LA GUERRA ETERNA E ILLIMITATA da VOCI DI PACE
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA GUERRA ETERNA E ILLIMITATA da VOCI DI PACE

La guerra eterna e illimitata

Bruna Bianchi  30 Settembre 2025

Per sua natura, la guerra, come il capitalismo, conduce all’abbattimento di ogni limite. In questa corsa oltre ogni soglia, l’aggressività competitiva è indispensabile e comporta l’intensificazione della violenza. Quello che resta sono le uccisioni, le ferite, le mutilazioni, la distruzione di tutto ciò che sostiene la vita: è questa l’essenza della guerra. Ma oggi più che mai occorre dire che l’uccidere è storicamente maschile. È maschile il pensiero militarista secondo cui dare la morte è il più grande dei poteri, letale risposta al dare la vita come massima potenza del femminile. Scrive Bruna Bianchi in questo articolo che indaga l’estesa riflessione ecofemministai: «Immersi in questa spirale di violenza, dobbiamo ricordare che ci sono momenti nella storia in cui ciò che più conta è levare un alto grido. Gridare la propria collera per lo strazio dei corpi, delle menti, dei sentimenti umani e la devastazione della natura, per svelare il volto osceno della guerra e rompere l’incantamento della canzone antica intonata da tanti moderni pifferai: “Noi non abbiamo mai voluto la guerra, ma siamo minacciati da un nemico irriducibile e dobbiamo ucciderlo e sradicarlo dalla realtà»


I nostri soldati, diremo, battezzeranno la terra con un battesimo di sangue per accelerare la prossima era di libertà. Ma non aggiungeremo che avranno così un compito eterno, aspettando invano un raccolto che non potrà mai crescere sulle tombe
(Émile Zola, Contes à Ninon, 1864)

La guerra eterna

Mentre guerre sempre più efferate e genocidi straziano l’umanità e distruggono il pianeta si moltiplicano le voci che invocano l’abolizione di ogni limite alla conduzione della guerra e si abbattono le fragili barriere poste dal diritto e dalle convenzioni internazionali. Contemporaneamente, giorno dopo giorno, si rafforzano processi di legittimazione della guerra e della violenza in vari ambiti del sapere e la retorica dell’uccisione difensiva invade, avvelenandolo, anche il mondo infantile. Né ammette restrizioni la violenza contro la natura gli e animali, presentata come cosa buona e giusta, inevitabile per la sopravvivenza e il benessere umano.

Negli ultimi anni in ambito archeologico sono riemerse teorie già da lungo tempo screditate, come quelle della guerra eterna, della caccia eterna, i pilastri del patriarcato eterno, che normalizzano la violenza in tutte le sue forme, proiezioni dell’attuale sistema patriarcale nelle età antiche. Queste teorie, anziché basarsi su ricerche rigorose, sono presentate come articoli di fede, deduzioni audaci tratte da alcuni ritrovamenti archeologici. Lo ha sostenuto recentemente la studiosa delle società pre-patriarcali Heide Goettner Abendrothii che ha invitato a volgere lo sguardo ai valori e alle strutture delle società matriarcali che sopravvivono ancora oggi, società fondate sull’affermazione della vita, la reciprocità, il mutuo aiuto e in cui la risoluzione dei conflitti avveniva attraverso i rituali e la negoziazione.

Già nell’Ottocento opere di carattere storico, giuridico e antropologico avevano dimostrato che la nascita di una società gerarchica basata sull’accumulazione della ricchezza aveva coinciso con l’oppressione femminile e l’affermazione della guerra; il patriarcato, dunque, non era eterno, bensì un prodotto della storia e nel corso della storia avrebbe potuto essere superatoiii. In anni recenti numerose studiose ecofemministeiv hanno definito il patriarcato non solo come “un sistema integrale di oppressioni interconnesse imposte attraverso la violenza”v, ma anche, e soprattutto, come un progetto di trasformazione del mondo di cui la guerra è parte integrantevi.

Questi studi hanno contribuito a svelare gli intrecci di potere e le convenzioni culturali che rispecchiano la visione androcentrica del mondo e si sono interrogati sull’origine e la natura della tensione verso l’assoluto e il superamento di ogni limite nell’esercizio della violenza che caratterizza il patriarcato capitalista. Sulla base di alcuni di questi studi le pagine che seguono si soffermano sull’idea della guerra illimitata.

La guerra illimitata

Ora noi dobbiamo volere la guerra, e quindi prepararla per impedire l’aggressione. In altri termini significa che sono precisamente i deboli, cioè coloro che sono esposti a doversi difendere, che debbono sempre essere armati per non venire sorpresivii. Così scriveva Carl von Clausewitz all’inizio dell’Ottocento in Della guerra, la sua opera filosofica incompiuta sulla natura dei conflitti armati. Ci possono essere guerre limitate, ammetteva il generale prussiano, “mezze guerre”, in cui la “logica interna della guerra resta nascosta”, ma la possibilità che una guerra si avvicini alla sua forma assoluta, all’annientamento dell’avversario, dovrebbe dominare i pensieri di ogni capo militare che deve prepararsi all’imprevedibile. La guerra, per sua natura, conduce inevitabilmente all’abbattimento di ogni limite.

Se, fino ad ora, alcune delle armi più micidiali, in particolare quelle nucleari, di cui si sono dotate le maggiori potenze, non sono state utilizzate nei conflitti, ma “solo” minacciate, la loro incessante ideazione, realizzazione, perfezionamento non ha conosciuto alcun limite.

Fin dal 1946 nella ricerca costante della supremazia militare i principali eserciti del mondo si sono lanciati nelle sperimentazioni atomiche che hanno contaminato e reso inabitabili per migliaia di anni vaste zone del pianeta e si sono rivolti a nuove strategie in cui la Terra stessa è utilizzata come una mega-macchina bellicaviii. Un esempio della marcia perversa verso la distruzione senza limiti del pianeta ci viene dalle ricerche sulla modificazione del clima compiute da un gruppo di ricercatori militari e presentate nel 1996 alla Air Force degli Stati Uniti:

Come impresa ad alto rischio e ad alta ricompensa, la modificazione del clima presenta un dilemma non dissimile dalla scissione dell’atomo […]. La storia dimostra che non possiamo permetterci di non avere la capacità di modificare il clima se la tecnologia è sviluppata e usata da altri. Anche se non abbiamo intenzione di usarla, altri l’avranno. Per richiamarsi ancora una volta all’analogia con le armi atomiche, abbiamo bisogno di dissuadere o contrastare questa capacità con la nostra propria capacitàix.

La creazione e la sperimentazione di queste armi, coperte dal segreto e al di fuori di ogni controllo, hanno già causato danni irreparabili alla Terra, al clima, alla biosfera, alla salute umana. “Intossicati dal continuo sviluppo di nuove forme di megamorte, geoingegneri e geoguerrieri ci distruggeranno con lento avvelenamento, collasso ambientale catastrofico, o guerra totale”x. Sono parole dell’epidemiologa ecofemminista e suora Rosalie Bertell che nel 1999 ha valutato in 1 miliardo e 300 milioni il “vero costo sanitario dell’inquinamento nucleare” in termini di malattie, morti, sterilità, deformazioni e altri gravi difetti neonatali a partire dal 1945xi.

Per comprendere un tale processo catastrofico, tra il 1913 e il 1915 Rosa Luxemburg aveva ricordato che l’illimitatezza è la dinamica strutturale del capitalismo che nella sua spinta a trasformare in capitale tutte le ricchezze della terra invade ogni angolo del mondo, ogni risorsa naturale e umana e avrebbe condotto alla distruzione della civiltà. Il militarismo, che ha accompagnato il processo di accumulazione in ogni sua fase storica, è esso stesso fonte di accumulazionexii.

L’idea della mancanza di limite come forma specifica di esistenza del capitalismo è stata ripresa e sviluppata da numerose autrici, prima fra tutte da Françoise d’Eaubonne. A parere dell’ecofemminista francese, tuttavia, “la marcia distruttiva del capitalismo” non poteva essere compresa in tutti i suoi caratteri e implicazioni senza risalire alla nascita del patriarcato.

In La femme avant le patriarcat (1976) e in Écologie-féminisme (1978), D’Eaubonne ha individuato la causa diretta della distruzione del pianeta nel controllo patriarcale della fertilità della terra e della fecondità femminile. Quando (tra il 3500 e il 2500 a.C.) l’uomo sottrasse alla donna la produzione agricola e scoprì di avere un ruolo nella riproduzione, considerò la donna e la terra come ricettacoli della sua forza vitale. Da allora il predatorio modo di appropriazione portato all’estremo divenne il paradigma dell’economia e di tutte le relazioni di sfruttamento. Nacquero nuove strutture mentali caratterizzate dall’“illimitismo”, dall’assenza di limiti nella ricerca del potere – sulle donne, la natura, altri popoli –, basato sulla sete dell’assoluto, un’illusione prometeica che deriva dall’incapacità di vivere in modo relativo rispetto ai limiti della realtà.

In questa “corsa verso l’infinito”, inseguendo “il sogno perpetuo di espansione cosmica”, scrive D’Eaubonne, l’aggressività competitiva è indispensabile […] e la competizione comporta la progressiva intensificazione della violenza e il massacro”xiii. L’illimitismo che il patriarcato innesta nella sua cultura, nelle sue chiese, nei suoi partiti “spinge a frantumare l’atomo”, a modificare all’infinito l’ambiente e ad “aprire i sigilli della natura”xiv. Emblematico di questo delirio di onnipotenza quella che D’Eaubonne chiamava “l’abominevole follia” del nucleare.

La tensione all’illimitatezza è fatalmente distruttiva perché utopica: impossibile superare i limiti fisici della Terra, impossibile perseguire un’espansione che la stessa struttura del capitalismo rende necessaria, irreale il sogno di un padre come creatore della vita, la sua pretesa di sostituirsi alla capacità femminile di partorire, di preservare la nuova vita e accompagnarla fino all’autonomia perché prescinde da tutte le circostanze concrete dell’esistenza. Ha scritto Claudia von Werlhof, l’ecofemminista tedesca che ha tratto ispirazione da Rosa Luxemburg e Rosalie Bertell:

“Il patriarcato vuole niente meno che trasformare il corpo vivente e generante in una cosa che può essere prodotta, che può produrre a piacimento e che si può sostituire con un macchinario, non (più) corporeo, non (più) femminile […]. Lo stesso vale per la Terra stessa come pianeta. Il patriarcato è quindi l’idea di una società senza madri e senza natura e sfocia in una politica del tentare di sostituire la madre/natura concreta con un padre astratto”xv.

L’idea del “padre creatore”, il significato originario di patriarcato (pater-arché, al principio il padre), non avendo alcun fondamento concreto, deve costantemente crearsi la sua realtà; solo in questo modo è spiegabile la fame di potere sempre crescente, attraverso la tecnologia, la guerra, l’ostilità verso la natura e la volontà di trasformarla in qualcosa di migliore, più utile, più docile attraverso una distruzione intesa come creatività e una violenza e una manipolazione senza limitixvi.

Il culmine della civiltà patriarcale è un mondo dove tutto è man-made, anziché nato dalle donne e dalla natura. Già lo scrisse Bacone, padre della scienza moderna, nei suoi frammenti pubblicati dopo la morte: la scienza è Il parto maschile del tempo (1602-1603), una scienza virile il cui scopo è il dominio e la trasformazione del mondo. Nell’immaginario del parto maschile a dominare è la negazione del femminile.

Il massimo potere dell’uccidere”

La negazione del femminile si concretizza nell’affermazione del potere di uccidere. Come ha scritto Adriana Cavarero in Il femminile negato,

“La morte violenta è segno di grande potenza. Hobbes dirà: non c’è potere superiore di quello che toglie la vita. Chi può togliermi la vita […] è agente della massima potenza. Questo massimo potere dell’uccidere è storicamente maschile: la guerra è una guerra di combattenti maschi. […] L’identità di ciò che in Occidente si intende come il maschile è una identità fortemente costruita su questa scena del duello, del combattere in cui si uccide e si viene uccisi. È facile capire come il dare la morte come massima potenza sia la risposta al dare la vita come massima potenza del femminile”xvii.

In guerra, la gara tra chi infligge più danni fisici e distruzioni, alla morte viene attribuito il potere di conferire validità a una causa; le morti sono la base materiale degli obiettivi del vincitore. Eppure, l’atto di uccidere viene fatto sparire dalla vista: descrivendo gli eventi come scontro di forze impersonali, omettendo o trasfigurando la realtà della sofferenza. Una tale assenza, ha scritto Elaine Scarry, facilita il trasferimento della realtà incontestabile della morte e del corpo che soffre a una ideologia, una astrazione: la libertà, la democrazia, la sicurezzaxviii.

La distruttività della guerra è tanto pervasiva da non risparmiare nessun sentimento positivo e nessuna virtù umana: l’amore per il luogo in cui si è nati, quello della madre e del padre per il figlio, del giovane per i fratelli e i compagni vengono distorti e rivolti verso la morte e l’uccisione.

Nell’atto dell’uccidere a scomparire è la civiltà stessa. La guerra è in opposizione estrema alla creazione e alla civiltà a partire dalla distruzione dei corpi, luoghi di tutto l’apprendimento, “un processo terribile di autonegazione”xix, come già avevano colto autorevoli pacifisti e pacifiste statunitensi nel 1915 tra cui Jane Addams, premio Nobel per la pace nel 1931:

“[La guerra] ha fatto a brandelli e disperso come schegge di granata le mani dello scultore e del violinista, le membra del corridore e del nuotatore, i muscoli sensibili del meccanico e del tessitore, l’ugola dei cantanti e degli interpreti, gli occhi dell’astronomo e del fonditore – ogni parte del corpo che racchiudeva abilità e preveggenza, ogni arte e ogni competenza della mente umana”xx.

Le uccisioni, le ferite, le mutilazioni, la distruzione di tutto ciò che sostiene la vita sono l’unica vera essenza della guerra, l’unico scopo di tutta l’attività militare. Tali insulti non potranno mai trasformarsi in democrazia, sicurezza o giustizia. Solo ciò che è intrinseco alla guerra ne può determinare gli esiti e le conseguenze sul piano sociale, umano e politico. Non libertà, bensì dispotismo; non democrazia, bensì rafforzamento del militarismo; non pacificazione, bensì incremento della violenza, dell’odio, dell’insicurezza. La vittoria non è che l’affermazione momentanea di una supremazia che dovrà sempre rinnovarsi, sempre essere ricercata e ricreata attraverso il cupo richiamo della morte.

Immersi in questa spirale di violenza, dobbiamo ricordare che ci sono momenti nella storia in cui ciò che più conta è levare un alto grido. Gridare la propria collera per lo strazio dei corpi, delle menti, dei sentimenti umani e la devastazione della natura; per svelare il volto osceno della guerra e rompere l’incantamento della canzone antica intonata da tanti moderni pifferai: “Noi non abbiamo mai voluto la guerra, ma siamo minacciati da un nemico irriducibile e dobbiamo ucciderlo e sradicarlo dalla realtà”.


i L’articolo è una anticipazione di quello che apparirà nel volume Disonorare la guerra. Percorsi e proposte per una maschilità di pace a cura di Maschile Plurale, di prossima pubblicazione per le edizioni Multimage.
ii Heide Goettner Abendroth, The New Ideology of ‘Eternal War’ in Archaeology: Critical Reflections on Early History, in “Matrix. A Journal for Matricultural Studies”, vol. 3, n. 2, pp. 105-112.le
iii Per una sintesi di questi studi si veda: Ann Taylor Allen, Feminism, Social Science, and the Meaning of Modernity: The Debate on the Origin of the Family in Europe and the United States, 1860-1914, «The American Historical Review», 4, CIV, 1999, pp. 1085-113.le
iv Si vedano in particolare i saggi raccolti da Cristina Biaggi in The Rule of Mars: Readings on Origins, History, and Impact of Patriarchy, Knowledge, Ideas, and Trends, Manchester (Conn.), 2005.le
v A New Definition of Patriarchy: Control of Women’s Sexuality, Private Property, and War in “Feminist Theology”, 24, no. 3 (2016), pp. 214-225.le
vi Claudia von Werlhof, Nell’età del boomerang. Contributi alla teoria critica del patriarcato, Unicopli, Milano, 2014.le
vii Citato in Walter Bryce Gallie, Filosofie di pace e guerra, Il Mulino, Bologna 1978, p. 103.le
viii Rosalie Bertell, Pianeta Terra, L’ultima arma di guerra, Asterios, Trieste 2018.le
ix Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025A Research paper Presented to Air Force, 1996, https://apps.dtic.mil/sti/citations/ADA333462.le
x Mary-Louise Engels, Rosalie Bertell. Scientist, Ecofeminist, Visionary, Women’s Press, Toronto 2005, p. 140.le
xi Rosalie Bertell, Victims of the Nuclear Age, “The Ecologist”, 1999, pp. 410-411, https://ratical.org/radiation/NAvictims.html.le
xii Rosa Luxemburg, L’accumulazione del capitale. Contributi alla spiegazione economica dell’imperialismo (1913), Einaudi, Torino 1968; Ead., Juniusbrochüre (1915), in Rosa Luxemburg, Scritti scelti, a cura di Luciano AmodioEinaudi, Torino 1976, pp. 463-520.le
xiii Françoise d’Eaubonne, Écologie-féminismeRévolution ou mutation?, Le passage clandestine, Paris 2018, p. 163.le
xiv Ivi, p. 161.le
xv Claudia von Werlhof, Fine dell’idea del progresso?, in Ead., Nell’età del boomerang, cit., p. 26.le
xvi Ead., Call for a “Planetary Movement for Mother Earth”, International Goddess-Conference “Politics and Spirituality”, 29 maggio 2010, http://emanzipationhumanum.de/downloads/motherearth.pdf.le
xvii Adriana Cavarero, Il femminile negato. La radice greca della violenza occidentale, Pazzini, Villa Verucchio 2021, pp. 11-12le
xviii Elaine Scarry, La sofferenza del corpo. La distruzione e la costruzione del mondo (1985), Il Mulino, Bologna 1990, p. 192.le
xix Ivi, p. 204.le
xx Towards the Peace that Shall Last, in “The Advocate of Peace”, aprile 1915, p. 90.

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