COSÌ CI INGANNA IL POTERE: FRASI BREVI, IDENTITÀ FORTI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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COSÌ CI INGANNA IL POTERE: FRASI BREVI, IDENTITÀ FORTI da IL FATTO

Così ci inganna il potere: Frasi brevi, identità forti

Simona Ruffino*  19 Ottobre 2025

Le parole hanno smesso di raccontare il mondo: lo stanno riscrivendo. In pochi mesi Trump and friends hanno abilmente saltato la staccionata e fatto saltare le categorie del Novecento attraverso un impianto di ingegneria percettiva che troppo spesso è stato liquidato come “stile comunicativo”, o peggio ancora, “carattere”. Invece si tratta di un fantasmagorico impianto scenografico della comunicazione e della messa in scena in cui il male diventa un valore e il crimine un vanto. Siamo nel tempo in cui la morale è superflua, non serve, la riflessione etica da Aristotele a oggi è andata a farsi benedire. Quello che ritenevamo fondante della nostra civiltà, l’interrogativo etico della nostra coscienza, è stato silenziato e dismesso come una cianfrusaglia inutile. E come ci ha avvertito qualche giorno fa Ezio Mauro: questa è una “anticipazione di futuro”.

Attenzione: tutto questo non è responsabilità esclusiva dei politici. È un sistema che funziona perché trova terreno fertile. Quel terreno fertile siamo noi, nessuno escluso: stanchi, sovrastimolati, ignoranti e alla continua ricerca di scorciatoie cognitive, di frasi brevi e identità forti. Per questo veniamo sedotti da una comunicazione che non racconta più il mondo: lo sostituisce. Guardiamo a tre esempi recenti per capire cosa accade. Il caso di Trump alla Knesset è emblematico. Con una frase – “Netanyahu mi ha chiesto tante armi, gli ho dato le migliori. Le ha usate bene” – il conflitto a Gaza viene rimosso. Non esiste più il dolore, la morte, la devastazione: esiste la performance. La guerra diventa tecnologia applicata. Un’operazione ben riuscita. Il frame non è giusto/sbagliato, ma efficiente/inefficiente. È un linguaggio che trasforma la violenza in risultato. Che scavalca il giudizio morale e lo sostituisce con la logica della prestazione. Il cervello, stimolato nei circuiti della ricompensa, applaude. Per fortuna, non fino al punto di dargli il Nobel per la Pace. Intanto a casa nostra, esaminandone una tra tante, Giorgia Meloni si è mossa sul piano dell’identità. “La sinistra è più fondamentalista di Hamas” non è una provocazione qualsiasi: è una manovra retorica chirurgica. Crea un cortocircuito cognitivo che sovrappone opposizione politica e terrorismo. Non esiste più l’avversario legittimo, ma il nemico da delegittimare. È la semplificazione come arma. La complessità viene eliminata, la polarizzazione assolutizzata. Chi è dentro è giusto. Chi è fuori pericoloso. Il potere così si blinda, si difende, e soprattutto non si spiega più. E poi c’è il terzo fronte, forse il più scivoloso. Quello della negazione morbida, della sospensione del giudizio spacciata per prudenza istituzionale. L’abbiamo vista con Incoronata Boccia, ufficio stampa Rai: “Nessuna prova che Israele abbia mitragliato i civili a Gaza”. Non è un’affermazione neutra: è una strategia. Si chiama gaslighting politico e va a spostare la soglia della credibilità. Si insinua che la realtà sia troppo confusa per essere afferrata, che ogni immagine sia propaganda, ogni accusa manipolazione. Il risultato? Noi, già confusi e saturi, rinunciamo al giudizio, cedendo a chi urla più forte o promette più ordine.

Ecco, tutto questo non accade per caso. È una comunicazione che sfrutta tre leve neuropsicologiche fondamentali. La prima: semplificazione emotiva. In un mondo complesso, il cervello cerca narrazioni semplici. E chi gliele fornisce vince. La seconda: rinforzo identitario. Il linguaggio non chiede di capire, ma di appartenere. Il consenso si trasforma in appartenenza tribale. La terza: dissonanza anestetica. Il bombardamento continuo di frasi contraddittorie, aggressive, ipersemplificate crea assuefazione. Il cervello, per difendersi, smette di percepire la contraddizione. È così che le destre estreme stanno costruendo il loro spazio cognitivo. E lo fanno viscidamente, una parola alla volta. E con successo, perché si muovono in un contesto sociale già predisposto. Una società impaurita, sfibrata, piena di ansie collettive e memoria corta. Una società che non ha tempo di leggere, di verificare, di distinguere. Una società che, per resistere allo stress informativo, cerca scorciatoie, slogan, certezze.

Il risultato è un rovesciamento dei codici. La violenza diventa difesa. Il crimine, efficienza. Il dubbio, colpa. La complessità, sospetto. È un mondo capovolto in cui il neuro-populismo si fa bandiera. Ed è in questa cornice sbilenca e distorta che ci si intesta la pace anche se si è contribuito alla morte di 60 mila civili, la bugia diventa metodo, l’autoritarismo si avvicina a passo svelto. La nostra libertà nasce dalla consapevolezza (anche) linguistica con cui cerchiamo di comprendere il mondo. La libertà non è un valore astratto, è un atto di lucidità. La libertà non è più nel diritto di parlare, ma nella forza di capire. E oggi capire, davvero capire, è l’atto più radicale, più politico, più rivoluzionario che ci resti.

*Neurobrand Specialist
& Brand Strategist

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