PERSONE COME CLAUDIO VELARDI da DICIOTTOBRUMAIO
Olympe de Gouges 15 ottobre 2025
La pratica della demolizione delle abitazioni palestinesi da parte degli israeliani è antica quanto lo Stato d’Israele. Il pretesto è sempre stato univoco: il terrorista, vero o solo presunto, che si oppone all’occupazione e all’apartheid, viene punito, oltre che con la carcerazione o la morte, anche con la distruzione dell’abitazione in cui vive la sua famiglia.
Pertanto, ciò che è successo nella Striscia di Gaza non è un inedito storico, ma la prosecuzione su larga scala di una procedura consolidata. Ciò che si vuole ottenere è l’estinzione palestinese nei territori occupati o che si vogliono occupare. In buona sostanza questa strategia ricalca esattamente quella posta in atto nel Nord America dai coloni bianchi, e anche il piano di colonizzazione nazista a riguardo dei territori dell’Est Europa.
La strategia sionista di giungere infine alla costruzione del grande Israele è sempre la stessa e non cambia. Dunque non cambieranno i metodi per ottenere il raggiungimento di questo scopo. Facendo attenzione a un dettaglio: per grande Israele non s’intende solo la Palestina. È solo questione di tempo e anche questo aspetto apparirà chiaro. Dapprima si procede da un punto di vista economico, poi anche sotto l’aspetto militare.
Quando Claudio Velardi scrive che «nessun essere umano può dirsi estraneo alla storia ultramillenaria di Israele, a partire da quel topos simbolico del sacrificio narrato nella Bibbia», ci sta dicendo anzitutto una cosa: la presenza degli ebrei in Palestina è un fatto storico e dunque non si discute il loro diritto, dopo quasi duemila anni, di rimpossessarsi della Palestina. Con qualsiasi mezzo e a prescindere da chi nel frattempo abbia abitato quella terra.
“Quel sacrificio non si è mai interrotto”, ci dice Velardi, «Abramo è pronto a offrire suo figlio Isacco sul monte Moria per obbedire a Dio. È il gesto che segna l’origine morale del popolo d’Israele». E quell’origine “morale” segna anche, ipso facto, il diritto di quel popolo su quella terra in obbedienza a Dio.
Velardi a questa premessa ne antepone un’altra: «Personalmente non mi riconosco in una cultura messianica. Per la verità non sono neppure credente». Non è credente, ma riconosce, come dovrebbe qualunque “essere umano”, che il diritto d’Israele è in obbedienza a Dio. Poi prosegue: «Ogni soldato caduto, ogni ostaggio non tornato è il volto moderno di Isacco, offerto non a un dio crudele, ma alle asperità della storia».
Le “asperità della storia” attengono non solo alla volontà degli ebrei di stabilirsi in Palestina, ma di volerne occupare le terre e cacciare i legittimi abitanti con ogni mezzo. Secondo l’ideologia sionista e le norme giuridiche costituzionali israeliane, chiunque possa dimostrare anche il più tenue legame con la storia e la tradizione ebraica, indipendentemente da dove o quando sia nato, ha diritti superiori sulla terra natale dei palestinesi, nonostante il fatto che i palestinesi la abitino e lavorino da diverse centinaia di anni.
Secondo questa ideologia, in virtù della sua nascita ebraica, una persona ha un legame praticamente eterno con il paese, e invece il legame di un palestinese con la terra in cui è nato e che lo circonda non ha lo stesso valore, perché non appartiene al “popolo eletto”.
Questa priorità degli ebrei sui non ebrei, anche se cittadini dello stesso Stato, non è solo una questione di ideologia egemonica, è anche la pratica dominante in tutti gli aspetti della vita in Israele fin dalla sua nascita.
Questa è la principale caratteristica del sionismo, che è un’ideologia sistematica e un movimento politico con un apparato statale che la attua. Non sorprende quindi che la vita ebraica continui a prosperare nelle città, nelle aree urbane e nelle comunità di Israele, mentre quella degli arabi palestinesi nelle città arabe non fa che degenerare. Basta confrontare la città ebraica di Nazareth Alta e la Nazareth araba in termini di infrastrutture, zone industriali, pianificazione, istruzione scolastica, servizi sanitari e tempo libero, per comprendere che i profondi abissi che separano le due parti della stessa città non sono il risultato di un caso o di una cecità nelle politiche pubbliche.
Per gli ebrei, il sionismo è concepito come un’ideologia di emancipazione e sovranità, che organizza il mondo in entità dicotomiche, in termini binari. Ciò si manifesta in tutti gli aspetti della vita ebraica e in tutte le azioni dello Stato di Israele. È una visione politica e nazionale del mondo che tenta di depoliticizzare le giustificazioni con cui un popolo riceve privilegi in un paese che apparteneva a un altro popolo, e che istituzionalizza tali privilegi in un sofisticato ordine costituzionale.
Le politiche nazionali possono ostacolate temporaneamente un’etnia o un’altra, questo sta nelle cose e nella storia, non possiamo farci illusioni. Ma quando sono costantemente e sistematicamente orientate a facilitare l’espansione e la superiorità di un gruppo etnico nazionale, a causa di un’ideologia sofisticata, solidamente giustificata e propagandata dai media, e a escluderne un altro, definitivamente identificato come un “problema di sicurezza e demografico”, di che segno sono quelle politiche? Quando una comunità viene educata a sentirsi “a casa”, mentre l’altra viene descritta come straniera, estranea, invadente, è necessario porsi delle domande e trovare delle risposte.
Ma non è il caso di persone come Claudio Velardi.
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