzo Reich. A tal proposito, per chi volesse approfondire (anche solo per un semplice confronto) la portata del genocidio ebraico si consigliano i testi di Raul Hilberg e le testimonianze del Sonderkommando (ad esempio quelle raccolte da Gideon Greif), ossia degli ebrei che hanno lavorato nei crematori, i cui impianti erano stati appositamente approntati dalla Topf & Söhne di Erfurt e riforniti del micidiale Zyklon B dalla Tesch & Stabenow di Amburgo.

D’altronde, come ricordava Cioran, già per de Maistre la degradazione individuale e nazionale viene annunciata dalla degradazione del linguaggio, un linguaggio che oggi, nell’epoca del Twitt, assume quell’ordinarietà e quella convenzionalità da cui sfuggivano autori intramontabili come Rilke e Proust. Certo, assai “impegnativo” era, per la ragione, sostenere quelle idee democratiche, perché, per quanto poteva, essa doveva resistere alla tentazione di ubbidire all’istinto animale di sopraffazione dell’altro per ridurlo a semplice mezzo, a schiavo, doveva opporsi alla tentazione di dar seguito alla reazione più semplice e più radicale, più elementare e più naturale. E solo perché questo istinto animale di sopraffazione era reciproco, riguardava cioè sia l’aggredito sia l’aggressore, solo per questo divennero necessarie le istituzioni sovraindividuali. Ma nel tempo del globale declino democratico, in cui il rischio di quella reciprocità è stato quasi annullato, un declino che Vico chiamava barbarie della riflessione, nel tempo in cui il sano scetticismo si è andato via via trasformando in postverità, vale a dire nella “verità” orwelliana, le istituzioni internazionali sono le prime a perdere la loro funzione diplomatica di intermediazione, visto che sono state ridotte a grandi magazzini di quelle idee.

E a proposito del declino di queste istituzioni (assimilabile per certi versi al declino delle grandi narrazioni di cui parlava Lyotard ne La condizione postmoderna), se dobbiamo credere a quanto ci dice a chiare lettere la minacciosa realtà in divenire, allora il futuro che ci si prospetta sarà tremendo. Esso si profila così spaventoso da indurci persino a rifiutare non solo di esprimere a parole quella minaccia, ma persino di pensarla. Di che cosa si tratta? Nella nostra percezione offuscata del mondo due più due continua a fare quattro, pur cambiando l’ordine degli addendi. Sembra infatti che la realtà ci stia stringendo in una morsa dialettica tra due poli che si sono sempre opposti, anche se oggi ci vogliono convincere che opposti non sono. Da un lato vediamo l’inarrestabile avanzate delle destre estreme, delle democrazie illiberali, e non solo in Europa. Dall’altro lato ogni giorno che passa si resta sempre più sgomenti per il massacro che l’attuale Governo israeliano sta compiendo nei confronti della popolazione palestinese con il pretesto di piegare Hamas e i potenziali annientatori dello Stato di Israele. Nel tempo, però, e in molte parti del globo quello sgomento finirà con il trasformarsi indiscriminatamente in odio verso Israele, non solo tra i sopravvissuti della Striscia di Gaza. A questo pericolo si riferiva il saggio di Anna Foa sul suicidio di Israele. A questo rischio del moltiplicarsi della violenza si riferiva inoltre Primo Levi ne I sommersi e i salvati: una violenza che, al di là di quanto ne pensino alcuni nostri filosofi, andrebbe invece stigmatizzata in qualunque modo e da qualunque parte essa derivi. Il cinismo e la crudeltà mostrata dall’esercito israeliano verso l’inerme popolazione palestinese non potrà che giustificare, anche dinanzi ai nostri occhi, la reazione composta che un giorno, mutatis mutandis, le destre antisemite potrebbero di nuovo preparare non solo contro gli israeliani, ma anche contro tutti gli ebrei. In tal caso i neofascisti e i neonazisti avranno paradossalmente il sostegno non solo degli antisemiti, ma anche – ecco qual è la cosa tremenda – di coloro che antisemiti non sono affatto o non credono di essere e che tuttavia sentono sia giusto che un tribunale internazionale giudichi ed eventualmente condanni quel Governo e i suoi sostenitori per la loro brutale pulizia etnica – non si può infatti parlare di crimini di guerra, perché nella Striscia di Gaza è in atto tutto meno che una guerra.

Fin qui non solo gli Stati Uniti hanno appoggiato la politica israeliana verso i palestinesi. Pur dinanzi al massacro e all’affamamento dei gazawi, l’hanno di fatto sostenuta con la loro reticenza anche altri governi: sia quello tedesco, per le note ragioni storiche, sia il nostro, per una certa qual vicinanza ideologica. Con il suo silenzio, quest’ultimo di fatto sostiene la politica coloniale israeliana, ormai dichiaratamente invasiva, tesa a quella sostituzione etnica di cui a casa propria esso dice di essere strenuo oppositore. L’isolamento e l’abbandono che un tempo non molto lontano hanno provato gli ebrei, ora questi ultimi li stanno facendo provare anche ai palestinesi, lasciando così un certo sbigottimento nella coscienza di molti amici del popolo ebraico, i quali credevano che mai più si dovessero ripetere situazioni di una simile brutalità e tanto meno da parte degli ebrei. L’orrore adesso è però talmente assurdo che si sarebbe quasi portati a pensare che il massacro dei gazawi (come d’altronde ogni altro massacro della storia, non ultimo quello degli armeni) debba servire in questo caso da esemplare monito per scoraggiare in futuro altri eventuali attacchi contro lo Stato di Israele, e che i bambini palestinesi vengano uccisi e lasciati morire – così come credevano i nazisti riguardo al massacro dei bambini ebrei – per evitare che essi possano un giorno vendicarsi per la strage del loro popolo da parte del governo israeliano. La storia si ripete a ruoli rovesciati, con figure e scopi diversi, ma si ripete. Una delle contraddizioni più brucianti della storia fu ad esempio quella che, dopo il secondo conflitto mondiale, vide gli alleati cooptare alcuni nazisti per utilizzarne i segreti militari. Una cosa analoga accade oggi quando, come si è ricordato, il maggiore alleato di una volta utilizza e foraggia l’attuale Governo israeliano di destra per contrastare i suoi possibili nemici in Medioriente. E noi, assieme a tutte le istituzioni internazionali, pur sapendo di questa imminente ripetizione, non possiamo far nulla per riconvertirla e per arrestarla.

Questa la demenza della storia, la tremenda tragedia che le vittime fanno vivere ad altre vittime, alle loro vittime. Giacché di questo si tratta: di una guerra tra vittime, in un abisso di violenza vittimaria sempre più profondo e inarrestabile dinanzi al sorriso ebete dei presunti signori del pianeta, che sembrano capire ma non capiscono. La demenza è tale che ora, mentre continuano a consumarsi i naufragi come moderni riti sacrificali, si accendono persino nuove guerre per tentare di far dimenticare quelle già in corso, quelle note e quelle meno note. «Durante gli anni di guerra – scriveva Rilke un secolo fa in una lettera del 1921 a Merline – ho creduto spesso di avvertire […] la sparizione dell’oggetto». È un’angoscia simile a quella provata dal poeta delle Elegie duinesi quella che in qualche modo oggi si avverte dinanzi alla fame di polvere e di cenere (afar ve’efer) mostrata dai signori dissennati della storia amente.

Israele, 500mila nelle piazze. “Bibi riporti gli ostaggi a casa”

Manuela Dviri  18 Agosto 2025

Folla nelle strade per lo sciopero generale proclamato dalle famiglie. Tensioni e scontri: 38 arresti. Il premier: “Aiutano Hamas

Ero appena rientrata a casa e mi stavo preparando a raccontare lo sciopero generale, pronta a tornare alla dimostrazione della sera dalla stazione ferroviaria fino alla piazza degli ostaggi, quando il mio cellulare ha iniziato a suonare per annunciare che stava arrivando un missile dallo Yemen. Pochi minuti dopo sono suonati gli allarmi intorno a casa e in tutta Israele. Erano le 16,15. In quel momento nella piazza degli ostaggi andava in scena una performance. Con un baldacchino tenuto su da quattro genitori veniva celebrato il “matrimonio di un rapito con una sposa vestita di bianco e una vestita di nero”. In abito da sposa e con le lacrime agli occhi, la sopravvissuta alla prigionia Ilana chiedeva al suo Matan Zangauker, ancora nelle mani di Hamas, di sposarla. “Non smetto di pensare a ciò che ci è stato tolto – diceva la donna -, lotterò per te finché non tornerai. Ci rialzeremo insieme e costruiremo la nostra casa in Israele”. Quando, subito dopo, è suonato l’allarme nella piazza c’è stato il fuggi-fuggi. La regola dice di stendersi per terra se non c’è in vicinanza una stanza protetta o un rifugio, ma molti sono corsi nella stazione della metro, lì vicino. Per fortuna non ci sono state vittime, né danni. Siamo abituati, è la nostra vita.

La protesta era iniziata alle 6,30 del mattino, l’ora in cui Hamas iniziava la strage del 7 ottobre, ormai 681 giorni fa. In poche ore si è diffusa ovunque nel paese, in 200 diversi incroci di 100 diverse città, ma anche in luoghi improvvisati. La superstrada Ayalon è stata bloccata a nord e sud. Le strade della sola Tel Aviv sono state inondate da oltre 500 mila persone che hanno chiesto ancora una volta al governo Netanyahu la fine della guerra e un accordo che garantisca il ritorno degli ostaggi, per i quali la destra religiosa, quella non messianica né fondamentalista, nel pomeriggio ha recitato salmi. “L’unica ragione per cui non sono stati ancora liberati – ha detto Shikma Bressler , leader del gruppo delle Bandiere nere – sono i gretti calcoli politici del governo israeliano. Chi si chiede perché siamo ancora a Gaza, deve sapere che è perché serve al governo, che 22 mesi dopo il massacro continua a considerare il Qatar un partner e Hamas un bene (quindi preferibile all’Autorità palestinese, ndr). Finché continueremo a giocare secondo le sue regole lui non si fermerà e noi saremo sconfitti. La chiave per salvare Israele è spezzare queste regole. Non solo con manifestazioni settimanali e blocchi sporadici. Dobbiamo mettere il governo Netanyahu nell’impossibilità di operare sul piano economico e civile”.

Netanyahu, appunto. “Coloro che oggi chiedono la fine della guerra non solo stanno irrigidendo la posizione di Hamas e ritardando il rilascio dei nostri ostaggi, ma stanno anche assicurando che gli orrori del 7 ottobre si ripeteranno e che dovremo combattere una guerra senza fine”, ha detto il premier liquidando le proteste in una non inedita consonanza di intenti e visione con gli esponenti della destra messianica che lo sostengono al governo, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e quello della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir.

Nelle strade e nelle piazze non sono mancati momenti di tensione, come quando una donna ha tentato di spruzzare dello spray al peperoncino contro alcuni dimostranti. O quando l’autista di un camion ha accennato ad andare addosso a un altro gruppo di manifestanti, prima che gli stessi lo fermassero. Ci sono stati anche scontri tra manifestanti e forze dell’ordine e alla fine 38 persone sono state arrestate, 19 nella sola Tel Aviv.

Ma ieri le piazze di tutto Israele erano sintonizzate su un’altra lunghezza d’onda, più alta e profonda. “Vogliamo pace, giustizia e futuro per tutti i bambini qui a Gaza e in Palestina: è tempo di fermare la guerra. Ora”, è stato il grido delle “Madri contro la violenza”. “Grazie di essere usciti di casa per noi”, hanno chiosato in un comunicato i parenti degli ostaggi. “Non finirà qui. E non è stata una piccola parte del paese a manifestare, è stata la maggior parte di Israele”.

No Comments

Post a Comment

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.