CITTÀ O LUOGHI ARTIFICIALI PER TURISTI E BENESTANTI (DA CUI ESPELLERE I POVERI)? da VOLERELALUNA
Città o luoghi artificiali per turisti e benestanti (da cui espellere i poveri)?
25-09-2025 – di: Enzo Scandurra
Il Tribunale del Riesame di Milano ha di fatto smontato le accuse della Procura e del GIP milanese relative all’inchiesta urbanistica: non c’è stato alcun patto corruttivo, sentenzia il Tribunale, e, pertanto, si aspetta che le misure cautelari prese nei riguardi di alcuni autorevoli personaggi coinvolti nella vicenda, siano revocate. Nel frattempo Letizia Moratti, col seguito di Forza Italia, è corsa in soccorso del sindaco Sala proponendo un “patto per Milano”, superando l’impasse provocato dalle vicende urbanistiche e di San Siro. Se il patto luciferino si avverasse (e molti sono i timori che ciò accada) avremmo un’ulteriore conferma che destra e sinistra condividono lo stesso concetto di modernità, una modernità di stampo neoliberista, dettata dal mercato e che favorisce i grandi interessi proprietari e gli investimenti privati a spese dei cittadini.
Dunque il “modello Milano” risorge? E magari anche la legge sul “Salva Milano” ferma in Parlamento in attesa di larghe intese e che cancellerebbe molte delle riforme urbanistiche degli anni Settanta? L’esca è stata lanciata al PD che, per il momento, tace. Ma su questa partita, il futuro delle nostre città, si gioca una posta rilevantissima se è vero, come dice Consonni che: «disinteressandosi dell’abitare e del fare città, a che cosa si riduce la politica?» (1), perché «è proprio in grazia delle opere belle e della vita associata si deve ammettere l’esistenza della comunità politica» (2).
Ma lasciamo stare le vicende giudiziarie, sempre più complicate e ancora non definitive, per porre l’attenzione sul modello milanese. Supponiamo, per un istante, che tutte le costruzioni (grattacieli e altro), oggetto di indagine, siano state invece progettate o in corso di realizzazione o realizzate, secondo le norme urbanistiche e i regolamenti edilizi vigenti, senza alcuna violazione delle leggi. Ebbene sarebbe questa la città che vogliamo? Quella dei grattacieli, del bosco verticale, di CityLife, il più grande distretto urbano dedicato allo shopping?
Perché il rischio è che i risultati fin qui dell’indagine della magistratura, smentita, ripeto, dal Tribunale del Riesame, creino una cortina fumogena su un modello di città ritenuto, nonostante tutto, progressista e modernizzatore. E che esso diventi anzi un esempio per altre città in affanno di modernismo (Roma, Firenze, Napoli in primis). Un modello che omologa le nostre bellissime città a quelle effimere e sfavillanti dei paesi arabi: Dubai, Doha, Abu Dhabi ecc. Un modello generatore di disuguaglianze e privo di quelle virtù che hanno reso celebri le nostre città: senso di comunità, civismo, urbanità, tradizioni, bellezza, come sosteneva Cattaneo, oltre che, sarebbe omissivo ignorarlo, luoghi di drammatici conflitti.
L’urbanità, la vita in città, può essere considerata misura di civiltà di un popolo. Condiziona la nostra psiche, le nostre azioni, le nostre sensazioni quotidiane, i nostri umori; l’atmosfera urbana, per dirla con H. Schmitz, «è l’esperienza soggettiva della realtà effettuale che gli uomini condividono tra di loro esperendola come qualcosa di oggettivo» (4). E aggiunge Asor Rosa: «me ne dispiacerebbe molto, ma potrei fare a meno di leggere libri; potrei ignorare l’ultima teoria filosofica; ma lo voglia o no, non posso fare a meno di misurarmi con il tessuto urbano, dentro al quale vivo e con il quale quotidianamente mi misuro» (5).
Sappiamo bene come fondi di investimento, finanza, abili immobiliaristi traggono profitto (in epoca di smobilitazione dell’industria) dal plusvalore che assumono le città con le loro infrastrutture, locazioni per turisti, sedi di banche o altre società, quartieri residenziali di lusso per benestanti, architetture fantasmagoriche, centri commerciali; ovvero dalla città trasformata in un elemento di marketing. Un esempio, proprio a Milano, è rappresentato dal quartiere di CityLife, un quartiere esclusivo, residenziale – commerciale, dove torreggiano grattacieli (con ironia denominati “il dritto, lo storto e il curvo”) accanto a residenze blindate destinate ai ricchi, un enorme centro commerciale e poi tante botteghe di lusso immerse in un parco surreale come fosse un mondo a sé. Quella non è città, è una oasi per benestanti cittadini, autosufficiente a tal punto che i residenti di quel quartiere non debbono nemmeno uscire di casa per confondersi nella folla anonima della città. Che consuma suolo e costruisce grattacieli e si vanta di perseguire obiettivi di sostenibilità. E man a mano che questo modello di città prende piede, i vecchi residenti sono costretti a lasciare la vecchia città che si rifà il trucco, per andare ad abitare in zone più periferiche e squallide. Per loro “quella città” è solo un luogo di lavoro dove recarsi ogni giorno con i mezzi pubblici da periferie lontane. La distanza tra ricchi e poveri si fa anche fisica, geometrica.
Esempi di questo tipo ormai appaiono anche in altre città: a Roma, per esempio, in un’area che non è esagerato definire “sacra” per le sue qualità paesaggistiche – la foce del Tevere a Fiumicino – si progetta un gigantesco porto per le navi da crociera (quelle navi lunghe 360 metri e alte 70 che consumano in un giorno la quantità di carburante di mille auto). Un porto privato in cui dovrebbero arrivare migliaia di turisti e pellegrini (l’opera rientra tra quelle previste per il Giubileo del 2025!) per proseguire (non si sa come) il viaggio per Roma. E per togliere dalla vista i cassonetti stracolmi di immondizia, si progetta un grande impianto di un inceneritore (naturalmente localizzato in periferia) anziché riciclare i rifiuti come ogni buon senso (non c’è bisogno neppure di scomodare la scienza) suggerirebbe.
Questo malsviluppo è basato sulla capacità di attrarre sempre più turisti, capitali e investitori privati (ogni opera, ogni architettura ha questa finalità): aumentare la capacità attrattiva della città a spese (come conseguenza diretta) dei cittadini in affanno che di questa presunta ricchezza avranno solo i danni collaterali, ovvero l’espulsione verso le periferie. Un gigantesco fenomeno di privatizzazione delle città, complice la “nuova urbanistica semplificata” del “modello Milano” che facilita i processi, accelera le procedure, scavalca le soprintendenze considerate inutili burocrazie conservatrici, realizza varianti al PRG, sdogana qualsiasi ostacolo si frappone alla realizzazione di una presunta modernizzazione al cui altare vanno sacrificate norme, diritti e bene pubblico. E a chi si oppone o almeno tenta di ostacolare questa modernizzazione – comitati, associazioni, gruppi di cittadini –, qualche volta (non sempre) l’amministrazione concede generosamente il lusso di una limitata partecipazione (a scelte già fatte) sussumendo il conflitto, manipolando la pubblica opinione. Mentre oppositori più radicali vengono tacciati di essere “anime belle” e di non capire il cambiamento che avanza, “terroristi” urbani, oppositori a priori; coloro i quali dicono sempre di no. Bisogna convincere la cittadinanza che una nuova era è alle porte con slogan retorici: la città della gioia, il bosco verticale, la foresta romana, housing sociale, che invocano il progresso, la bellezza del verticale, l’efficienza dei centri commerciali e, soprattutto, l’inutilità di uscire nelle piazze restando a casa per non disturbare l’orda dei turisti, i veri e nuovi protagonisti della città.
Questi processi, che ormai riguardano tutte le grandi città, ricevono spesso dagli abitanti commenti positivi: finalmente si cambia! Era ora che si facessero delle opere! E via dicendo. Così a Roma, durante le festività del Natale, grandi folle di romani si sono riversate a piazza Pia e a via Ottaviano per ammirare la città che si trasforma, trasformati essi stessi – che sono i veri abitanti – in turisti occasionali. Questi entusiasmi hanno breve durata, quando anche i loro sostenitori si accorgeranno che a poco a poco la città sta diventando privata a beneficio dei pochi arricchiti. È già successo con il sequestro di alcune parti di Firenze per la parata di moda di Gucci, a Venezia per il matrimonio di Bezos, ancora a Roma con la parata kitsch di Dolce&Gabbana. Non sempre, infatti, gli abitanti riescono, nella baraonda della retorica corrente, a saper distinguere gli elementi della città che soddisfano le loro esigenze, che poi significa una vita in comune migliore, le virtù civiche, la vita associata (le piazze, la strada, il mercato), rispetto alla fiera espositiva dei presunti vantaggi della bellezza intesa esclusivamente come mera estetica (alcune volte nemmeno questa). Esigenze che erano ben conosciute dai costruttori delle antiche città (la bellezza come “ben fatto”).
Le condizioni di vita imposte dal capitalismo hanno fatto perdere questi valori nella coscienza collettiva, sostituendoli con falsi idoli scenici creati dal mercato e da stravaganti architetti, generando una frattura dolorosa tra architettura e urbanistica, sostituendo l’intervento edilizio isolato alla pianificazione urbanistica: «L’architettura del singolo edificio, per quanto pregevole, non basta da sola a fare città» perché «mummificata nella sua arroganza, l’architettura non è in grado di innescare ragioni di senso, di nutrire l’immaginario e, ancor meno, di contribuire alla bellezza d’assieme: diviene il sarcofago di sé stessa».
In questi giorni la città di Gaza City sta per essere rasa al suolo da una furia omicida e genocida senza quasi precedenti nella storia degli umani. L’operazione di sterminio prevede, a “lavoro finito” una grande riviera di lusso realizzata sui corpi dei palestinesi morti. Chissà se un giorno questa “rigenerazione urbana” prenderà il nome di modernizzazione.
Note:
(1) G. Consonni, Ridisegnare Milano, in Doppiozero, settembre 2025
(2) Aristotele, Politica III, in G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città, Quodlibet, 2004, p. 9
(3) C. Cattaneo, La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, Il Crepuscolo, 1857
(4) H. Schmitz, L’atmosfera di una città, in T. Griffero, A. Petrillo (a cura di), Atmosfere urbane, ed. ETS, 2024, p. 5
(5) A. Asor Rosa, Prefazione al libro di V. De Lucia, Le mie città. Mezzo secolo di urbanistica in Italia, Diabasis, 2010
(6) G. Consonni, Esilio dalla parola, esilio dai luoghi, in Gli asini, giugno 2025.
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