GIORGIA MELONI, SENZA PIÙ CONFINI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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GIORGIA MELONI, SENZA PIÙ CONFINI da IL MANIFESTO

Giorgia Meloni, senza più confini

L’orizzonte della Premier Meloni è convinta, non senza fondamento, che il tempo delle tutele stia per finire, e che presto le élite liberali non potranno che assecondarne i disegni politici

Mario Ricciardi  22/10/2025

Un forte vento soffia sull’Atlantico, porta con sé l’eco di parole d’ordine che spazzano via quel che rimane del consenso socialdemocratico che nel dopoguerra ha plasmato la politica europea. Le culture riformiste, conservatrici e socialiste si erano illuse di imbrigliarlo.

Per qualche tempo si erano illuse di sfruttarne l’energia per rivitalizzare le economie delle democrazie ricostruite dopo la sconfitta dei fascismi, restituendo all’Europa la capacità di competere che perdeva in uno scenario stravolto dalla globalizzazione dei mercati finanziari. Comprimere il costo del lavoro, e imbrigliare la spesa pubblica entro regole costituzionali che la orientassero alla crescita, era apparsa più o meno a tutti la ricetta obbligata per stare a galla e continuare a navigare.

Nell’ultimo decennio, tuttavia, questa ricetta si è rivelata insufficiente. L’ascesa di Donald Trump e il suo ritorno alla Casa bianca hanno mostrato che non è possibile governare la spinta proveniente dagli Stati uniti addomesticandola in modo da impedire che innescasse una crisi politica. Ad alimentare il vento della nuova destra non sono più soltanto le idee della nuovo partito repubblicano nazionalista e suprematista, ma anche la pressione convergente esercitata da immensi patrimoni che hanno catturato la democrazia statunitense e ne stanno smantellando le garanzie costituzionali, in modo da mettere la forza della repubblica imperiale a servizio dei nuovi oligarchi. Nel Regno unito, in Francia e in Germania ciò che rimane dei partiti che, alternandosi alla guida del governo, avevano gestito la liquidazione dell’eredità socialdemocratica, assecondando le tendenze neoliberali, perde consenso in modo evidente, e si rassegna alla subordinazione rispetto a nuove forze politiche che sono pronte a rivendicare il ruolo di vassalle di una potenza imperiale che rivendica il proprio primato con la forza. La sottile strategia dell’egemonia culturale . che fa leva sui modelli istituzionali e ideologici – viene sostituita da quella del dominio. Sempre più arrogante e violenta proprio perché le risorse di consenso si estinguono.

In questo nuovo scenario, l’Italia ha una posizione peculiare. Un sistema politico debole, che nel nuovo secolo si era affidato all’illusione tecnocratica per sopravvivere, è stato messo alle corde da una leader politica spregiudicata, che ha saputo adattarsi al tempo nuovo senza perdere del tutto i contatti con le sue radici, che da imbarazzo sono diventate risorsa preziosa. Più e meglio di altri, Giorgia Meloni può proporsi come fiduciaria del nuovo regime trumpiano che sotto diversi punti di vista si sta rivelando un potente fattore di legittimazione. Ciò che un tempo escludeva la destra post-fascista dalla piena agibilità politica (come era accaduto in fondo anche negli anni di Berlusconi, che aveva fatto da garante «democratico» agli eredi del fascismo) le consegna oggi un ruolo di primo piano tra gli interlocutori europei del trumpismo. Un legame ben visibile, non solo nella presenza frequente e ben pubblicizzata di Meloni nei nuovi rituali del potere statunitense, ma anche nell’accettazione di una tutela «paternalistica» da parte di Trump, cui la leader di Fratelli d’Italia non si sottrae affatto anche quando assume, come è accaduto nei giorni scorsi, un carattere discutibile. Nel nuovo mondo delle democrazie oligarchiche gli alleati rinunciano alla finzione della parità imposta dal galateo delle relazioni internazionali. Oggi conta soprattutto la fedeltà, la presenza a corte, non troppo lontano dal punto in cui convergono i rapporti di dipendenza e dominio.

Accade così che alla comunicazione irrituale – ma sempre più frequente – da parte di Trump di «arcana imperii» della politica internazionale che la riguardano, il capo del governo italiano non senta il bisogno di far seguire una smentita, perché nella rivelazione del suo allineamento alle posizioni statunitensi sui dazi e sull’Ucraina ella non vede causa di imbarazzo, ma al contrario la conferma di una posizione privilegiata alla corte dell’imperatore. Pazienza se la cosa mette in difficoltà i suoi difensori nella stampa centrista e liberale, che nelle stesse ore intervenivano da ogni pulpito disponibile per ribadirne le credenziali impeccabili sul piano della solidarietà europea.

Meloni è convinta, non senza fondamento, che il tempo delle tutele stia per finire, e che presto le élite liberali non potranno che assecondarne i disegni politici perché l’alternativa sarebbe un’irrilevanza che non possono permettersi. Lo abbiamo visto sulla Palestina, e lo vedremo anche in politica interna. Di recente, Ta-Nehisi Coates ha detto che se il partito democratico statunitense non riesce a tracciare un confine per il genocidio, probabilmente non riesce a tracciarlo per la democrazia. Questa affermazione ha una validità anche nel contesto europeo, dove tracciare un confine è altrettanto urgente.

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